| Un giorno, un amico trova James Joyce riverso sullo scrittoio, in un atteggiamento di profonda disperazione.
«James, che cosa c’è che non va? È il lavoro?».
James asserì, senza nemmeno alzare la testa.
L’amico gli chiese: «Quante parole hai scritto oggi?».
E lui rispose: «Sette».
«Sette? Ma James… è ottimo, almeno per te!».
«Suppongo di sì, ma non so in che ordine vanno».
L’aneddoto, che è raccontato da Stephen King nel libro “On Writing”, mette in evidenza le difficoltà della scrittura, che spesso richiede un lavoro minuzioso, quasi estenuante…
A questo proposito, pare che Joseph Heller abbia impiegato 10 anni per scrivere “Catch-22”; Tom Wolf altrettanti per scrivere “A Man In Full” e Gustave Flaubert abbia impiegato addirittura tre giorni per scrivere otto frasi di “Madame Bovary”.
Ci sono, poi, scrittori più veloci: Nabokov ha scritto “Lolita” in tre mesi; Susan Fromberg ha scritto “Anya” in otto settimane; Sharyn McCrumb ha scritto “Sick of Shadows” in sei settimane; James Hilton ha scritto “Good-bye, Mr. Chips”, in quattro giorni.
(Articolo pubblicato su Orizzonti n. 37, nella rubrica “Pillole”, a cura di Carlo Tetali)
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