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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

H. M. van den Brink, il "Cuore di vetro" ( Intervista )

di Rivista Orizzonti

Ho incontrato H.M. van den Brink a Torino, in occasione della Fiera del Libro. Lo scrittore olandese, reduce dal successo conseguito con il precedente "Sull’acqua", si trovava nel capoluogo piemontese per presentare il nuovo romanzo "Cuore di vetro", recentemente pubblicato in italiano da Marsilio.
Ne è uscita una simpatica, bizzarra, informale chiacchierata, in cui la figura dell’intervistatore e quella dell’intervistato si sono spesso intrecciate e confuse.



VAN DEN BRINK: "Prima di sottopormi all’interrogazione, posso farti una domanda io?"

Certo, così movimentiamo l’intervista e la rendiamo anche più originale: prego.

VAN DEN BRINK : "Dopo aver letto "Cuore di vetro", che cosa ti è rimasto? Quale è il messaggio, secondo te? (A proposito, pensi che ce ne sia uno?) E… hai notato qualcosa di particolare, che so, hai delle osservazioni da fare?"

Alla faccia della domandina… ehm, mi sento intimorito a comunicare le mie impressioni su "Cuore di vetro" direttamente a chi l’ha scritto. Sa, non è come scrivere una recensione e sapere che prima o poi capiterà sotto gli occhi dell’autore. Comunque, direi che è un libro non superficiale, ma incentrato sulla superficialità: è vero?

VAN DEN BRINK : "Beh, sì. Superficialità nella vita, a partire dai rapporti umani: la gente ha paura di andare a fondo nelle cose. Credo che sia un libro sulla mancanza di amore, di passione, di interesse: tutte forme di coinvolgimento di cui il protagonista Erik Loeff ha paura".

Rinunciare a un’implicazione emotiva, insomma, per Loeff vuol dire innanzi tutto togliersi un potenziale problema, una potenziale sofferenza, una potenziale condanna.

VAN DEN BRINK: "Che cosa ti aspetti da uno che si considera "felicemente divorziato"? Non so, è un’espressione che mi fa rabbrividire, un assurdo controsenso.
Ma ti prego, vai avanti: mi interessa sapere che cosa sono riuscito a trasmetterti."

Ho l’impressione che sia un libro molto maschile. Non nel senso di maschilista, ovviamente (Loeff è succube dell’umore di Julia, e l’ultima cosa che farebbe è rinchiuderla in casa a badare ai fornelli). Però si avverte una certa solidarietà con le delusioni del protagonista, così riluttante a crescere, come molti uomini del resto. Un po’ fa pensare ai personaggi dei libri di Nick Hornby, ma lì c’è un certo compiacimento nell’essere infantili, qui no… Si riconosce in quello che dico?

VAN DEN BRINK: "Sì, assolutamente sì (ride). Facendo una media tra i giudizi che ho ricevuto, devo dire di aver riscontrato reazioni molto favorevoli da parte del pubblico maschile; e in tanti mi hanno confessato di aver apprezzato il libro anche per quello strano istinto di crogiolarsi nei propri dubbi e nelle proprie sofferenze, tipico degli uomini insicuri arrivati a una certa età. Evidentemente si sono sentiti capiti. Al contrario, mi sono piovute addosso delle lamentele da parte di alcune lettrici. Ad onor del vero, però, una giornalista mi ha rincuorato dicendomi di aver goduto di una lettura piacevolissima, sebbene poi si sia ritrovata alla fine del libro con un profondo senso di malinconia che probabilmente non si aspettava. Ecco, questa mi sembra un’ottima chiave di lettura; o, per lo meno, è quello che speravo di lasciare ai miei lettori.
Sulle differenze con Nick Hornby, sono sostanzialmente d’accordo con quello che dici. Penso all’amore smisurato per i dischi in vinile che nutre il protagonista di "Alta Fedeltà", dopo di che lo paragono con Loeff, quando scrivo di lui: "Non è uno di quelli che considera la musica pop in realtà un’arte. Tutto in realtà è un’arte. Tutto in realtà è qualcos’altro."
Rob di "Alta Fedeltà" ama davvero la sua musica, è un tutt’uno con i suoi dischi; in "Cuore di vetro" io cito continuamente nomi di bands e titoli di 45 giri, ma soprattutto perché una canzone di tre minuti è la forma più leggera e meno impegnativa di cultura, di arte, o anche di interesse, di hobby. Non bisogna fare nessuno sforzo, è una compagnia che si può piacevolmente subire.
Ma continua: hai notato altro?"

