| Come è noto, Pulcinella è la maschera storica, partenopea per eccellenza. Se si parla di Pulcinella, va ricordato però che di tale maschera (dalle caratteristiche di gallinaceo che indossa un abito bianco) esistono vari aspetti da analizzare: quello della Commedia dell’Arte, la sua presenza nell’iconografia artistica, quello ricco di funzioni simboliche e rituali nelle feste (es. il Carnevale), nei giochi, nelle canzoni popolari. E infine quello degli spettacoli di burattini e nell’arte comica, attraverso canovacci ripresi dalla tradizione teatrale napoletana (da Petito a Scarpetta).
Ed ecco Totò, suo erede nel ‘900. Per Totò la tradizione era una ininterrotta narrazione e rinarrazione (come l’ha definita R. Escobar) popolare, che pur restando uguale, di passaggio in passaggio si sposta e si trasforma, anche futuristicamente. Per questo ho definito Totò “partenopeo e parte-futurista” nel mio ultimo libro su di lui (Totò partenopeo e parte-futurista, Aletti ed.). Totò sa proporre nel suo teatro e poi nel cinema varie soluzioni moderne (compreso il “demenziale”) in sintonia con i fermenti del suo tempo in ambito teatrale. Vari autori (come G. P. Lucini o G. Craig e in seguito Marinetti con i suoi “manifesti” del ’13 e del ’15 e Cangiullo con il “Teatro della Sorpresa” del ’21) si erano interessati al linguaggio del teatro “minore” (considerato come il “livello zero” da cui ripartire), come pure alcuni attori sperimentarono nuove strade per creare una comicità diversa: Viviani, Petrolini, De Marco nell’ambito del Varietà. Di fatto, il comico napoletano fin da piccolo e da adolescente era naturalmente andato proprio verso le radici della tradizione del teatro di figura, dei burattini, della Commedia dell’Arte, come dei fuochi d’artificio della festa di Piedigrotta (portati fino all’astrazione dal futurista Cangiullo). Ci sono varie fasi nel rapporto di Totò con la tradizione a confronto con la modernità, attraverso gli anni ’10 (da ragazzo, come sostiene un critico, Totò interpretò anche Fifì Rino di Viviani) e poi ’20, ’30 e successivamente, dall’incontro con G. De Marco, un po’ burattino, un po’ Pulcinella, nel Varietà napoletano. Che considerò il suo maestro (appena quattordicenne) vera metamorfosi per lui dell’archetipo del Pulcinella/burattino, con un repertorio che comprendeva (come Petrolini) anche numeri di sapore futurista. Geniali parodie, ricche di “parole in libertà” e marionettismo, movimenti da gallinaceo, carissimi a Totò. Con tale comico acrobatico cambia già in larga parte il costume di Totò, che è frutto di uno spostamento verso i “tempi moderni” e non può essere quello del passato, ma in sintonia con esso: anche perciò Totò è un Pulcinella molto moderno, come scrissi in un articolo del ’95. Generalmente Totò, fin dagli anni ’20 a Roma, portava la bombetta nera (bianca nel film anarchico e surreale: Totò all’Inferno), la “sciammeria” e i calzoni a mezz’asta. A ben vedere ereditando in forma nuova le funzioni di Pulcinella, annullando la sua identità con svariate espressioni mimiche del volto, che lo rendevano simultaneamente “uno, nessuno e centomila” era in grado di assumere (come la maschera di Pulcinella appunto) molti ruoli (sia in teatro, sia nel cinema). E il nero della bombetta e certi suoi caroselli finali con la candela in mano, ci ricordano il lato funereo e macabro della sua comicità, che lo collega comunque all’antica maschera partenopea. Esorcizzando grottescamente la Morte. Sulla falsariga del “controdolore” di Palazzeschi e di Petrolini, che elaborarono un loro futurismo, come il napoletano F. Cangiullo, vero alter-ego di Marinetti a Napoli, promotore del “Teatro della Sorpresa”, diffuso da alcune compagnie teatrali in varie province italiane. Con trovate e burle da scugnizzo e continue sperimentazioni. Nel film di Totò, Il ratto delle sabine, possono essere trovate tracce di tali spettacoli e le reazioni del pubblico. Totò guardò prestissimo alla modernità del teatro di Varietà napoletano e romano come al suo ambiente artistico ideale (che riproponeva in fondo le “chiavi” comiche della Commedia dell’Arte o il marionettismo e lo sproloquio dei burattini: lo stesso Cangiullo aveva considerato G. De Marco il “Pinocchio frenetico del ‘900”). E proprio al Varietà si ispirava il Futurismo soprattutto a Napoli dove aveva una lunga storia, che risaliva al 1890, con attori veramente straordinari del mitico “Salone Margherita”.
