| Un torrido pomeriggio di settembre una figura sorridente e un po’ bizzarra apre la porta di casa all’intervistatore commentando l’implacabile legge di Murphy, nella fattispecie "se devi intervistare qualcuno che abita all’ultimo piano di un palazzo alto, l’ascensore è certamente guasto", oppure, rivoltando la sentenza, "se l’ascensore di un palazzo alto non funziona, stai pur sicuro che la persona da intervistare abita all’ultimo piano". Come diceva una di quelle proprietà matematiche da sapere a memoria, cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia.
Dopo pochi minuti di conversazione, l’intervista a un attore conosciuto e a un promettente regista sembra più che altro una chiacchierata con un amico. Eccola qui.
Domanda - Qualcuno ti paragona al tarantiniano Steve Buscemi, forse anche per l’aspetto buffo e quasi surreale o per la mimica facciale, ma soprattutto per la tua attività di attore e cineasta indipendente e al tempo stesso raffinato. Anche tu, in Italia, sei un personaggio di culto in ambienti underground.
"Tanto per cominciare, Steve Buscemi ha i denti finti (e io no). Da un punto di vista estetico non so chi ne esca peggio, ma almeno io sono ancora come natura crea, lui è ben più consumato. Buscemi mi piace perché come attore è fenomenale nell’interpretare personaggi violenti o allucinati, pur sembrando esteriormente del tutto tranquillo e imperturbabile, da vero folle. Però, ad essere onesti, più che a Steve Buscemi mi ispiro a Steve Aletto, un promettente attore italo-americano!"
Domanda - Onestamente: sei underground per scelta o perché non sei (ancora) riuscito a diventare mainstream?
"Sono underground, sono talmente underground che i produttori neanche mi vedono! Comunque underground non è il termine adatto, perché in genere si associa a questa definizione un’immagine indipendente e fin troppo "alternativa", un’immagine notturna o anche in qualche modo "maledetta". Io di dannato ho ben poco, e di notte dormo (ronfando pure!). Direi piuttosto che mi sento una spugna, nel senso che mi piace attingere dalla vita quotidiana, mi ispiro alle cose vive, al mondo che cambia. Come una spugna assorbo, mi riempio, e quando sono completamente imbevuto di ispirazione, allora mi strizzo e viene fuori qualcosa, un film o una sceneggiatura. Una volta strizzato, è naturale, mi aspetta un periodo di vuoto. Ma poi ricomincio ad attingere, e sicuramente le idee e le suggestioni di cui mi impregno sono diverse da quelle assorbite in precedenza."
Domanda - Dai l’impressione di vivere la tua vita "da attore": non mi riferisco al divismo, ma semmai a una maniera giocosa, una sorta di brillante improvvisazione con cui affronti i discorsi e, forse, anche i rapporti umani.
"Se riesco ad essere me stesso, ci si diverte, non c’è dubbio. Se avverto la sensazione di trovarmi in un ambiente costruito, dove l’elemento non è il mio, allora sono più abbottonato, più contenuto. Non mi sento a mio agio in ambienti diplomatici, esteriori, gerarchici. E non è un caso che nel mondo del cinema (che è il mio mondo professionale) sono pochi quelli che conoscono il vero Chicco Salimbeni.
Succede spesso che ragazzi o ragazze mi fermino per strada, riconoscendomi. E mi diverto a vedere la loro reazione: da principio si aspettano chissà quale atteggiamento da divo, poi se per caso ci mettiamo a chiacchierare, bastano pochi minuti e si accorgono dell’errore. Detto fra noi, credo che nessuno mi darà mai del lei…"
Domanda - Che tipo di attore è Chicco Salimbeni?
"Non sono un attore di scuola, ma di istinto. E per questo non attingo dal passato. Non sono particolarmente attratto dalle storie del cinema e del teatro, dalle biografie di attori famosi ecc.
