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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

DIALOGANDO CON TINA - Introduzione alla figura di Tina Modotti e alla lettura del libro “Dialoghi di una vita”

di Rivista Orizzonti

È arduo, e quasi impossibile, racchiudere in un libro la personalità atipica e il percorso eccezionale di vita di Tina Modotti, per la molteplicità delle passioni artistiche e politiche, per le numerose relazioni intrattenute, durante varie epoche del primo Novecento, con personaggi di avanguardia culturale, e per le vicissitudini personali.
Sulla vita di questa donna - fotografa e militante comunista, che ha assimilato tante culture diverse, per aver vissuto in numerose nazioni del mondo, «donna senza paese», che in 46 anni di vita sembra aver vissuto una vita infinita, fra avvenimenti drammatici personali ed eventi sociali, politico-storici, dei quali fu partecipe, testimone e forse vittima - è stata scritta una vasta biografia.
Ma, attorno alla sua esistenza, si è consumata, soprattutto, la mitologia, che nasce dalla difficoltà di “conciliare” la figura di donna brillante, sensibile artista e fotografa appassionata degli anni venti in un Messico post-rivoluzionario, con la «leggenda nera» (di “Tinisìma, la stalinisìma”) della fosca militante nella Mosca di Stalin, della decade successiva, accanto al triestino Vittorio Vidali, suo mentore, e testimone degli ultimi dodici anni di vita. Proprio a lui dobbiamo la riscoperta ufficiale di questa donna, a partire dagli Anni Settanta, dopo un silenzio di trent’anni dalla sua morte, avvenuta nel 1942.
Una vita fuori dal comune, che si è prestata ad essere raccontata nei modi più svariati. Ognuno ha raccontato la propria Tina, da un’angolatura diversa, scegliendo la sfaccettatura più consona al profilo di chi scriveva.
In “Dialoghi di una vita”, il viaggio itinerante attraverso le varie fasi esistenziali della breve ed intensa vita di Tina Modotti è raccontato con sguardo partecipe, realista, e senza pregiudizi di sorta. Alla biografia consumata di Tina, si aggiunge un percorso conoscitivo, che prende in esame anche gli aspetti più umani, più inusuali e meno conosciuti della protagonista.
I dialoghi, che si susseguono incalzanti fra i vari protagonisti, rappresentano la vera novità del libro: un modo nuovo di approcciarsi alla vita e alla storia di Tina, dove la forma “romanzata” offre al lettore una dimensione biografica corretta della protagonista, sempre ricollegata e documentata nei suoi riferimenti sociali od eventi storici e politici salienti, in cui il personaggio è calato.
Tina stessa si racconta attraverso questi dialoghi veri o “verosimili”, e per mezzo di sensibili e raffinate lettere, preziosa fonte documentativa che supporta la narrazione, ci consente di addentrarci nella sua sfera privata e personale.
A sua volta, Tina si lascia raccontare dagli uomini della sua vita, e da quegli intellettuali che la circondano, arricchendole la vita; donne comprese, che come lei condividono aspirazioni, speranze, e ideologia del momento. Ognuno di loro apporta la propria testimonianza, con frasi e dichiarazioni; e l’immagine che ne esce è quella di una Tina poliedrica e sfaccettata, dai volti diversi, tutti validi. Ogni volto è un inevitabile momento di un percorso, un diverso aspetto di vita, un pezzo di storia personale o frutto di una invidiabile capacità di adattamento alla vita e alla storia.
“Dialoghi di una vita” diventa un momento conoscitivo dell’aspetto psicologico della protagonista, di quando si rapporta con gli amori della sua vita. Tina non è solo “donna di qualcuno”, bensì donna che dall’innegabile rapporto con uomini di diversa estrazione sociale, ambiente ed ideologia politica, artisti, politici o intellettuali, assorbe quella cultura che le è mancata nell’adolescenza, se ne appropria in modo intelligente e ambizioso per conseguire un suo elevato sviluppo intellettuale, assecondando una necessità del suo spirito.
