| Ciriolando, fiumarolo, zoccolando sono alcuni dei termini e nomignoli a cui ricorre Sandra Petrignani nel suo nuovo libro E in mezzo il fiume (edito da Laterza) per descrivere quell’atavico legame che intercorre tra la città eterna ed il fiume che l’attraversa.
La Petrignani, così come con pennellate decise ridisegnò le essenze della scrittura femminile del secolo appena trascorso nel saggio La scrittrice abita qui (dalla nuorese Grazia Deledda a Karen Blixen a Marguerite Yourcenar), propone un modo nuovo di osservare il quartiere antico di Trastevere - con l’anima - in questa sua “passeggiata romana”.
«È necessario innamorarsi profondamente di Roma per ricordarsi del Tevere, per riconoscerlo come il sangue nelle sue vene» spiega la Petrignani. È uno scambio d’amorosi sensi, di empatia totale, quello tra il fiume sottostante ed il quartiere intero che si rispecchia nei vortici e nei mulinelli delle sue bionde acque. È una umanità varia - fatta di artisti, scrittori, ricchi, poveri, ladri, “arrivati”, manager, operai - quella multietnica che “vive” in questo quartiere, in “caotica simpatia”.
Sandra Petrignani, oziolando e ciriolando per i vicoli a ridosso del sacro Tiber - la scrittrice abita qui - ascolta i racconti intimi portati dal fiume e li riversa sulla pagina, per far parlare i luoghi e le storie della città.
Nel suo nuovo libro, che non è un romanzo, accenna a personaggi che rappresentano i cardini della nostra cultura, come Pier Paolo Pasolini, Laura Betti. Qual era il loro rapporto con Roma?
«E in mezzo il fiume è un libro corale. Ho voluto condividere il mio amore per la città con tante presenze, vive per la maggior parte, e alcune figure - pochissime - che non ci sono più, ma che rappresentano profondamente la città. Marcello Mastroianni, per esempio. O, appunto, Pasolini. Di Laura Betti mi è sembrata irresistibile una frase: “Roma è una città di campagna dove esci di casa zoccolando”. Parlava della Roma vecchia, naturalmente. A Trastevere è ancora così; davvero puoi uscire in pantofole e vestaglia, senza che ti prendano per pazzo. Anzi, il bello del quartiere è proprio la nuova commistione di bohème artistica, nobile povertà e ricchezza timida, non esibita, una ricchezza quasi controvoglia e vergognosa di sé».
Lei è nata a Piacenza; ricorda con rimpianto la sua separazione dall’Emilia Romagna per il Lazio?
«No, perché desideravo molto venire a Roma, dove viveva la mia nonna paterna. Mia madre, poi, detestava le nebbie della Val Padana, il clima umidissimo che - diceva - la faceva ammalare, e mi parlava sempre di Roma come la città più bella e importante del mondo. Così trasferirmi a Roma divenne precocemente lo scopo della mia vita: pensavo (erroneamente) che a Roma mia madre sarebbe stata felice e che mi avrebbe quindi voluto più bene. Ho raccontato tutto questo, e il complicato intreccio geografico-sentimentale del rapporto con Roma e con mia madre, nel libro precedente, Dolorose considerazioni del cuore, edito da Nottetempo».
Da quanti anni vive a Roma?
«Moltissimi, una cinquantina. Vale a dire: mezzo secolo. Stento a credere di essere così vecchia!»
Che rapporto ha Sandra Petrignani con la Poesia, dato che si ricordano di più i suoi libri di narrativa?
«La poesia è la giovinezza. Non ho più scritto una poesia dal 1983, quando è nato mio figlio. Ho corretto il modo di vivere autodistruttivo che era alla radice dell’espressione poetica. Ho deciso in qualche modo di vivere e prendermi la responsabilità di un’altra vita. La prosa fa correre meno rischi: l’inconscio resta imbrigliato nella costruzione narrativa. Essere poeta, per personalità psicolabili, può voler dire farsi travolgere dall’inconscio».
Ha mai scritto per il Teatro?
«Sì, ho esordito come poetessa e con una commedia femminista al Teatro La Maddalena di Roma, dove ci riunivamo e lavoravamo intorno a Dacia Maraini.; erano i primi anni ’70. Poi mi è capitato di scrivere qualche altro monologo. Recentemente, ho scritto una breve pièce per il Napoliteatrofestival che è andata in scena nel giugno dell’anno scorso. Ho anche scritto radiodrammi per la Rai. Uno, Dopo cena, è stato pubblicato dalle edizioni Eri».
Quale è stata la motivazione che l’ha indotta a scrivere?
«Il senso di isolamento e di disperazione provato nell’infanzia».
Che rapporto ha Sandra Petrignani con gli intellettuali che vivono a Roma?
«Ho qualche amico fra loro, e quando dico amico voglio dire che lo scambio non è solo intellettuale, anzi direi che non lo è quasi per niente. Con tanti intellettuali, che inevitabilmente conosco anche da molti anni, intrattengo scambi soprattutto di lavoro o sociali. Leggo parecchio i lavori di altri scrittori, critici, filosofi e poeti contemporanei italiani, e trovo che ci siano in giro molte belle menti».
Un’ultima domanda: cosa c’è nei programmi futuri di Sandra Petrignani?
«Un libro su Marguerite Duras, che gira intorno al suo complicato rapporto con la madre. Ho fatto i viaggi preparatori necessari, ho letto tutto quello che potevo leggere, ho conosciuto suo figlio, visto le sue case, conservate dal figlio come quando lei era viva. Ci ho pensato tanto. Ora mi devo fermare e scrivere».
(Articolo di Giuseppe Lorin)
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