"Noia, ossia: troppe possibilità. Stanchezza: quando sono state riempite tutte." Forse che questo senso di vuoto, questa mancanza generale di amore è il suo modo di considerare la fine di un’epoca, la sua personale e pessimistica visione del volgere del millennio? C’è una connessione? Non lo so, sto solo azzardando…

VAN DEN BRINK: Il libro effettivamente è stato scritto fra il 1998 e il 1999, quindi la fine del secolo e del millennio è una cornice temporale molto adatta per il diffuso atteggiamento di preoccupata, ma superficiale passività nei confronti della vita. Forse non è un caso se spesso viene nominato anche Bill Clinton, eccezionale protagonista e testimonial di un periodo assai vacuo, in cui l’America (e il mondo, di riflesso) non si preoccupavano che degli scandaletti a sfondo sessuale del presidente…
Senti, passiamo ad altro: sono curioso di sapere come hai trovato il personaggio di Julia.

Pericoloso, come l’eterno femminino. Julia è sfuggente, non offre appigli, infonde timore e smarrimento in chi gli sta o prova a stargli accanto. Il povero Loeff si sente sempre inadeguato, non all’altezza. E poi, invece, scopriamo che l’atteggiamento così cool di Julia è una corazza, una maschera, un modo di dissimulare la sua propria insicurezza.

VAN DEN BRINK: "Sì, tutto sommato sì. Julia è la proiezione di Erik Loeff, è quello che lui vorrebbe essere. O semplicemente come vorrebbe apparire, forse. Il segreto sta nel vetro, l’autentico protagonista del romanzo: è come uno specchio, no? Gli specchi possono anche deformare le immagini che riflettono, e quanto più Loeff si sente fragile, tanto più vorrebbe essere duro, come il vetro infrangibile appunto, o come a lui appare Julia."

Già. E come la mettiamo con la girandola di sentimenti a cui assistiamo? La situazione affettiva si capovolge, anche se forse alla base di tutto c’è un malinteso mai chiarito: l’affaire finisce lì, senza risolversi, solo perché nessuno dei due va in profondità, nessuno ha voglia di rischiare, di impegnarsi, di fare il primo passo. Poveri Erik e Julia, che quadretto desolante…

VAN DEN BRINK: "Eh sì. D’altra parte, se la vacanza a Barcellona – e in particolare un memorabile pomeriggio in giro per negozi – è il momento più alto del loro stare insieme, qualcosa vorrà pur dire. Una coppia la cui affinità si regge sullo shopping (per quanto sui generis, come shopping) ci fa subito tornare all’idea di vuoto, di assenza."

E in questo vuoto come si inseriscono l’architettura e l’urbanistica, che evidentemente sono temi centrali nel suo romanzo?

VAN DEN BRINK: "Ogni mattina, milioni di Erik Loeff rimangono imbottigliati sulla strada che va da casa all’ufficio, e si lamentano, imprecano contro il TRAFFICO, senza rendersi conto che tutti loro sono parte di quell’essenza demoniaca. Dal finestrino dell’auto, ogni Erik Loeff guarda annoiato vialoni stracolmi di palazzi anonimi, brutti, edifici nati come luoghi di lavoro, evidentemente costruiti senza passione, da persone che non amavano ciò che stavano realizzando. L’architettura è necessariamente lo specchio di una società: una casa è il posto in cui viviamo, quindi riflette anche ciò che siamo."

E noi siamo superficiali. Il People Plaza, il progetto di un’immensa costruzione di vetro, è forse l’unica idea in cui Loeff crede veramente. E se poi il cliente dimostra di preferire il progetto alternativo solo per il tono più suadente e "pubblicitario" della presentazione, il messaggio negativo riferito all’odierna società civile mi sembra forte e chiaro.

VAN DEN BRINK: "Sì. Comunque… è solo un romanzo. Anche se – e questo scrivilo, perché fa vendere copie – sembra concepito apposta per una trasposizione cinematografica. E’ un libro di immagini, scene, inquadrature, tutto ripreso attraverso il vetro della telecamera".

Bene. Con quest’ultimo intervento qualche copia del libro dovremmo averla piazzata… ci fermiamo qui?

VAN DEN BRINK: "Eh no, scusa: già che ci siamo, lasciami giocare l’asso di briscola. Avvertiamo i lettori di Orizzonti che "Cuore di vetro" è anche un libro con molte scene di sesso: c’è poco amore, ma sesso in abbondanza. Scrivilo, mi raccomando, e anzi scrivilo stampatello, magari. Se fa vendere copie l’idea di un film, figuriamoci quanto fa vendere il sesso. E poi, se qualcuno non ha voglia di leggere tutta l’intervista, forse nota almeno la parola SESSO!"




(Articolo di Francesco Denti, pubblicato su Orizzonti n. 20)

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