Tina dimostra di ricambiare questa opportunità di vita, non solo manifestando «riconoscenza e devozione» o fedeltà al maestro, come ripete nelle sue lettere a Weston, o dimostrandosi orgogliosa dell’uomo che ha accanto (come afferma nella lettera indirizzata a Guerrero, («di essere stato l’orgoglio della sua vita»), non solo concedendo sesso, o assoggettandosi all’uomo di turno, ma arricchendo, a sua volta, la vita di questi uomini, con il suo valore di donna, come preziosa interlocutrice con cui confrontarsi.
E mentre Tina, con tutta se stessa, ama questi uomini incondizionatamente, con le loro miserie e debolezze, le superbe personalità, sopportandone i tradimenti, essi si dimostrano, invece, incapaci di accettare, fino in fondo, la sua libertà, e puniscono la sua autostima di donna con frasi o dichiarazioni che offendono la sua intelligenza, o con comportamenti che l’addolorano, come l’abbandono, «una costante della sua vita».
Tina li ha presenti, nella sua memoria, durante tutta la durata del racconto. Ognuno di loro è stato importante e continua ad essere un filo conduttore che lega le varie fasi della sua vita, fino al momento della morte, quando, dentro al taxi, prima di chiudere per sempre i suoi occhi, Tina vede sfilare i loro volti, ne sente le voci, ma solo l’eco dei rimbrotti, dei rancori che hanno riversato contro lei. Solo Julio, l’uomo che le hanno assassinato, una fredda sera del ’29, è lì a tenerla stretta, durante il trapasso, con affetto e tenerezza. Julio Mella, la «tragedia della sua anima», per soli quattro mesi il vero amore della sua vita. Julio Mella, di cui Tina è accusata di aver contribuito a strappargli la vita, per un beffardo destino, per un oscuro e misterioso disegno, che farà di lei la leggenda nera di Tinisìma: una leggenda che continuerà a tormentarla anche dopo la morte.

In “Dialoghi di una vita” l’esistenza di Tina è scandita in capitoli e ad ognuno di questi corrisponde un periodo di vita, con una svolta radicale.
La protagonista, nata italiana, in un Friuli povero di inizio Novecento, setaiola in una filanda di periferia, per farsi carico del mantenimento della famiglia, all’età di sedici emigra in America, dove raggiunge il padre e una sorella, che già vivono in San Francisco. (Controversa e dibattuta è la figura paterna, Giuseppe Modotti, che lascia vivere in miseria la famiglia rimasta a Udine, mentre le sue benestanti condizioni di vita americana poco assomigliano a quelle degli altri emigranti del quartiere Little Italy!).
Tina diviene americana d’adozione, a tutti gli effetti, a seguito anche di un matrimonio con un pittore e poeta canadese, disegnatore di batik e caricaturista, Roubaix De L’Abrie Richey, detto Robo.
Da sarta esperta nei Magazzini Magnin’s, ad attrice teatrale nei teatri italiani di San Francisco (che definirà la sua città natale), poi attrice di cinema muto agli albori del cinema hollywoodiano degli anni 20, Tina vive una intensa vita bohemièn, nella casa del marito, luogo d’incontro per intellettuali “salottieri”. Lì avviene la sua formazione culturale, impara a conoscere la letteratura russa di Dostojewskj, sente parlare della Rivoluzione russa e di quella messicana, oltre confine.
Il periodo californiano, dal 1913 al 1922, è la prima svolta radicale nella vita di Tina, che si apre alla vita culturale e intellettuale di questo nuovo ambiente, e da fragile emigrante si trasforma in una ragazza piena di aspirazioni e sogni, che persegue con ostinazione.
Nelle lettere, di questi anni Venti, Tina non racconta della sua condizione di emigrante, lasciando intendere di beneficiare di una vita diversa da quella povera, lasciata a Udine. Parla, invece, di una giovane curiosa verso tutto ciò che la circonda, sognatrice innamorata, che sperimenta anche l’amore adulterino, divisa fra l’amore platonico verso il giovane marito e il desiderio sessuale verso quell’uomo più maturo ed esperto della vita, che diventa, di lì a poco, il suo maestro di fotografia, il fotografo Edward Weston, che si innamora di lei.
In questo periodo, Tina si cimenta anche come scrittrice, nel prologo del libro The Book of Robo, parlando del suo privato; ci informa sul carattere debole e passivo di Robo, di un condiviso amore platonico, di un giovane sognatore «che non ama la vita ma ha paura della morte».