Più passa il tempo e meno mi ritengo attore. Mi sento piuttosto un trasduttore, uno che trasmette le cose che prova (anche se paradossalmente sono poi incapace di raccontare le barzellette, o più in generale di fare cabaret). Però in fondo torniamo al nocciolo della questione: tutto ciò che è ripetizione non mi appartiene…"
Domanda - Quando hai capito che la tua vita sarebbe stata davanti a una telecamera?
"A un certo punto mi sono fermato a pensare che qualcosa non andava, o comunque poteva andare meglio. Forse era il mio individualismo che bussava alla porta. Allora ho cominciato a scrivere, ma ben presto ho sentito che non mi bastava. E un giorno, da solo, sono andato in un boschetto non lontano da casa, mi sono puntato la telecamera contro e ho cominciato a parlare: da lì ha avuto inizio una sorta di auto-conoscenza, che mi ha aiutato tantissimo. Ho imparato a vedermi, a comprendere quello che realmente volevo, ad accettare la mia voce… (è stato più duro che accettare la mia immagine, il che è tutto dire!). E poi queste "sedute" hanno avuto un altro grande effetto: alla prima occasione professionale in cui mi sono trovato una telecamera puntata contro, non ho avuto il minimo imbarazzo."
Domanda - Quando hai capito che la tua vita sarebbe stata dietro a una telecamera?
"Beh, recitare mi piaceva, ma ben presto ho compreso che stare davanti a una telecamera non mi bastava più. Continuavo a scrivere, cose anche personali di cui sono sempre stato molto geloso. E così, una notte, folgorato da una ispirazione ho scritto la mia prima sceneggiatura (La travagliata storia di un uomo tranquillo come un palombo), che si sarebbe trasformata in un mediometraggio da un’ora. Con gli scarsi mezzi su cui potevo contare all’epoca ho messo in piedi una troupe, e in breve tempo ha visto la luce la mia prima esperienza di regia."
Domanda - E che è successo, dopo che hai "strizzato la spugna"?
"Portato a termine il Palombo, è seguito un’inevitabile periodo di esaurimento. Tra l’altro, essendo autarchico, la troupe era praticamente una one-man-gang: oltre ad essere regista e interprete, mi sono occupato della produzione (la gloriosa Uccel Salimba Cinematografica), del casting e perfino dei cestini per il pranzo!"
Domanda - Che cosa ha fatto Chicco Salimbeni aspettando che la spugna fosse nuovamente ricettiva?
"Ho continuato a fare l’attore e a scrivere, finché non è arrivato Dobra Sgnobra, il primo vero cortometraggio da me diretto. Attraverso una satira sulla pubblicità voglio dire che i messaggi veri, quelli importanti, non seguono le mode e non hanno una scadenza."
Domanda - Che rapporto hai con la pubblicità?
"Mi sento portato come regista di pubblicità. Penso che il mio linguaggio sia piuttosto originale, e credo possa funzionare bene. Il problema, però, è il solito circolo vizioso: riesce a girare pubblicità solo chi le ha già girate, e ha quindi un book di presentazione ricco e invogliante per le aziende."
Domanda - Che cosa hai in programma adesso, come regista?
"Ho scritto altri corti che voglio realizzare, e ho in mente un lungometraggio ancora tutto da definire. Magari suona buffo dire "io farò… io voglio…", sembra ingenuo e infantile come il bambino che dice "da grande farò il calciatore". Ma io ho sempre fatto così (come credi che sia diventato attore?). E’ il mio motore, la mia spinta energetica. D’altronde il cinema non riesco a considerarlo un lavoro. Io devo, voglio riuscire a comunicare attraverso immagini, parole, suoni, e commistioni fra questi elementi. Così come uno può essere predisposto alle arti, allo sport, alla matematica, io mi sento naturalmente dotato per la comunicazione."
Domanda - Come vivi nel dorato mondo dello spettacolo, "tutto lustrini, paillettes e lusinghe"?
"In maniera probabilmente anomala, ma con estrema naturalezza. Come attore ho sempre avuto incoraggiamenti e buone critiche (al primo film da protagonista, Abissinia, i giornali francesi parlarono di E. Salimbeni come una rivelazione del festival di Cannes), ma forse, se non sono mai esploso da un punto di vista commerciale, dipende anche dal mio carattere: trascuro il mio book professionale e le pubbliche relazioni…"
Domanda - Chicco Salimbeni potrebbe mai diventare un divo?
