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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

La filosofia? È donna. - Intervista a Caterina Resta

di Rivista Orizzonti

A colloquio con Caterina Resta, siciliana, tra le studiose più apprezzate del pensiero contemporaneo. Nietzsche, Junger, Heidegger, Schmitt i “giganti” approfonditi nei suoi saggi


È tra le studiose più apprezzate della filosofia contemporanea e tra le maggiori conoscitrici dei “giganti” del pensiero del Novecento. Due su tutti: Ernst Junger e Martin Heidegger. La stima che si è costruita tra gli allievi, i colleghi e gli stessi pensatori di questo secolo continua a passare attraverso le numerose pubblicazioni, i viaggi studio, i convegni internazionali, le lezioni, che la vedono costantemente impegnata nel difendere la cultura, intesa come libertà di pensiero.
Lei è Caterina Resta, “filosofa” siciliana (anche se preferisce definirsi “studiosa di filosofia”!) Ma della filosofa sembra possedere innanzitutto il coraggio, se oggi, in pieno Terzo Millennio, gradevolmente conversando su Ernst Junger, Friedrich Nietzsche, Carl Schmitt, afferma: «sono d’accordo, soprattutto con Junger e con Spengler, quando affermano che siamo come sentinelle su una postazione perduta, perché oggi la cultura non sembra più interessare a nessuno. La filosofia è diventata un orpello, un decoro, quindi inutile. Si bada solo alla filosofia applicata, sperando di poterne avere un’immediata ricaduta pratica. Per chi, come me, fa filosofia teoretica ogni giorno, sperando di insegnarla e condividerla con le giovani generazioni di allievi, è sempre più difficile».
In effetti, il contesto in cui opera Caterina Resta si presta alla quasi romantica immagine jungeriana della postazione perduta: un affascinante Polo dell’Annunziata, alla facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Messina che, da una collina, domina tutto lo Stretto. È qui che la professoressa Resta condivide con la nostra rivista “Orizzonti” alcuni pensieri sulle difficoltà del mondo moderno.

Professoressa Resta, come mai nei secoli addietro non ci sono state donne impegnate in filosofia, come è avvenuto invece in altre discipline, come la letteratura?
«È ormai assodato che c’è stata per secoli una forte discriminazione nei confronti delle donne. In particolare, la filosofia rappresenta la disciplina del pensiero per eccellenza e le donne, ahinoi, sono state considerate esseri non pensanti».

Come ha scoperto Ernst Junger e cosa l’ha spinta ad approfondire il pensiero di questo Autore?
«Inizialmente mi sono dedicata allo studio di Heidegger e, poi, dopo “Oltre la linea” ed altri scritti, sono passata all’approfondimento di Junger. Sono convinta che il Nostro, anche a distanza di anni, non abbia perso la capacità di rappresentare un’epoca. Come non pensare alla figura dell’Operaio, oggi più che mai attuale, in un mondo dominato da una tecnica divenuta ormai onnipervasiva. Penso che l’uomo del Terzo Millennio stia ancora tutto dentro alla descrizione del mondo che ci ha fornito Junger. Ma, attenzione, Junger e Heidegger non sono stati contrari alla tecnica. Heidegger sosteneva che la tecnica diventa inquietante quando si trasforma in pensiero unico, in religione, in idolo a cui si deve sacrificare tutto. Là, secondo Junger, entra in gioco la figura dell’Anarca, del Ribelle, che sceglie di non aderire interiormente al mondo che lo circonda, per non restare schiacciato dal Leviatano».

Il Leviatano è, innanzitutto, una figura biblica, un mostro che tutto divora e distrugge. Ma oggi con che cosa può essere identificato?
«Oggi il Leviatano è un sistema, un apparato. Già una cinquantina di anni fa, quando Junger e Heidegger elaboravano il loro pensiero, il Leviatano era stato identificato dai due come il predominio di una scienza-tecnica strettamente connessa al sistema economico. Oggi questo apparato si celebra nell’idolatria del denaro, in un sistema neoliberale e tecnicoscientifico che ha imposto l’economia come valore supremo».

Che cosa consiglia ai suoi studenti per essere uomini e donne consapevoli del proprio valore?
«Per quanto da entrambe le parti siamo ben consapevoli che la filosofia non porterà certamente un impiego o un posto di lavoro sicuro, chiedo loro di acquisire almeno una mente critica, di fare un esercizio costante di vigilanza, di ragionare con la propria testa. Questi consigli li dispensava già Platone».

Sta portando avanti nuovi lavori?
«Sì. In questi ultimi anni ho dedicato molto tempo allo studio di Jacques Derrida, un altro importante pensatore dei nostri tempi. Su Junger, come su Heidegger e su Schmitt, ho continuato a tenere corsi all’Università e sono in procinto di pubblicare in volume una raccolta di saggi su questi autori».

Essere freddi, guardare il mondo con un certo distacco, con una certa indifferenza, può essere considerato un reato nei confronti della società? Se fosse così, sarebbe sbagliato l’insegnamento lasciatoci da Junger?
«Spesso lo scrittore tedesco è stato accusato di avere avuto uno sguardo indifferente sul mondo, anche nei periodi di maggiore sofferenza per l’umanità, come durante la Seconda guerra mondiale (quando era ufficiale della Wehrmacht a Parigi, in piena occupazione tedesca). Anche la figura più famosa legata a lui, l’Anarca, è stato identificato come il simbolo della a-politìa. Credo, invece, per dirla con Roberto Esposito, che sia più giusto parlare di “im-politica”, cioè di un essersi voluto sottrarre alla morsa del Leviatano, scegliendo una diversa strategia: quella del pensatore, dell’impegno dell’osservatore che tutto registra, come un sismografo, questo sì con estrema lucidità e con grande acutezza. Si potrebbe parlare di un’azione non agente, ma non per questo meno attiva. Forse per questo Ernst Junger è più ricordato come scrittore che non come filosofo. Ha invece inciso, secondo me, sul mondo con uno sguardo assolutamente penetrante, contribuendo in modo significativo a trasformarlo. Fornire audaci chiavi di lettura - come sono state le sue - significa rivoluzionare una consolidata visione del mondo, liberare nuove potenzialità di comprensione e cambiamento. L’Anarca, il Ribelle e il loro passaggio al bosco sono oggi più che mai attuali, perché sottolineano la libertà di dire no e di emigrare interiormente nell’epoca del tecnototalitarismo planetario».

Lo sguardo di Caterina Resta, alle ultime battute della nostra conversazione, si volge oltre le finestre del Dipartimento di filosofia dell’Ateneo messinese, in quella fascia di mare che avvolge la città peloritana, in una giornata grigia, piovosa, dondolata dal vento. Se la si guarda così, dietro la sua scrivania, circondata da tesi universitarie e volumi freschi di stampa, potrebbe trarre in inganno, assomigliando a una qualunque professoressa: di farmacia, di matematica, di economia. E invece no, è tutto in quello sguardo, in quel contemplare silenziosamente il mondo circostante con pacatezza e serenità, tutto il coraggio delle sue affermazioni, che ritroviamo anche nelle sue pubblicazioni.

«La sentinella, in questo avamposto di fronte al nulla, non è perduta - ci dice, salutandoci cordialmente alla fine dell’intervista - ; la postazione, sì, è destinata ad essere conquistata dal nemico, ma la sentinella, no! Rimane al suo posto, consapevole del proprio destino, per svolgere il proprio compito: presidiare questo luogo!».



(Articolo di Antonio Iacona, pubblicato su Orizzonti n.37)

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