| LOMÉ, 30 DICEMBRE 1988
Sulla spiaggia: bagliori.
Le nozze dei corpi con la natura. L’armonia indicibile degli spazi. La solitudine come condizione stellare. La preghiera come atto quotidiano di silenzio.
La vita s’interrompe, perché il pensiero ha il suo luogo d’origine. Difficile dare una spiegazione a tutto ciò. Scopro il sorriso fiorito d’innocenza. Ricerco la pace in una palma che danza col vento.
L’infanzia del mondo mi sta per un attimo fra le mani.
MERCI: quando le parole sono dita che ti toccano dolcemente, che si strofinano dentro di te, quando il linguaggio è una pelle.
Nella notte calda e avvolgente puoi chiedere a una stella che cade di naufragare. Essere “solitari” in una vertigine d’abbandono.
Lo stupore si materializza in una voce che parla una lingua musicale, negli occhi di un bimbo, nell’onda che ti chiama, nella naturalezza di un frutto maturo.
Prendo in custodia la mia anima. Un guizzo di felicità e il mio cuore sussulta, non è avvezzo... si smarrisce.
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3 GENNAIO 1989
h.17,30: La morte è qui sulla spiaggia, nuda come la verità, come il corpo del ragazzino annegato e che l’oceano misericordioso ha restituito alla terra... alla madre. Lo nascondono agli occhi degli altri, due rami di palma, in attesa che qualcuno se lo venga a prendere.
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6 GENNAIO 1989
Ultima notte in Togo, fa caldo nella stanza d’albergo e non riesco a prender sonno. Sono inquieta; la partenza dall’Africa, per me, è sempre un distacco doloroso. Lascio questa terra che resta in bilico fra un addio e il Nulla.
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21 MARZO 2008
Arriva un giorno nell’anno, solitamente in primavera, in cui metto mano alla pulizia delle scaffalature dello studio (su cui stanno libri, riviste,cartelline, foto...). A volte scopro un libro dimenticato, mai letto, un quaderno di appunti che non sapevo più di avere, una foto in bianco e nero di tanto tempo fa.
Questa volta è sbucato un quaderno a quadretti di note di viaggio, tenuto insieme dal nastro adesivo. Lo sfoglio con curiosità ed emozione, come se dovessi scoprire chissà quali avventure in quelle pagine. Subito mi cattura una data, «1988» (vent’anni fa), e un nome, «Togo». Leggo e rileggo quei pensieri, cerco di risalire, senza riuscirvi, agli stati d’animo che li avevano generati: forse effetto Africa?
Del mio viaggio reale non c’è quasi nulla: un’esperienza trasfigurata da uno sguardo interno. In questo istante penso che non esistono Paesi lontani: mi torna in mente l’itinerario percorso, gl’incontri fatti... per lampi, a zig-zag.
Ricordo un giovane studente in legge, conosciuto sulla spiaggia infinita di Lomé, al tramonto - quando l’arenile diventa il luogo privilegiato di uomini, vecchi, bambini, ragazzi, per passeggiare e conversare - che mi raccontò in un francese scorrevole le condizioni di vita nella capitale, le difficoltà che i giovani incontravano per poter studiare, la corruzione dilagante dei governanti, e il suo desiderio di andarsene.
In un attimo rivedo una piccola folla, tutta presa in scambi, che chiacchiera animatamente, e mi pare di sentire i suoni musicali dello «swaili» allontanarsi nell’aria.
Lo studente diventerà la nostra guida (per un paio di giorni) per l’esplorazione del territorio circostante la capitale, fatta su taxi locali collettivi in compagnia di passeggeri e merci varie; ricordo uno sciamano che teneva sulle ginocchia una specie di gabbia contenente un gallo magro e spelacchiato e parlava roteando gli occhi. È strano, me lo ricordo benissimo, come se fossi ora su quel taxi. Utilizzo alcune diapositive per ricostruire tasselli mancanti.
La prima che infilo nel “visore” è quella di un fiume largo, dalle rive bordate da alberi potenti e canneti, una piroga in lontananza. Ho scattato questa foto dalla barca in cui mi trovavo, mentre attraversavo il fiume per raggiungere il villaggio palafitticolo (in parte) di «Sciocodé» (così veniva pronunciato nella lingua locale).
Improvvisamente dai canneti si apriva un varco, un’imbarcazione con due pescatori, simultaneamente io tento di cogliere con l’obiettivo quell’immagine, scatenando l’ira di uno dei due che agitava le mani davanti al volto urlando. Io non so per quale “magia nera” ma quel fotogramma allo sviluppo è risultato nero... bruciato. Appena messo il piede sulla terra siamo travolti da uno sciame di bambini seminudi, sorridenti, a mani tese: chiedevano caramelle, biro, giocattoli. Lungo il sentiero polveroso che conduceva al villaggio alcune donne si agitavano con allegria. Tutto intorno erba giallastra, qualche cespuglio spinoso, assalito da un paio di caprette per nutrirsi. E polvere, polvere, tanta polvere.
La seconda che infilo nel visore mi rimanda la foto scattata dietro al parabrezza dell’auto, è un’immagine di vita originaria. La savana di primo mattino: un fuoco acceso davanti a una capanna, una madre accovacciata che tentava di pettinare i capelli crespi del suo bambino sotto lo sguardo di un vecchio alto, avvolto in una specie di coperta color sabbia. Intorno distese sconfinate, arrossate dal sole nascente. Eravamo diretti alla “fossa dei leoni” al confine con il Benin.
Viaggiamo per un giorno intero su piste in terra battuta, scassate, su una piccola utilitaria. Chissà quali occhi, artigli ci stavano spiando?
Nel buio, più buio della notte nella savana, s’incontravano uomini che camminavano in fila ai bordi della pista, qualcuno ha una torcia che rompe l’oscurità… non si sa dove siano diretti. Mi piace pensare in questo momento che talvolta in Africa gli déi camminino, invisibili nella notte, accanto a questi erranti con passo di danza.
(Articolo di Hans, pubblicato su Orizzonti n. 36)
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