| Torniamo volentieri a parlare di Pietro Germi, uomo di cinema di tempra forte e robusto, anzi robustissimo mestiere. Già con Un maledetto imbroglio(l959) liberissimamente ispirato al Pasticciaccio brutto de via Merulana di C. E. Gadda, aveva letteralmente inventato il modello di giallo all’italiana, purtroppo modello insuperato negli innumerevoli epigoni a venire dei vari “polizziotteschi” anni ’60 o nei grotteschi ed eccessivi horror dell’Argento Dario. Germi nell’Imbroglio aveva calibrato perfettamente intrigo, caratteri e tensioni in un crescendo narrativo tutto immerso in un clima e in situazioni veracemente nostre, dell’Italia di quegli anni. E si dovrà citare, per forza, la incredibile bravura del grande Saro Urzì, il brigadiere siciliano, attore che fu quasi il “doppio”, l’alter ego di Germi in (quasi) tutti i suoi film. Ma ecco che Germi, dal giallo italico, passa con il Brigante di Tacca del lupo (1952) all’ambiente storico post-risorgimentale, in quel capitolo tragico e controverso che fu la lotta al brigantaggio meridionale. Germi accenna (non può far di più, fior di storici si sono misurati!) con tratti rapidi al dilemma della questione meridionale che da allora e fino ad oggi ritorna ciclicamente nella problematica nazionale. È vero che Germi tratta i crudeli briganti come Ford trattava i pellirosse nei suoi western, ma fa capire anche in quel paesaggio aspro e spietato quanta parte di colpa ebbero gli “invasori” piemontesi nel non voler comprendere e medicare la miseria e la disperazione di quei “cafoni” eternamente vessati che fecero del brigantaggio la tragica rivolta della loro rabbia. Ma tornando, non essendo questo un saggio storico, a parlare di cinema, si dovrà dire a chiare lettere che qui, anche qui, Germi inventa nell’asprezza di quelle sfide e di quei virili confronti tra paura e coraggio il vero western italico, ambientato nel vero nostro Far West, la frontiera autentica che fu lo scenario della lotta crudele tra la miseria, la dignità ferita di quelle genti e la legge imposta dal nord, legge estranea incomprensibile e dura. Germi nel raccontare il suo western fatto di uomini forti e paesaggi desolati ebbe al solito mano sicura e felice. Il Brigante di Tacca del lupo resta anch’esso modello trascurato e insuperato nei successivi “spaghetti-western” che con metodi eccessivi ed autoironici copiarono terre e problematiche americane. Ma il tempo e lo spazio stringe perché abbiamo da citarvi un terzo Germi, forse non il suo miglior film, ma certo, alla luce degli eventi migratori odierni, un esempio e un modello di umanità e di comprensione tra le genti che, oggi come oggi, dovrebbe essere tolto dalla polvere d’archivio e proposto al pubblico, nelle università, nelle scuole, come promemoria di quel che fummo (come emigranti) e di come il coraggio, la tolleranza e la comprensione che ci aiutò allora ad essere accettati siano oggi necessari nei confronti degli “stranieri” che da noi cercano salvezza e dignità. Parliamo naturalmente del Cammino della speranza (1950), dove si narra di disperati solfatari gettati nella miseria che attraversano avventurosamente l’Italia per cercare in Francia la loro terra promessa. L’odissea di quei disperati (eravamo noi!) dovrebbe insegnarci molto a guardarci dentro e fuori, nel dilemma umano e sociale che di questi tempi ci viene proposto.
(Dalla rubrica “La cineteca dimenticata” di Luigi M. Bruno, Orizzonti n. 36)
Continua a seguirci su facebook al seguente link:
www.facebook.com/rivistaorizzonti
|