| La storia di un’amicizia forte e speciale, come può esserlo solo nell’adolescenza, è il centro attorno a cui ruota l’intenso romanzo d’esordio del giovanissimo Alfonso Cernelli, edito da Aletti. Il tredicenne protagonista narrante ci racconta le avventure in compagnia dell’inseparabile amico Santiago, il loro universo, fatto di incontri con personaggi eccentrici, ognuno con una filosofia di vita che racchiude un mondo: «un flash di immagini e di ricordi nostalgici, scanditi dal trascorrere di un autunno insolitamente mite e, soprattutto, una carrellata di personaggi senza tempo carichi di una notevole forza evocativa e di un dolore esistenziale spesso inconsolabile». (Dalla quarta di copertina)
«Percezione dell’inverno» - il titolo è già di per sé un suggestivo richiamo di ciò che incontreremo nella lettura - è il racconto del passaggio dal mondo dell’adolescenza a quello degli adulti, calato in atmosfere surreali, magiche, con una scrittura agevole, ma ingegnosa e matura, che attraversa più stati d’animo, diventando ora commovente, ora ironica, ora riflessiva. Anche i dialoghi, che toccano vari temi (persino il “blocco dello scrittore”), sono ben articolati e vivaci e stuzzicano l’attenzione del lettore più attento, che potrà cogliere le sfumature ironiche e altri rimandi simbolici.
È un libro che si legge tutto d’un fiato, con il desiderio di riprenderlo in mano, perché sicuramente qualcosa è sfuggito alla prima lettura, per l’abbondante sequenza di aforismi sugli aspetti del «reale»: dalla vita alla morte, all’amore, al tradimento, al dolore.
Ci parla dell’emozione che ha provato per la vittoria del Premio Zingarelli?
«Questo riconoscimento è stato per me una piacevole ed inaspettata sorpresa, soprattutto in considerazione della mia giovane età e del fatto che si trattava della prima partecipazione ad un premio letterario. Inoltre, due elementi mi hanno reso particolarmente orgoglioso: il patrocinio della Presidenza della Repubblica, di cui il premio gode, ed il fatto che lo stesso sia dedicato al filologo cerignolano Nicola Zingarelli, padre della nostra lingua. Credo che la vittoria di un qualsiasi premio letterario sia particolarmente significativa per uno scrittore sconosciuto che cerca di emergere; difatti, quando si ottiene un tale riconoscimento, vuol dire che il libro è piaciuto, è scritto bene ed ha incontrato il favore della giuria e dei critici che lo hanno giudicato. Essere scelti per aver lasciato delle emozioni in chi ha letto il romanzo, credo, sia la soddisfazione più grande, al di là della possibile visibilità che un premio letterario può dare».
Com’è nata la storia del libro?
«Volevo scrivere una storia che raccontasse il passaggio dall’età della spensieratezza a quella della maturità e delle responsabilità, da me indicata attraverso la metafora dell’inverno che succede alla primavera della vita. L’ho fatto narrando le avventure quotidiane, spesso surreali ed oniriche, di due amici, alle prese con una carrellata di personaggi bizzarri e senza tempo. Credo che la storia che ho raccontato, sotto un’apparenza leggera, tratti tematiche profonde: i due amici, infatti, nei loro vagabondaggi, incontrano un’umanità tormentata, che li mette di fronte al dolore dell’esistenza umana, facendoli maturare e cambiandoli in modo irreversibile. Ho inteso, dunque, scrivere una sorta di “romanzo di formazione”, che possa essere letto a più livelli, tanto da un bambino quanto da un adulto. Il mio obiettivo, certamente ambizioso e forse anche presuntuoso, è stato quello di “formare” non soltanto i personaggi, ma anche il lettore. Delle vicende narrate, infatti, si può dare una duplice lettura: quella ingenua e un po’ disincantata del fanciullo, e quella drammatica e consapevole dell'adulto».
(Articolo di Caterina Aletti, pubblicato su Orizzonti n. 39)
Continua a seguirci su facebook al seguente link:
www.facebook.com/rivistaorizzonti
|