| Quante volte, attraverso i suoi numerosi film, Totò ci ha portato con sé a tavola (luogo veramente simbolico per noi italiani: si ricordi che la cucina stessa, come ambiente della casa, rappresenta secondo la psicanalisi, proprio l’inconscio più vicino agli istinti) o ha parlato della fame, del cibo, magari sognato o desiderato o trasfigurato attraverso battute surreali?
Va citato in primo luogo il celebre film “Miseria e nobiltà”, dove, come acutamente scrisse G. Fofi, emerge sotto i panni di Felice Sciosciammocca, misero scrivano pubblico napoletano, la verace maschera di Pulcinella e dove «non un lazzo, non una battuta, non ha per tema la fame».
In tale opera di Scarpetta, in cui uno dei personaggi chiave è un cuoco, il riferimento al cibo è dunque onnipresente e la fame si manifesta con ricchezza di particolari: si pensi alla scena degli spaghetti, a Totò che ordina pizze o la sequenza indimenticabile del “paltò di Napoleone” con il suo lungo e rituale elenco di cibarie, o a quella in cui Totò e gli altri finti nobili si gettano a capofitto sui gelati. E altre, altre ancora.
La maschera, che Totò (nome d’arte di Antonio de Curtis) reincarna a suo modo e magistralmente, è mossa da fami e seti (vedi il film “Totò sceicco”) di cibo e bevande (come di sesso, di tranquillità economica, di lavoro o di casa, altre tematiche che si intrecciano con quella della morte).
Pulcinella, come tutte le maschere, esprime la storia e il temperamento del popolo campano e napoletano in particolare. E Totò è in simbiosi con tale realtà collettiva fin dall’infanzia (si pensi al teatro dei burattini).
Già nel mio libro del ’98 “Totò a scuola” e poi nell’articolo del 2001, intitolato “Totò e la fame”, avevo affrontato tale tema, cercando di cogliere i collegamenti tra il cibo, le tradizioni popolari, le maschere, che caratterizzano la sua produzione comica.
Come Pulcinella e come Pinocchio, il burattino per eccellenza creato da Collodi, Totò è davvero sempre affamato: la fame assilla il povero Totò in tutti i suoi film più famosi, che spesso ripropongono il suo repertorio teatrale. «Sposati il cuoco», diceva Totò a Pasquale il fotografo in “Miseria e nobiltà” e la mamma di Collodi un cuoco l’aveva sposato veramente: era Domenico Lorenzini il papà di Carlo, l’autore di Pinocchio (Totò interpretò Pinocchio in tre Riviste e nel film “Totò a colori”).
Decine e decine sono i cibi nominati proprio da Collodi nei vari capitoli del suo capolavoro, perfino i maccheroni alla napoletana e tante altre pietanze.
Certo l’odore dei cibi è rimasto nel naso (a proposito di nasi…) del piccolo Collodi, che anche da grande si dilettava in cucina.
Ciò conferma i collegamenti tra il teatro dei burattini, la Commedia dell’Arte, Pinocchio e Totò in rapporto alla fame. Pulcinella e Arlecchino, anche se diversamente, hanno uno stretto legame con il “basso corporeo” e gli istinti alimentari e non solo.
Totò erede e fratello di tali maschere / burattini della tradizione italiana, rivive tali tematiche, trasformandole e modernizzandole, fino all’iperbole.
Anche la pubblicazione del libro “Fegato qua, fegato là, fegato fritto e baccalà” di Liliana de Curtis e Matilde Amorosi, conferma il legame molto stretto tra Totò e il cibo, tra il suo linguaggio e la gastronomia, attraverso numerose battute e ricette della sua famiglia. È infatti mediante la nonna materna e la madre Anna Clemente, ottime cuoche, che la cultura gastronomica napoletana ha influenzato Totò come maschera popolare (e anche come uomo) e ha contribuito alla formazione della sua vis comica nel Rione Sanità, insieme con altri elementi della tradizione.
Sono davvero un numero notevole le scene dei suoi film (come nel suo teatro) dove si fa riferimento al cibo e soprattutto agli spaghetti (famoso lo spot pubblicitario proposto in televisione tratto da “Il coraggio”): si pensi a “L’oro di Napoli” dove Totò interpreta il Pazzariello o a “Guardie e ladri” (la cena nel finale del film) con Aldo Fabrizi, bravo cuoco, molto apprezzato da Totò (cui però l’attore napoletano rimproverava di scuocere gli amati spaghetti).
Ma di spaghetti, di pasta in generale o di pane (non si dimentichi la pizza) o di carne o di pesce o di uova, di burro, di caffè o di dolci (la famosa “Colomba Cocozza”) si parla in decine e decine di suoi film, da “47 morto che parla” a “I due marescialli”, da “Fifa e arena” a “Totò a colori”, come pure in “Yvonne la Nuit” e “La banda degli onesti” o in “Totò cerca casa” (la scena dell’uovo o dei salamini). Oppure in “Un turco napoletano” e in tanti altri come “Totò, Peppino e i fuorilegge” (il pranzo alla romana) o “Totò, Fabrizi e i giovani d’oggi” (il pranzo del fidanzamento ufficiale).
Certo non a caso anche il comico romano Alberto Sordi, si confronterà con il cibo e gli spaghetti in particolare, a partire da “Un americano a Roma”.
Indimenticabile è poi la scena in cui Totò (che per vivere fa il morto a pagamento durante l’ultima guerra) in “Napoli milionaria” di E. De Filippo si prepara la cena tirando fuori la carne e il contorno da una lunga pagnotta con un realismo davvero grottesco.
E altrettanto in sintonia con il tema in questione (espressione autentica della loro origine popolare di “mami” e di “zanni” della Commedia dell’Arte praticata in gioventù) è la scena di “Totò, Peppino e la malafemmina” in cui i fratelli Caponi giunti a Milano (prima della dettatura della lettera che fa riferimento a “Miseria e Nobiltà”) tirano fuori dalla valigia ogni ben di Dio: galline, caciotte, spaghetti, cipolle ecc. per preparare il pranzo.
Così come è esilarante la scena al ristorante quando Totò e Peppino ordinano al maitre la cena con le ballerine.
Va anche ricordato che Totò, dopo i lunghi anni di gavetta, ma anche da ragazzo e durante la guerra mondiale e l’occupazione tedesca a Roma, aveva spesso provato il doloroso digiuno, sognando cibi succulenti e fumanti oggetto della sua fervida e salutare immaginazione (che lo aiutava ad esorcizzare la fame) di uomo del Sud.
In un mondo come l’attuale, sempre più americanizzato, Totò ci invita a riscoprire il valore inestimabile della cucina mediterranea attraverso la sua Arte, che assume un preciso significato terapeutico a più livelli.
Totò, erede di Pulcinella è quindi concretamente (non è mero folklore) legato al cibo. Va ricordato anche che a Napoli nell’800 c’erano i venditori ambulanti di maccheroni al pomodoro ed esistono stampe di Pinelli che raffigurano i Pulcinelli romani con un paiolo pieno di spaghetti…
Totò, pertanto (come Sordi) non poteva che amare tale piatto così napoletano e così italiano. Con l’olio, il pomodoro, il pane fragrante, il vino genuino e tanti secondi piatti conditi con erbe aromatiche, costituiscono un vero “tesoro” gastronomico italiano.
A tavola con Totò, cominciamo veramente a ragionare su tutto questo.
E buon appetito!
(Articolo di Aldo Marzi, pubblicato su Orizzonti n. 38 nella rubrica “Totò allo specchio”)
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