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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

Incontri letterari: Henning Mankell

di Rivista Orizzonti

Se doveva essere una riunione per discutere sul cupo destino dell’Africa, è stato senz’altro un avvenimento interessante, pienamente riuscito. Se invece lo scopo dell’incontro al Campidoglio (23/11/2005) era la presentazione del nuovo libro di Henning Mankell, beh, non che l’evento sia stato deludente, ma forse è da rivedere il sistema degli oratori che dovrebbero parlare dello scrittore – o almeno introdurre velocemente dei temi su cui poi l’autore potrà dire la sua – e invece finiscono un po’ per perdersi nei meandri di lunghi ricordi personali. Ma insomma.
Siamo d’accordo con Mankell e i suoi anfitrioni: è facile, superficiale e molto pericoloso dire che gli africani muoiono di mille malattie perché non sono in grado di prendere le medicine, non hanno idea di che cosa sia la regolarità, non possiedono un orologio, non resistono all’istinto (di bere, quando l’acqua è stagnante e maleodorante; di accoppiarsi, quando tanti uomini e donne sono affetti dal virus dell’hiv e magari neanche lo sanno).
È facile, perché scarica le nostre coscienze distanti di europei che hanno altro a cui pensare; è superficiale, perché le cose non stanno (o non stanno semplicemente) così; è pericoloso, perché per quanto prive di rabbia, ostilità o disgusto, queste sono affermazioni palesemente razziste.
Ma soprattutto: le chiacchiere, come si suol dire, stanno a zero. La situazione è disperata, e a questo punto ben più importante del dire è il fare.
Ecco perché sono nati i «Memory Books», quaderni su cui giovani genitori malati di aids riportano i propri ricordi e qualche consiglio per il futuro dei figli, che difficilmente vedranno crescere. Un’operazione di estrema importanza sociale e culturale, che potrebbe salvare la memoria di un continente altrimenti destinata a svanire.
Ed ecco perché Henning Mankell, svedese di nascita ma africano d’adozione, ha dedicato «Io muoio, ma il ricordo vive » ai «Memory Books »e devolve il ricavato delle vendite al progetto Aids di Plan International.

Ma torniamo all’incontro capitolino: i conferenzieri seduti dietro ai microfoni parlano con trasporto, sciorinando dati, raccontando aneddoti, accusando l’Occidente, sproloquiando, commentando e interpretando (“en passant”) il libro di Mankell, che peraltro non viene mai chiamato in causa. Anzi, lo scrittore si trova suo malgrado a “fare tappezzeria” e si limita a sorridere, con frequenti espressioni di stupore e incredulità, mentre ascolta attentamente le parole che la traduttrice simultanea gli sussurra all’orecchio. Le sue smorfie mute, comunque, sono più che eloquenti (“ah sì? Io ho voluto affermare questa cosa? Bah… non me ne ero accorto, che buffo… mah, se lo dice lui… boh, punti di vista…”), e io non posso fare a meno di ridacchiare sommessamente.
Si fanno discorsi interessanti, per carità: pochi sanno che, se è vero che nel sud del mondo milioni di bambini muoiono di aids, è vero anche che la diarrea miete molte più vittime. E allora partono proclami e proposte. Perché non si riesce ad organizzare una Giornata Mondiale contro la Diarrea? Suona forse come un avvenimento ridicolo? E non è molto più ridicolo continuare a non fare nulla, quando per fermare la diarrea in Africa basterebbe un rimedio casalingo a base di acqua, limone e zucchero (una terapia molto più semplice e infinitamente più economica di quella contro l’aids)?
L’Uomo Bianco è il grande imputato di questo incontro accalorato. A quanto pare, dopo aver causato danni irreparabili, ora sta compiendo l’ultima violenza ai danni dell’Africa, per certi versi la più bieca: sfruttando perfino la solidarietà. Si è presentato lì con quattro soldi e anche con la spocchia di chi sente che “fare del bene” è la sua missione. E per giunta, senza nutrire la minima fiducia nella maturità della gente del posto.
Per fortuna a questo punto qualcuno interviene parlando dei « Memory Books» come metaforici ponti tra due culture, o come una mano da tendere all’Africa; finalmente Mankell prende la parola e comincia il suo monologo, che io provo a trascrivere.