Dopo la morte per vaiolo di Robo, avvenuta in Messico dove si era recato per scoprire il paese, al seguito di Ricardo Robelo Gomez, letterato e archeologo messicano e personaggio di spicco di quegli anni in Messico, una giovane e vedova Tina, che ha lasciato Hollywood, continua la sua relazione con il fotografo Edward Weston, che le prospetta la possibilità di una nuova attività, la fotografia, e assieme decidono di lasciare la California alla volta del Messico, inseguendo le aspirazioni di Robo.
Tina, per sette anni, sarà messicana d’adozione, messicane le sue foto. Fuori dal Messico, Tina, con un volto ancora diverso, non sarà più fotografa, per altre scelte radicali di vita.
Straniera in una Città del Messico della Post-rivoluzione di Zapata e Pancho Villa, inizia una intensa attività di fotografa, sotto l’occhio attento del suo maestro e amante, assieme al quale entra a far parte del circolo di intellettuali e politici, i Muralisti, fondatori del giornale “El Machete” e di un nascente Partito Comunista messicano, all’interno del quale conosce altre passioni amorose.
Tina sarà la modella di Weston, che la ritrarrà nei nudi sull’azotea di casa, e allo stesso tempo, modella di uno dei più famosi Muralisti, Diego Rivera, che immortalerà una Tina nuda, nella “Tierra Dormida” all’Università Di Chapingo e al Ministero della Pubblica Istruzione, una Tina, già compromessa in attività politiche, dipinta assieme alla pittrice Frida Kahlo mentre distribuisce armi ai Rivoluzionari.
A Edward Weston, maestro di una fotografia formale, di un’arte pura e bella in sé, priva di contenuti ideologici o di fronzoli interpretativi, una Tina allieva, che ancora dipende dal suo giudizio e cerca la sua approvazione, che impara la fotografia “da un uomo”, risponderà dimostrando una “sua” inclinazione artistica, frutto di una sensibilità estetica tutta al femminile, con una concezione dell’arte piena di contenuti di vita, che ricerca un linguaggio espressivo in modo autonomo, allontanandosi dagli insegnamenti formali del suo maestro e facendo sua l’acquisizione di un concetto di fotografia «come mezzo di denuncia sociale».
Weston ritorna per sempre in California, lasciando sola in Messico una Tina sempre più distante da lui, artisticamente e ideologicamente, sempre più inserita nell’attività politica dell’avanguardia nazionalista, rappresentata dai Muralisti.
Nella vita di Tina entra Xavier Guerrero, personaggio di spicco nel Partito Comunista messicano (che assieme a Vittorio Vidali e a David Siqueiros ne detta la linea filorussa). A questo militante severo, che insegna a Tina come si diventa “comunista” e a prendere una tessera di Partito, Tina “la rossa”, che impara la politica da un uomo, dimostrerà il suo valore di donna militante, coerente con se stessa, fino alla fine dei suoi giorni, che ha una “sua” capacità di captare rapidamente la realtà che la circonda, facendo sue le sofferenze della gente, grazie alla sensibilità verso gli umili e i diseredati, maturata negli anni della povera infanzia. E sono di questo periodo le fotografie di volti, di corpi, di mani dei lavoratori, degli strumenti di lavoro, cariche di una grande forza espressiva, rappresentazioni dignitose di povertà. Si chiude così il periodo fotografico “romantico” accanto a Weston, fatto di Rose, Bicchieri, Calle, straordinarie foto di raffinata bellezza e di originale ricerca tecnica, senza precedenti nella fotografia di allora.
A Xavier risponderà che «lavorare per una causa, non è il risultato, di amare un rivoluzionario, ma, al contrario, il risultato di un profondissimo impegno interiore…», che il suo impegno rivoluzionario è totale, sino alla rinuncia, in favore della militanza, di quell’arte, la fotografia, che non solo ama con passione, ma che è, per lei, un modo di mantenersi.
Con queste parole, Tina afferma anche, indirettamente, che è il suo fervore politico ad influenzare le sue scelte sentimentali, e non il contrario.
