| FOGGIA - Uno straziante scambio epistolare tra un condannato a morte e sua madre, in un doloroso percorso di redenzione ed accettazione prima che le luci si spengano definitivamente: è "Questo uomo nuovo" (Aletti editore), opera prima della giovane scrittrice viestana Marianna Rombaldi, appena giunta alla prima ristampa a poco meno di un anno dalla sua uscita ufficiale. Classe 1986, nata a Catania ma vissuta a Vieste da sempre, attualmente risiede a Bologna dove sta portando a termine gli studi in Giurisprudenza, senza abbandonare la passione per la scrittura.
Marianna, "Questo uomo nuovo" sta per compiere un anno ed è già in ristampa, ne sarai felice immagino...
«Certo, rimane in me l'orgoglio e la felicità che nei primi 6 mesi siano finite le copie, suppongo che questo denoti una minima riuscita del libro, vista anche la recensione presente sul trimestrale di "Amnesty International" di aprile; anche se credo sia normale raccogliere i buoni frutti ma sentirsi sempre un minimo insoddisfatti perché, essendo un'esordiente, ho sempre il timore di aver fatto poco o di non averlo fatto bene. L'editoria è un mondo complicato e pieno di situazioni velate, quindi poco chiare; spesso l'autore, soprattutto se emergente, non è accompagnato nella fase successiva alla stampa: l'opinione dei lettori, le riposte alle domande, la critica, a volte costruttiva a volte decisamente inutile... ma alla fine questo è il pacchetto completo e fa parte del "gioco", quindi ciò preclude una certa forza d'animo perché, per quanto puoi credere nella creatura che hai "partorito", non si è mai abbastanza pronti alle conseguenze che essa produce».
Il tema del libro è tra i più delicati e complessi: cosa ti ha spinto a parlare di pena di morte?
«Parlare della pena di morte e di quanto sia eticamente e moralmente sbagliata, per me è un dovere di tutti: come possiamo pensare che sia giusto uccidere un uomo che, si, si è macchiato di un crimine, ma rimane comunque un uomo. La domanda che mi pongo sempre io è: quanto è diverso dall'assassino che viene condannato, lo Stato che pone in essere tale condanna? In fondo la sostanza è esattamente la stessa: uccidere. Allora anche lo Stato andrebbe punito da un' Istituzione superiore... e così sarebbe un circolo vizioso senza mai fine che vedrebbe sempre e comunque come soluzione ultima la morte. E ancora: un condannato a morte quanto può davvero capire e tentare di redimersi se tanto la sua vita sta giungendo a termine? Se sta per essere ammazzato? Il genere umano è imperfetto, sbaglia e tutti lo facciamo, fortunatamente con gradi di gravità diversi, ma tutti abbiamo diritto ad una seconda chance: chi siamo noi per negare una possibilità a chi ne ha diritto? La morte non è la soluzione ai nostri errori anzi, è essa stesso un errore perché non siamo padroni della vita altrui! Non vi è coerenza nell'essere disgustati nei confronti di un omicidio e poi accettare che quell'uomo venga ucciso! Forse non siamo abbastanza umili da metterci una mano sulla coscienza, farci un mea culpa e cambiare l'assetto fondamentalmente sbagliato di come interpretiamo l'esecuzione delle leggi: trovo assolutamente più idoneo far patire l'assenza di libertà a vita, piuttosto che far concludere un'esistenza vantandomi padrone assoluto di un diritto inviolabile quale è la vita!»
Il percorso di redenzione che descrivi non risparmia momenti di estrema durezza emotiva: è stato difficile calibrare l'obbiettività delle parti in questo scambio di lettere tra il condannato e sua madre?
«Essere obiettivi è una delle capacità in cui pecchiamo maggiormente , si sa, facciamo una certa fatica a non lasciarci trasportare dalle emozioni e dai sentimenti che ci tirano da una parte piuttosto che dall'altra, ma io, per quello che mi è stato possibile, ho cercato di descrivere i sentimenti di tutti i personaggi, tentando di non cadere nell'ovvio o nel simile. Ti confesso che spesso, mentre scrivevo le mie righe, mi sono abbandonata al pianto; la carica emotiva è stata tanta, anche per me perché il libro era una continua scoperta anche per la sottoscritta: la storia si creava da sola ed io sono stata solo uno strumento per metterla nero su bianco. I sentimenti di struggente dolore, da parte dei due personaggi principali è stata una novità per me: io ho dovuto provare quel dolore per poterlo raccontare ed ho sofferto, ho pianto, per quella madre, sola e forte e per quel ragazzo, giovane e in trappola. Se vuoi scrivere bene qualcosa, devi far parte di quel qualcosa; devi essere un personaggio, invisibile e muto».
Per "Questo uomo nuovo" ti sei ispirata in particolare a qualcosa o qualcuno?
«La mia principale fonte di ispirazione credo sia il rispetto e l'amore profondo che provo per la vita. Volevo lasciare in qualche modo il segno, volevo avere voce anch'io, gridando al mondo come sia importante vivere e farlo nel modo più giusto. Ho voluto creare quest'inno alla vita parlando della morte, descrivendole come due sorelle. Poi ho collegato a tutto questo anche l'amore, messo in una situazione così estrema, scrivendo il tutto e cercando di apportare quella che secondo me è una novità, ovvero l'assenza della descrizione e del nome dei personaggi, questo perché il mio giovane ragazzo, ha il nome di tutti i condannati a questa pena e la madre è l'amore in tutte le sue forme: è l'amore della moglie, l'amore dei figli che rimarranno senza padre dopo l'esecuzione della pena, l'amore della madre che ha il figlio in carcere... bisogna anche pensare alle persone che restano perché i morti sono morti e niente li riporterà indietro, ma le vere vittime sono coloro che restano e che piangono l'assenza di un caro, per tutta la vita. Questa è la pena di morte: la prosecuzione di altro dolore dietro un dolore ancestrale».
Nonostante la tua giovane età e gli studi universitari da terminare, credi di rimetterti all'opera a breve?
«Certo che mi rimetterò all'opera! Ho già un paio di idee per la testa che hanno catturato la mia attenzione e poi sento il bisogno di ritornare a scrivere, di dare voce alle mie idee in modo che scaturiscano un pensiero, un ragionamento».
Link dell'articolo:
http://www.ilgrecale.it/news/2011/uomo-morto--uomo-nuovo-per-l-esordio-della-rombaldi-6517.asp
(Giuseppe D'Errico, per "Il Grecale", 17 dicembre 2011)
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