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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

Il viaggio - EUSKADI: IL PAESE BASCO

di Rivista Orizzonti

“Il Paìs Vasco” non è propriamente un paese, o perlomeno i confini (labili) che delimitano la regione basca non corrispondono al vero perimetro dell’Euskadi. Bilbao/Bilbo, Vitoria/Gasteiz e San Sebastian/Donostia (col doppio nome, rispettivamente in lingua castigliana e euskera) sono i capoluoghi delle tre province spagnole della Comunità Autonoma, ma il territorio basco, l’Euskal Herria, in realtà si estende alla Navarra e oltrepassa il confine francese (Biarritz, Hasparren, Ustaritz: nomi poco francofoni, che tradiscono la loro anima più autentica).
Quello che ci si immagina dall’esterno, leggendo i giornali, è che gli indipendentisti siano sempre sul piede di guerra, organizzando attentati e violente missioni terroristiche. Appena arrivati sul posto, tra l’altro, si ha l’impressione che le nostre ipotesi trovino una preoccupante conferma: nelle città come nei villaggi, lungo le strade come sotto i ponti, tutti i muri sono decorati da scritte incomprensibili ma dal sapore minaccioso. Da ogni finestra e da ogni balcone pendono stendardi con l’Ikurriña, il vessillo basco (una specie di Union Jack bianca e verde su sfondo rosso), o bandiere con la mappa dei Paesi Baschi e la scritta "EUSKAL PRESOAK EUSKAL HERRIRA (prigionieri baschi in terra basca)". Le università e i bar sembrano focolai di giovani fanatici dell’Eta; conferenze, volantini inneggianti all’indipendenza, misteriose iniziative culturali e manifestazioni sono all’ordine del giorno.
Eppure, trattenendosi in Euskadi per qualche tempo, la vita sembra più tranquilla di quanto non si pensi dall’estero. Gli estremisti ci sono, e purtroppo colpiscono con una certa frequenza, ma la stragrande maggioranza dei baschi è gente moderata.
Tra l’altro, con il passare dei giorni, si fa strada nell’osservatore straniero il sospetto insinuante che le pretese indipendentiste siano anche un fatto di moda e di tendenza. L’autenticità dello spirito basco – non necessariamente sanguinario – è fuori da ogni dubbio; e proprio per questo fa un po’ rabbia vedere sui muri scritte (non molte, in verità) come "freedom for the basque country". Un popolo che rivendica l’uso della lingua euskera non si inchinerebbe mai all’inglese, ma allora chi è l’autore di questi graffiti? Il surfista americano a caccia di onde a Zarautz?

* * *

Fino a poco tempo fa Bilbao era una città industriale senza particolari pretese, che nonostante una pittoresca parte vecchia fatta di viuzze animate, bar e ristoranti economici, doveva la sua fama soprattutto al Banco de Bilbao y Vizcaya. Da qualche anno si è invece trasformata in un punto di riferimento per la nuova Europa: architetti di fama mondiale lasciano le proprie impronte nel capoluogo della Biscaglia, che sempre di più va caratterizzandosi come meta di un turismo culturale moderno. L’avveniristico ponte di Santiago Calatrava sul fiume Nervion e le stazioni high tech della metropolitana firmate da Norman Foster (simbolo di questo trapasso di secolo come quelle parigine di Guimard lo erano del secolo scorso?) già costituirebbero un irresistibile richiamo per gli appassionati di architettura contemporanea, ma l’autentico landmark della città è la sede del Guggenheim Museum realizzata dal profeta del decostruttivismo scultoreo Frank O. Gehry: un edificio che sembra di cartapesta, e che invece rappresenta il corrispettivo europeo del celeberrimo museo newyorchese costruito nel 1946 dal grande Frank Lloyd Wright.

* * *

Vitoria è la sede del Governo e del Parlamento autonomo, ma più che altro è una tranquilla cittadina nel cuore dei monti cantabrici, ricca di parchi e giardini. Uno sviluppo urbanistico realizzato con grande cura per l’ambiente offre ai suoi abitanti un’alta qualità della vita, ma la fama di Vitoria è dovuta soprattutto alla sua tradizionale pasticceria (vasquitos, neskitas, goxua).

