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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

Il viaggio - Turchia. Istanbul: la porta d’Oriente…

di Rivista Orizzonti

Un lungo trasferimento ci attende per arrivare fino ad Istanbul, la città che, per via della sua storia millenaria, costituisce l’apoteosi del nostro viaggio in Turchia. Di buon mattino partiamo da Urgup, in Cappadocia, e raggiungiamo Ankara percorrendo strade secondarie, ma ben tenute. Per attraversare la capitale turca impiegheremo più di un’ora a causa del traffico, caotico all’inverosimile. Usciti da Ankara imbocchiamo, finalmente, l’autostrada per Istanbul. Percorreremo, in totale, all’incirca 800 km.
Il viaggio è noioso: autostrada pressoché deserta e paesaggio tutto uguale. Attendiamo la comparsa di Istanbul dietro ad ogni curva, dopo ogni dosso che superiamo, ma l’illusione resisterà fino a sera, quando finalmente vedremo profilarsi sull’orizzonte uno dei tanti ponti sul Bosforo, giusto in tempo per ammirare un indimenticabile tramonto. Attraversiamo il ponte che unisce l’Europa all’Asia e passiamo, metaforicamente, la porta d’Oriente. Nel quartiere di Sirkeci, dove abbiamo individuato una serie di alberghi per sistemarci, veniamo avvicinati da un tipo losco che con insistenza ci propone di comprare della droga. Certo non possiamo dire che l’arrivo ad Istanbul non sia movimentato.
Prima di partire ci chiedevamo se Istanbul continuava ad essere la mitica Terra d’incontro tra Occidente ed Oriente, il luogo dove il viaggiatore europeo faceva la sua prima conoscenza con l’Islam, la porta d’Oriente così come venne definita, per secoli, nella letteratura di viaggio. Sarà ancora così? Istanbul conserva l’antico retaggio del suo passato, di Costantinopoli, di Bisanzio? Dopo aver visitato la città la risposta non può essere che affermativa. Istanbul resta e resterà sempre la porta d’Oriente. Esiste, dunque, ancora più di una ragione per recarsi e a testimonianza basteranno le riflessioni di seguito riportate anche se la mia penna è inadeguata a descrivere l’atmosfera e le meraviglie che furono di Costantinopoli prima, di Bisanzio poi e di Istanbul ora. È difficile spiegare le sensazioni forti che trasmette questa splendida città e che si colgono soltanto visitandola. In ogni caso ci provo!
All’entrata del Palazzo Topkapi, come in tutti gli altri luoghi turistici, veniamo meticolosamente perquisiti dalla polizia turca, che staziona davanti a tutti i monumenti. Il Topkapi è un insieme di cortili, chioschi, fontane, moschee e giardini. Fu la residenza del sultano fino al 1839. All’interno, oltre all’harem (bellissimo), si possono visitare vari musei, tra i quali il più meritevole d’esser visto è quello del tesoro. Nelle vetrine al centro delle sale sono esposti pugnali, spade d’oro tempestate di diamanti, culle, troni d’oro e perle e, in una sala a parte, un pezzo unico: il diamante grezzo più grande del mondo. Anche coloro che non amano girare per musei troveranno coinvolgenti queste sale. Provare per credere. L’unico grande inconveniente sono la ressa e la folla. Per tanto, visitate il Palazzo Topkapi al mattino presto.
Usciti dal Topkapi è gioco forza entrare in Santa Sofia, nelle immediate vicinanze. È considerata una delle meraviglie architettoniche di tutti i tempi. La basilica cristiana fu il centro della vita religiosa di Bisanzio fino alla conquista della città da parte dei turchi, i quali la trasformarono in moschea. Dal 1935 è un museo, ricco, oltre che per la sua storia, per i suoi raffinati mosaici. All’interno ci soffermiamo attorno ad un punto del pavimento della chiesa, appositamente recintato, ritenuto il centro esatto del mondo. I turisti entrano sbadatamente nella grande moschea. Pochi, forse nessuno, sono in grado di vedere con gli occhi della fantasia i cavalli di Maometto II, conquistatore di Costantinopoli, cavalcare nella cattedrale e scivolare sul pavimento reso viscido dal sangue dei greci-cristiani, che qui si erano rifugiati e qui vennero crudelmente decapitati.
Consumiamo in un chiosco il pranzo a base di kebab, una sorta di hot dog turco. Se mi si passa il paragone. E con due passi da Santa Sofia giungiamo alla Moschea Blu, considerato l’edificio più importante di Istanbul. Il nome fa riferimento al colore blu-verde delle maioliche che la abbelliscono. È l’unica moschea della città ad avere sei minareti. All’interno sotto la cupola alta ben 43 metri, si passeggia sopra tappeti morbidissimi, e puzzolenti, dai caratteristici disegni, ciascuno con significati particolari, su ognuno dei quali i fedeli islamici pregano rivolti, naturalmente, verso La Mecca. Un’altra moschea da non perdere è quella del Sultano, fatta costruire da Solimano il Magnifico in posizione panoramica, su una delle sette colline della città. Se desiderate, però, partecipare ad una preghiera autentica, entrate in una delle tante anonime moschee di Istanbul. Vi accorgerete che è proprio davanti alla moschea che si svolge la vita sociale dei turchi. I fedeli mussulmani si lavano i piedi e le braccia nelle apposite fontane; gli uomini (si vedono soltanto uomini, qui intorno) parlano, discutono e ragionano all’interno della moschea, come noi occidentali facciamo, che so, in una piazza. Le donne non si vedono perché il luogo della preghiera, a loro riservato, è separato da quello degli uomini attraverso grandi lenzuola. Se decidete di andare in una di queste moschee, non dimenticatevi di vestire in maniera severa per non urtare i costumi locali. Niente calzoncini o bermuda, quindi, mentre le donne indossino un velo che funga da chador. Ricordatevi inoltre di togliervi le scarpe. Dico tutto questo perché qui non troverete dei responsabili addetti ad osservare che l’ospite straniero rispetti le regole, come invece avviene davanti alle moschee turistiche.