“La notte mi capita di svegliarmi, in un bagno di sudore. E ho paura. Ho paura che noi occidentali non ci rendiamo veramente conto di quanto stia succedendo nel mondo. Siamo così miopi, e così meschini. E troviamo tranquillizzante poter fare ancora distinzioni tra 'noi' e 'loro'. Non abbiamo capito proprio nulla.
Una prova? Si parla tanto di come gli africani muoiono, ma nessuno dice mai niente su come vivono. E vivono eccome! In Africa si avverte una grande voglia, un immenso bisogno di vita. Quante speranze per il futuro, nonostante la povertà, le malattie e tutto il resto. Eppure nell’occidente ricco non se ne parla. Forse non è abbastanza interessante.
Avverto un forte disprezzo nei confronti degli africani, e questo disprezzo mi spaventa. È difficile per noi cittadini europei considerare delle persone malate e denutrite come dei nostri simili. Naturalmente questo non possiamo ammetterlo, perché alle nostre orecchie suonerebbe come un’affermazione razzista. E allora cerchiamo delle scuse per poter dire la stessa cosa ma in maniera apparentemente più morbida, in modo da non tormentare troppo la nostra suscettibile coscienza. Però nel profondo lo sentiamo chiaramente: gli africani non sono uguali a noi.
Possiamo fare qualcosa per rimediare?
La drammatica verità è che possiamo sempre fare di più, ma non potremo mai fare abbastanza. Ormai.
Vi faccio una domanda: qual è il centro dell’Europa? Bruxelles? Parigi, Roma? Londra? Sono tutte risposte sensate, se consideriamo la questione da un punto di vista politico, artistico o finanziario. Per me però il centro simbolico dell’Europa è Lampedusa: lì si decide veramente come sarà l’Europa del futuro.
Oggi c’è un’Europa in cui i poveri africani arrivano per sfuggire alle malattie, alle dittature, alle guerre, alla miseria; ma difficilmente riescono a vederla, questa Europa, e muoiono stremati sulle spiagge di Lampedusa. Domani potrebbe esistere un’altra Europa, accogliente, che tende la mano a chi chiede aiuto. Chissà.
E mi chiedo: il terrorismo ci fa paura, e allora investiamo denaro, tempo, contingenti militari, ogni genere di risorse per combattere il terrorismo. Ma perché non investiamo un po’ di forze per combattere l’aids in Africa? (Attenzione: sto usando la parola 'Africa' per parlare di tutto il cosiddetto sud del mondo, e la parola 'aids' per indicare tutte le malattie che affliggono questo sud del mondo).
La risposta è molto sgradevole da sentire: è perché non ci sentiamo direttamente minacciati. E allora, in fondo, che cosa ce ne importa?
Un tempo il mondo si poteva distinguere fra paesi ricchi e poveri, paesi sviluppati e sottosviluppati. Oggi la linea di confine è un’altra, e separa i posti in cui le malattie sono mortali dai posti in cui sono solo croniche.
Non è uno scandalo che al giorno d’oggi un bambino possa morire di malaria, o di polmonite, o di diarrea? Beh, noi non stiamo parlando di un bambino, ma di milioni e milioni di bambini! Le disgrazie succedono, purtroppo, ma quando una malattia come la malaria arriva a falcidiare un intero continente, io non riesco a trattenere la mia rabbia: certi flagelli si potrebbero evitare così facilmente…
Concludo: ho cominciato il mio intervento raccontandovi che di notte mi capita spesso di svegliarmi all’improvviso, angosciato, eccetera eccetera.
Devo però ammettere che oggi, qui tra voi, in mezzo a gente che – mi sembra – la pensa come me, mi sento più tranquillo. E mi dico che forse non è troppo tardi per fare qualcosa.”

Ho il tempo per una domanda al volo, e chiedo a Mankell qualcosa in più sui «Memory Books»: come ne è venuto a conoscenza, o quando ha deciso di legare il suo nome al progetto.

“Senti questa storia. In un villaggio dell’Uganda, una volta, mi ha avvicinato una bimbetta di dieci anni con un quaderno in mano. I suoi genitori erano morti di aids, e lei mi voleva mostrare il Libro della Memoria di sua madre. Su questo quaderno non c’era scritto niente; ma tra le sue pagine ho visto una farfalla essiccata, bellissima, con delle grandi ali azzurre.
La bambina mi ha detto: ‘io avevo una madre, e lei amava molto le farfalle’. Tutto qui. Questo libro come opera letteraria forse non ha un gran valore, ma come documento è essenziale. Io conosco Shakespeare, Dostoevskij, Elsa Morante, ma arrivo ad affermare che questo è il libro più importante che abbia mai letto.”

“Quando tutte le inchieste, i rapporti, i calcoli finanziari, le raccolte di poesie, gli spettacoli, le formule matematiche per il lancio dei missili, i programmi per i computer, tutto quello che modella la nostra vita e la nostra storia sarà dimenticato, allora, forse, questi sottili quaderni, questi ricordi di chi è morto troppo presto, saranno i documenti più importanti del nostro tempo.”

(Henning Mankell, Io muoio, ma il ricordo vive, Marsilio, pag. 43)


(Articolo di Francesco Denti, pubblicato su Orizzonti n. 28, marzo 2006)

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