Dopo l’espulsione dal Messico, per attività clandestina nel Partito Comunista Messicano, dichiarato fuorilegge, e a seguito di una accusa di tentato omicidio di un Presidente, Tina lascia tracce per breve tempo in una Germania ai primi albori del Nazismo. Costretta a ripiegare a Mosca, unico rifugio sicuro, negli anni Trenta, di tutti i politici antifascisti ricercati dall’Ovra fascista, raggiunge Vittorio Vidali, “l’uomo della convenienza” di quel momento, e al suo seguito diventa un’oscura militante stalinista e una silenziosa spettatrice delle purghe nell’Unione Sovietica, in un buio periodo moscovita che vive come un incubo la figura di Lèon Trotzkj.
Nel «ricordo struggente» della Guerra civile, Tina è nelle vesti di “miliciana”, in una Spagna repubblicana che, uscita dalle urne del 1936, combatte contro i nazionalisti di Franco, insorti contro la Repubblica: è testimone di una Spagna spaccata in due, l’una repubblicana e l’altra fascista, e delle lotte fratricide all’interno del Fronte Repubblicano (organizzato nel V Reggimento da Vittorio Vidali, alias Carlos Contreras), di cui Stalin è unico sostenitore materiale ed ideologico.
Tina, assieme a tanti profughi spagnoli che hanno perso la guerra, ritorna in Messico nel 1939, dove vive tre anni in isolamento, lontana dagli amici di un tempo, sotto falso nome. Non è più fotografa né militante, e assiste impotente, oltre ai tradimenti dei suoi ideali, a quelli di Vidali, accusato di essere un “mandante” dell’omicidio di Lèon Trotzkj, assassinato a Coyocàn, nell’agosto del ’41, da un comando stalinista.
Nella notte dell’Epifania nel ’42, Tina muore a casa di Hannes Meyer, un architetto tedesco che aveva conosciuto in Germania e che è esule in Messico, dopo una cena con amici, i «profughi spagnoli» che, con lei, avevano condiviso la lotta.
Un momento importantissimo della sua biografia è l’incontro con Julio Mella, primo fondatore del Partito marxista-leninista cubano e della Liga Antimperialista sudamericana, sfuggito alla dittatura di Gerardo Machado e giunto nella Capitale messicana, dove si inserisce nel Partito Comunista e conosce Tina.
L’omicidio dell’uomo, nel gennaio del ’29, di rientro a casa, è il momento più tragico della protagonista. Nel libro viene fatta la ricostruzione del delitto, da quando Tina e Mella escono dal Soccorso Rosso, dove si era tenuta una riunione, all’incontro con un connazionale, Magrinà, che lo avverte che sicari inviati da Cuba stanno per ucciderlo, fino al momento in cui il giovane Mella viene assassinato.
Tina è interrogata come testimone dell’omicidio, per la sua presenza sulla scena del delitto, e accusata di reticenza per aver dichiarato di non aver visto il volto dell’assassino e poi di complicità nell’omicidio, che sarebbe maturato all’interno del Partito Comunista che vuole eliminare Mella, perché è in contrasto con la linea del partito. Viene riportata la difesa di Tina in tribunale, da parte di un avvocato progressista che, assieme al pittore muralista Diego Rivera, smonta, una a una, le false testimonianze riferite in aula, riuscendo a dar credito solo alle testimonianze di Tina, che aveva raccolto le ultime parole di Julio che accusavano il Generale Machado, dittatore cubano, di aver inviato mandanti per assassinarlo.
Anni dopo, il pittore Diego Rivera accusò Vittorio Vidali «di essere la terza persona» (che affiancava la coppia e che sparò a Mella, secondo la testimonianza di un panettiere tedesco).
Vittorio Vidali, già accusato di essere l’artefice dell’omicidio di Julio Mella, sarà sospettato anche della morte di Tina, forse «avvelenata perché sapeva o aveva visto troppo», come ci informano i giornali d’epoca. Ma, come ebbe a dire, anni dopo, Benvenuto Modotti, adorato fratello di Tina, in una intervista del 1948, Tina, malata da tempo, sarebbe morta per un attacco di cuore. È davvero così o forse ha parlato per mettere fine alle speculazioni sulla morte della sorella, «per mano stalinista», che continuava ad essere associata a quella di Julio Mella?

(Articolo di Vanna Antonioni, pubblicato su Orizzonti n. 39)

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