"I divi li creano la gente e i mass media. L’errore è che gli attori finiscono per credere a quello che l’opinione pubblica vuole che loro siano. Così nasce la paura della gente, la tendenza a chiudersi in castelli fortificati… Personalmente io la gente me la godo! Vado a fare la spesa come tutti, e pretendo la mia privacy come tutti, vivendo ogni cosa con estrema naturalezza. Certo, non sono continuamente assediato dai paparazzi, quindi magari per me è facile parlare, però cerco costantemente di sdrammatizzare il rapporto conflittuale fra attore e pubblico: non mi sento assolutamente parte dello star system."
Domanda - Dimostri una serenità quasi olimpica. Ma ci sarà pure qualcuno che detesti…
"Detesto le persone invadenti e meschine, che ti seguono di nascosto, ti sbucano davanti all’improvviso e ti puntano addosso un microfono e una telecamera facendoti una domanda provocatoria, offensiva o personale: e in qualunque modo tu reagisca, ne esci comunque male. Oppure detesto gli sciacalli che fanno i servizi per le riviste scandalistiche: ti riprendono mentre cerchi le chiavi in tasca, o un fazzoletto, e sparano un titolo a tutta pagina tipo: "Salimbeni ha l’orchite!". E’ ovvio che non è un match regolare, ad armi pari. Ma purtroppo la gente ama gli scoop e gli scandali, che nel torbido trovano il loro terreno fertile."
Domanda - Fra le persone con cui hai lavorato, c’è qualcuno che ti ha fatto da maestro?
"Siamo tutti diversi, e credo che ci sia sempre da imparare e sempre da insegnare. In fondo ogni avventura rappresenta un insegnamento a fare meglio, o un ammonimento a non fare così."
Domanda - La prerogativa necessaria per essere "un grande"?
"Per prima cosa viene la persona, poi tutto il resto: è fondamentale il rapporto umano. E questa regola vale più che mai nel mondo dello spettacolo. Puoi essere anche un grande attore, regista, cantante, ma se come uomo fai schifo, calato il sipario rimane solo la realtà."
Domanda - Dove ti si può vedere, adesso, su grande schermo?
"Oltre a 'Radiofreccia', ancora in circolazione in qualche sala e in parecchi festival all’estero, segnalo il mio cameo in 'Asini' (di Antonello Grimaldi, con Claudio Bisio). Il film propone diverse apparizioni amichevoli fra cui Antonio Catania, Rocco Tanica, Valerio Mastandrea.
SCHEDA TECNICA
Enrico Salimbeni è nato a Castelnovo ne’ Monti (RE) nel 1965. Nome di spicco del nuovo panorama italiano, divide la sua intensa vita cinematografica fra l’interpretazione e la regia. Lanciato come attore dal serial tv 'E’ proibito ballare' (Al & Al) firmato da Pupi Avati nel 1988, Salimbeni ha conquistato la critica con il suo primo vero film da protagonista ('Abissinia', di Francesco Martinotti, 1993). Al fortunato 'Camerieri' (di Leone Pompucci, 1994, presentato a Venezia) sono seguiti due spot tv in compagnia di Paolo Villaggio per la regia di Maurizio Nichetti. Protagonista del corto 'Estate in città' (di Davide Ferrario, 1996), ha trovato il suo più grande successo commerciale da attore con 'Radiofreccia' (di Luciano Ligabue, 1998).
Come autore e regista ha al suo attivo diversi spot pubblicitari per emittenti a diffusione regionale, il mediometraggio 'La travagliata storia di un uomo tranquillo come un palombo' (1992) e il corto 'Dobra Sgnobra' (1997), vincitore del festival Cortinametraggi e del CortoImolaFestival sezione Kinder Kino.
(Articolo di Francesco Denti, pubblicato su Orizzonti. Anno 1999)
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