Il giorno seguente attraversiamo il ponte di Galata e ci spostiamo verso la torre omonima, costruita dai genovesi per proteggere il quartiere di Galata. [Nella foto: Torre Galata]
Durante il periodo ottomano ebbe anche funzione di prigione e di torre di avvistamento. Il panorama dall’alto dei suoi 68 metri è incantevole, spazia sulla città dove le numerose moschee, simbolo dell’Islam, si stagliano nel cielo, con il mare a fare da preziosa cornice. Istanbul è anche la città delle fontane e delle cisterne. Noi abbiamo visitato la Cisterna di Yerebatan Sarayi, assolutamente da non perdere. Si tratta di un meraviglioso palazzo sommerso adibito a riserva d’acqua. Ventotto file di colonne, con capitelli corinzi e bizantini, sostengono la volta della cisterna.
L’intero pomeriggio lo riserviamo al Gran Bazar, un must! Basta affacciarsi da una delle tante porte per rendersi conto di che cos’è il Gran Bazar: un groviglio di vie, una folla indistinta di gente, merci esposte che riempiono gli occhi, il naso e le orecchie per la sovrabbondanza di colori, odori, rumori, forme e luci. Si passa velocemente da una bancarella all’altra senza aver il tempo di fermarsi poiché si è distratti dalla successiva. I mercanti richiamano l’attenzione, invitano ad entrare per vedere la loro merce e sorridono sempre, anche quando alla fine di estenuanti contrattazioni non si compera nulla. Già... quel che per noi è il gioco della contrattazione, per loro è un’arte, un susseguirsi di prezzi e di cifre rilanciate. In ogni caso, statene certi: uscirete con qualcosa sotto il braccio. Sono i negozi di tappeti ad attirare maggiormente la nostra attenzione, con articoli ovunque, di ogni colore e misura. Nel bel mezzo del labirinto di botteghe due donnette, ricurve per l’avanzata età e con il capo coperto, ci colpiscono per il genere di prodotto che smerciano. Si tratta di polveri e radici miracolose, di pillole, di chissà che cosa, per guarire la prostata e, ancora, pastiglie di pepe nero o pinoli che restituirebbero il piacere della languidezza perduta.
All’ingresso delle porte del Bazar è impossibile non imbattersi nei caratteristici venditori d’acqua. Con una brocca d’acqua sulla schiena ed un solo bicchiere (opportunamente sciacquato di volta in volta) servono, per appunto, da bere alla gente per strada. Il desiderio di avvicinarne uno è forte, per via della sete, ma desistiamo. Nel quartiere di Aksaray, dopo tanto girovagare, ci concediamo un rilassante, si fa per dire, bagno turco. Sdraiati sulle scivolose vasche di marmo completamente nudi, dopo essere stati lavati e massaggiati, assaporiamo il fascino di questi ambienti, ci abbandoniamo al senso d’illusione creato dal leggero strato di vapore e dalla densa nebbiolina. Sembra di trovarsi in un posto evanescente, lontano dalla realtà.
Nel nostro terzo giorno di permanenza ad Istanbul giriamo senza meta fissa la metropoli, finendo da un capo all’altro della città. Ci ritroviamo a visitare, senza seguire alcun programma, la chiesa bizantina di San Salvatore in Chora, un raro gioiello per i mosaici a fondo d’oro che conserva; il Museo dell’Arte Turca e Islamica, dove restiamo sbalorditi dalla fattura dei disegni e dalle dimensioni dei tappeti; il Museo Militare ricco di reperti curiosi come le tipiche tende ottomane, fedelmente riprodotte; assistiamo, tra l’altro, allo spettacolo con esibizione di alcune bande militari turche. Ma sarà, soprattutto, la gente del quartiere del Corno d’Oro, l’essenza del popolo turco, ad incuriosirci. Qui incontriamo, più che altrove, donne, giovani e anziane, con il chador, addirittura alcune vestite interamente di nero e con il viso coperto, secondo la rigida regola islamica. Qui tocchiamo con mano quanto sia ancora distante dalla nostra la cultura dell’Islam, nonostante il veloce processo di occidentalizzazione. Non soltanto l’architettura di una moschea o il muezzin dei minareti, simboli identificativi dell’oriente, stanno ad indicare un mondo diverso dal nostro, ma la società turca stessa è ancora una realtà troppo lontana dalla nostra cultura.
Il battello, affittato per un giro panoramico sul Bosforo, sta attraccando e il tramonto su Istanbul, oltre a segnare la fine della giornata, sta ad indicare anche la fine della vacanza.
Istanbul è una città varia, affascinante e coinvolgente, per questo è impossibile rimanere delusi e non amarla. Qui sono germogliati gran parte dei conflitti e degli odi che poi si sono perpetuati altrove, non solo tra Occidente e Oriente. Nonostante la visita sia avvenuta, in sostanza, sotto scorta delle forze militari, Istanbul resta meravigliosa come sempre ed ancora, ogni giorno, conserva a ragione l’appellativo di porta d’Oriente.


(Articolo di Adriano Socchi, pubblicato su Orizzonti n. 35)

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