Totò si trova ad operare nello scambio continuo tra tradizione e modernità futurista (e poi surrealista), elaborando sul modello del Pulcinella/burattino una sua figura d’Avanguardia: partendo dal concreto per arrivare all’astratto, rovesciando il sublime in ridicolo (ad es. con il gag petroliniano dell’aulicità a livello linguistico). Esaltando ciò che è concreto come il cibo o il corpo femminile, in ambienti snob (a Capri ad esempio). Quindi Totò seppe seguire la sua vocazione in maniera del tutto autonoma e grazie alle sue radici nel teatro di figura, nella Commedia dell’Arte e nelle feste popolari (come pure nel “Pazzariello”), da napoletano verace (si ricordi che Marinetti amava molto Napoli e considerava i napoletani naturalmente futuristi per il loro temperamento) comprese che dietro le pirotecniche esperienze d’Avanguardia, le famose “serate” di cui parlavano i giornali dell’epoca, propagandate da manifesti e striscioni nelle strade, si manifestava l’esigenza di un nuovo teatro rispetto a quello dell’800. Proprio attraverso il Varietà (con il cortometraggio del cinema o il circo). Ciò lo coinvolse emotivamente nella lunga formazione della sua vis comica mediante la visione (e personale rielaborazione) di numeri, parodie e atti unici veramente rivoluzionari di E. Petrolini (come il “Nerone” o “L’Otello” e altri) o di G. De. Marco: le stesse “macchiette” di Maldacea rientrano in tale discorso innovativo nel Varietà, una sorta di “sintesi” futurista ante litteram, come è stato scritto.
Di certo non si può parlare di Futurismo teatrale se si prescinde proprio da Petrolini (il Pulcinella romano), che per molti aspetti precorse le idee di Marinetti (si pensi a “Serenata pedestre”).
Petrolini aderì al Futurismo, grazie a Cangiullo con cui scrisse Radioscopia, recitò le “sintesi” futuriste così come fu a lungo il protagonista del Varietà, con le sue celebri “macchiette”. Sappiamo che l’ammirazione di Totò per Petrolini era grande ed è chiaro che il comico napoletano recepì anche da lui molti “messaggi” del Futurismo. Totò si inserì nella Rivista e poi nel cinema anche come possibile erede di Petrolini (insieme al “maestro” G. De Marco con i suoi numeri acrobatici) e se Petrolini era stato un vero anticipatore dei Futuristi, Totò ne prosegue l’esempio a suo modo, con una comicità molto originale e creativa, rapportandosi a più livelli a Pulcinella: il più popolare e antico, in maniera dinamica. Fino all’astrazione, così esaltata dal Futurismo, anche in sintonia con la musica dei rumori, tipica di tanti suoi film. Petrolini nel ’23 si orientò verso il teatro “alto”, borghese e lasciò il Varietà. Totò proseguì, al contrario in tale ambito: di fatto il teatro congeniale a Totò era quello dell’attore, che si faceva autore in scena. E portò, sempre, anche nel cinema la “scena in libertà” amata da Cangiullo. Con la sua grande capacità di sintesi Totò inventò così un suo “surreale con i piedi per terra” (come è stato detto) e portò nel suo teatro e nel cinema (soprattutto con Mattoli) considerato “minore” un Futurismo molto napoletano e non intellettualistico, come quello di certi clichès dei registi e degli sceneggiatori degli anni ’30, dei suoi primi film. Era l’unico (e lo capì benissimo, proprio perché erede di Pulcinella) adatto alle masse popolari che lo seguivano, come aveva iniziato a fare in teatro, con grande successo.
Seppe così mostrarsi come un liberatore dagli “ismi” imposti dai “caporali” della cultura ufficiale. Funzione verace di Pulcinella, che allontana il Male con sonore mazzate e qui l’antico e il moderno ancora si incontrano...
(Articolo di Aldo Marzi, pubblicato nella rubrica "Totò allo specchio" della rivista Orizzonti)
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