* * *

La città gioiello dei Paesi Baschi è però San Sebastian, situata sull’inconfondibile insenatura a forma di conchiglia e sulle due rive del fiume Urumea. A ovest il golfo è delimitato dal monte Igueldo, la cui vetta si può raggiungere con una romantica funicolare. Oltre a un panorama notevole e a una torre in cui è stata allestita una mostra fotografica sulla storia della città, in cima si trova anche un’altra piccola sorpresa: un parco giochi deserto dall’aspetto decadente, le cui attrazioni portano nomi irresistibili (il Rio Misterioso è un piccolo canale profondo venti centimetri, che conduce in una grotta lunga al massimo un paio di metri). Alla base dell’Igueldo si erge il "Pettine dei Venti", un’opera dello scultore basco Eduardo Txillida che esalta la forza del mare e del vento. Il monte Urgull (con i giardini del Castillo della Mota, in cima a cui un Cristo sornione garantisce protezione alla città) separa la playa della Concha ("spiaggia della Conchiglia") dalla Zurriola, che termina a est con il monte Ulia. Trattenendosi qualche giorno a San Sebastian è impensabile non inoltrarsi nel fitto bosco di Ulia e concedersi una spettacolare passeggiata con frequenti miradores (affacci panoramici). Si può poi ridiscendere dall’altro lato, seguendo un fiordo, e arrivare all’industriale porto di Pasai San Pedro: da lì, un barchino blu fa servizio taxi con l’altra sponda, su cui sorge il delizioso borgo di Pasai Donibane.
È difficile decifrare San Sebastian: con il sole, l’isolotto di Santa Clara, i pini sul mare e il profumo di mirto e rosmarino, si pensa ai colori caldi dell’estate mediterranea. Ma poi, non appena cambia il tempo e il cielo si fa più grigio, immediatamente anche il mare assume il colore asfaltato delle strade, e la Concha si rivela d’un tratto per quello che è: una fredda e sterminata spiaggia nordica, soggetta alle maree.
I tanti chilometri di lungomare sembrano attirare follemente i donostiarri (gli abitanti di San Sebastian), che, ossessionati dalla corsa e dalla forma fisica, a qualsiasi ora e in qualsiasi stagione sfrecciano in calzoncini sul paseo. Sulle terrazze del Muelle, ai piedi del monte Urgull, turisti e classi di bambini che strepitano in euskera si affacciano per osservare le evoluzioni di Paquito, un delfino che ha fissato la sua dimora a San Sebastian diventandone la mascotte. Paquito è molto coccolato dai donostiarri, e al tramonto concede ai numerosi estimatori una gradita apparizione davanti al Muelle, proprio di fronte all’Aquarium (dove è stato accolto a braccia aperte come testimonial d’eccezione).
Nel weekend, poi, la città muta aspetto: in un’atmosfera simpaticamente fuori moda, un po’ antica e un po’ paesana, il sabato sembra proprio il "dì di festa". Sul lungomare si radunano persone di ogni età, per il proverbiale struscio. Spuntano come funghi dei banchetti che vendono gamberi e piccole conchiglie al cartoccio. Le giostre sul paseo della Concha si affollano di ragazzini vocianti, le persone più anziane sfoggiano il classico vestito della domenica, e molti giovani non vogliono essere da meno. Ma non bisogna dimenticare che appena due o tre metri sotto c’è la spiaggia, che formicola di gente; e non mancano certo i vecchi lumaconi che dalla ringhiera del lungomare osservano furtivi (ma neanche poi troppo) le donne in costume da bagno.
La sera poi tutta Donostia – o Donosti, come la chiamano più intimamente i locali – si concentra nella parte vecchia (e non solo Donosti, dato che il confine francese è a pochi chilometri e ubriacarsi in Spagna costa certo di meno). Nelle stradine costellate di economici bar succede il finimondo: quasi non si riesce a camminare, anche perché la birra si compra nei bar, ma in genere si beve all’aperto. Qualcuno ha palesemente esagerato con l’alcol e urla parole incomprensibili, mentre sciami di persone fanno avanti e indietro per i vicoli chiedendosi dove proseguire la nottata. La spazzatura (si potrebbe arredare una casa con quello che si trova!) ai lati della strada dà il tocco finale al quadretto del sabato basco.


* * *

Ma chi sono dunque questi Baschi? Come vivono? Come possono essere sommariamente descritti?
Tanto per cominciare, come in ogni regione sensibile alle forti tradizioni esiste una notevole (e bonaria) rivalità fra le tre province di Vizcaya, Alava e Guipuzkoa. E così, generalizzando, i vizkaini di Bilbao vengono indicati come chulos (fichetti*), i guipozkoani di San Sebastian come pijos (un termine simile al romano pariolini) e gli alavesi di Vitoria col facilmente traducibile patateros. In questa giostra di sfottò, chulos, pijos e patateros sono però concordi nel considerare i vicini Navarri (che di fronte alla Spagna si sentono assolutamente Baschi) i cugini "primitivi"e un po’ "barbari". E se una ragione c’è, non bisogna d’altro canto dimenticare che tutti i Baschi hanno delle abitudini curiosamente e stupendamente primitive. A cominciare dalla vita di tutti i giorni: si entra in un bar, si ordinano dei pintxos (stuzzichini, equivalenti alle tapas catalane) e uno zurito (bicchierino di birra) e poi i tovaglioli di carta si buttano disinvoltamente per terra. Non per mancanza di rispetto nei confronti del barista, ma per consolidato costume.
E non parliamo poi degli sport o delle feste caratteristiche: le prove di forza sono parte della cultura – legata alle faccende quotidiane dei pescatori e dei contadini – di un popolo sviluppatosi in un ambiente fisico piuttosto duro. Così, oltre alle regate della Concha fra le traineras (pescherecci), ecco gli aizkolariak (tagliatori di tronchi) e gli harrijasoltzaileak (sollevatori di pietre). I primi si sfidano con le loro asce per tagliare tronchi di faggio nel minor tempo possibile, gli altri rappresentano il collegamento fra il moderno sollevamento pesi olimpico e il leggendario passato, ovverosia i menhir del gallico Obelix o il lancio dei macigni del celtico Braveheart. In un delirio di scommesse, sono seguitissime anche le gare di cani da pastore, la sokatira (una specie di tiro alla fune) e gli herri kirolak (un particolare "tetrathlon" di sport rurali composto dal trasporto di pesi, sprint con un sacco di 80 kg. in spalla, falciatura di prati e taglio di tronchi con seghe a mano).
È però innegabile che lo sport "nazionale" sia la pelota: se nel mondo è considerato uno dei simboli baschi, bisogna anche dire che i canali televisivi locali ne trasmettono gli incontri per buona parte della giornata. E poi in ogni cittadina o paese si può trovare un fronton, il caratteristico muro a elle contro cui i ragazzini del posto lanciano la loro palla. Come il playground col canestro in America, o come la petanque per le bocce in Francia, il fronton nell’Euskadi è anche un punto di aggregazione a livello di quartiere.


* * *

Da un punto di vista folcloristico, è difficile trovare un popolo con più tradizioni dei Baschi: con fuochi d’artificio, processioni, falò, danze, riviste d’armi e rullanti tamburate sembrano propensi a festeggiare ogni cosa. Ma particolarmente suggestiva è la musica di un popolo approdato relativamente tardi alla tradizione scritta, e la cui cultura si è quindi trasmessa oralmente per secoli, attraverso stornelli e canzoni.
A Hernani – pochi chilometri a sud di Donostia – si svolge la festa della txalaparta, strumento abbastanza primitivo costituito da due cavalletti che sorreggono due o più assi di legno: è piuttosto bizzarro, e richiama alla mente uno sketch di Aldo, Giovanni e Giacomo in cui i tre comici suonano uno stendipanni. Il paese al gran completo (bambini inclusi, nonostante lo spettacolo abbia inizio verso la mezzanotte: d’altra parte siamo in Spagna, dove la notte comincia tardi per tutti) si riversa in piazza, apparecchiata per l’occasione con tavolate da festa di contrada. Su un piccolo palco il giovane presentatore della serata indossa il tipico copricapo basco (la txapela), e fa quasi uno strano effetto perché in genere lo si vede in testa solo ai vecchi. Senza mai pronunciare una parola in spagnolo, si succedono al microfono dei bertsolari, moderni (per modo di dire) trovatori che improvvisano versi o stornelli in rima inneggiando al tema della txalaparta. E finalmente ecco i suonatori: con due bastoncini (impugnati come pali, non certo come bacchette!) riescono ad ottenere dallo strumento una gamma di suoni degna di uno xilofono. Quando poi il pubblico si è scaldato, al curioso giornalista italiano viene dimostrato che la txalaparta è anche strumento da ensemble, e si procede con piccole, straordinarie formazioni variamente assortite (con tromba e chitarra, tamburo e piffero basco, sax e basso). Sul palco si alternano persone di ogni età, che tutto l’anno provano scrupolosamente in vista dei loro meritatissimi cinque minuti di gloria.

* * *

Un’ultima curiosità: forse è un caso, ma durante il mio soggiorno in Euskadi non ho mai visto un fast food americano. La cosa non mi sorprende, data la famosa autarchia basca: gente che vuole indipendenza dalla Spagna perché dovrebbe accettare la colonizzazione statunitense?
(Però è quasi un peccato, perché se l’euskera è una lingua buffa il castigliano non è da meno. E mangiare un Mc Chicken chiedendo un Mc Pollastre tingerebbe la scena di un surreale e disneyano colore "paperopolese"…)
*: rivendico il diritto romano di non piegarsi alla consuetudine della "g" milanese.


(Articolo di Francesco Denti, pubblicato su Orizzonti n. 17 bis / dicembre 2001)

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