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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Poesia
 
Notizie Presenti:
 -

Intervista a Lorenzo Licalzi

di Rivista Orizzonti

Andrea Zanardi, protagonista di alcuni suoi romanzi, piace sia agli uomini che alle donne. Cinico e dissacrante, genovese, è uno sciupafemmine per vocazione e infermiere nella vita.



Pare esista una sorta di margine, nel mercato librario, un tetto minimo in termini di vendite raggiunto o superato il quale l’autore, ormai visibile, viene ascritto nel gota degli scrittori di successo. Non sempre è una situazione comoda o semplice da mantenere, quella del cosiddetto “caso letterario”, soprattutto per gli scrittori stessi, che di colpo devono gioco forza affrontare un pubblico preparato, un pubblico che nutre aspettative di qualche genere da loro. “Il privilegio di essere un guru”, terzo romanzo di Lorenzo Licalzi pubblicato all’incirca un anno fa per i tipi della Fazi, ha appunto permesso all’autore di aggiungere il proprio nome alla lista dei “casi letterari”. Eppure la cosa, umanamente e professionalmente, sembra scalfirlo ben poco. Psicologo genovese, si impone all’interno del panorama letterario italiano con tre romanzi ricchi di ironia, sentimenti “veri” e storie attuali, fresche. I personaggi piacciono perché autentici, credibili, pur nella loro estremizzazione caricaturale, a volte, come per il protagonista del “Guru”, Andrea Zanardi. Cinico e dissacrante, genovese, sciupafemmine per vocazione e infermiere nella vita, il personaggio ha imposto romanzo e autore agli occhi di una nutrita schiera di lettori senz’altro divertiti ma, in buona parte, perfino riconoscenti, perché almeno sulla carta, grazie a Zanardi, sono stati il maschio che tanti uomini non hanno il coraggio di essere e l’uomo che tante donne sognano in segreto di avere fra le mani, fosse pure per essere poi trattate come suggerisce un celebre “teorema”. Licalzi, nel corso di una delle molte presentazioni che lo hanno coinvolto in tutta Italia, si mostra in pubblico con quell’espressione “un po’ così”, tanto per fare una citazione banale, però banale, lui, non lo è affatto. Ne parla, sollecitato da una domanda in particolare, della sua genovesità, di quella malinconia nello sguardo, come il mare piatto nei giorni grigi, che però nasconde un’ironia pungente, profonda, pronta a esplodere con impeto alla prima occasione. Una rassegnazione alla vita che si colora di autoironia e sarcasmo come armi per sopravvivere. Licalzi quando parla si accende, vibra, nel raccontare i suoi libri, riesce a farli piacere anche con le parole. Ha deciso di fare lo scrittore a tempo pieno, almeno in questa fase della sua vita, e si immagina facilmente che la cosa debba piacergli.

La Genova del tuo romanzo è descritta per luoghi, ambienti, tanti piccoli mondi. Hai raccontato la tua città “a ritratti”, quasi a vignette, come in un fumetto. Ed è curioso che lo stesso protagonista, nel nome, richiami un personaggio di Andrea Pazienza. Che rapporto hai coi fumetti?
«Non ne leggo da vent’anni. Mi piacevano riviste come “Linus”, le serie di “Tex” e “Alan Ford”, e una rara rivista americana intitolata “Mad”, il massimo dell’ironia dissacrante. Ne sono usciti appena otto numeri perché la compravo solo io, credo. Tornando al protagonista, in effetti è un omaggio ad Andrea Pazienza. Di nome, appunto, si chiama Andrea. Il cognome l’ho rubato invece a uno dei più celebri personaggi di Pazienza, Zanardi. Non hanno nulla da spartire fra loro, a parte forse una certa dose di cinismo, di dissacrazione, e mi ha fatto sorridere che a Bologna i fan di Pazienza abbiano creduto che il mio personaggio ne fosse una parodia. Niente di tutto questo. Andrea Zanardi è Andrea Zanardi e basta».

Ma il tuo romanzo si presta comunque a essere un libro di ritratti. I personaggi, a partire appunto dallo stesso Andrea Zanardi, sembrano tutti caricature. È l’ironia la vera critica che muovi alla società?
«Assolutamente sì, credo che lo sia al cento percento. Non saprei dire se sia la società, piuttosto, a muoversi con ironia. Credo di no - ed è un peccato, sarebbe una benzina fondamentale, visti i tempi. L’ironia permetterebbe a tutta la società di non prendersi più troppo sul serio».

Come accade a Zanardi, che non si prende troppo sul serio, anche se sostiene di “andare a donne” per lavoro…
«È proprio da questo paradosso che arriva l’ironia necessaria a sviluppare il protagonista. Il suo “andare a donne” lo vive, appunto, come un lavoro a tempo pieno, ma è chiaro dal suo atteggiamento, dalla divertita disinvoltura con cui ne parla, che si relaziona alla cosa con molta autoironia. Andrea Zanardi è un anaffettivo, motivo per cui questo ultimo romanzo evita accuratamente di prendere pieghe simili ai miei due libri precedenti, dove i protagonisti possedevano un’umanità interiore molto viva, che arrivavano a scoprire un passo alla volta, nel corso delle rispettive storie. Andrea Zanardi è tutto sommato uno alla buona, uno che riesce a cogliere nelle persone attorno a sé gli aspetti migliori – ed è attraverso questa soggettiva che il libro si compone anche di “ritratti”».

Dici che Andrea Zanardi è un anaffettivo, eppure vive pienamente le sue emozioni, le tiene solo a debita distanza. Le critica, le osserva, le dissacra, esattamente come farebbe uno scrittore con la propria scrittura. È nata forse da questa coerenza “tecnica” l’idea per il personaggio?
«Zanardi risulta grottesco e caricaturale a causa della sua innata impermeabilità agli affetti, impermeabilità che a mio avviso finisce con l’essere di norma, oggi, in un mondo dove l’anaffettività sembra aleggiare un po’ da tutte le parti. La coerenza di un personaggio simile, nel lavoro di scrittura, non matura però da questa visione d’insieme. Ho scritto questo romanzo, tra virgolette, “di pancia”, cercando di immergermi quanto più potevo nel personaggio. Durante la stesura, ero Andrea Zanardi nella vita di tutti i giorni. Pensavo come lui, agivo come lui, mi relazionavo come lui. La coerenza narrativa di Zanardi nasce da qui, dal tentativo da parte di mia di essere il mio personaggio, di decifrare il mondo attraverso il suo sguardo, ragionando alla sua maniera. Almeno mentre scrivevo il libro».

Il tuo è uno scrivere in prima persona a 360 gradi, insomma.
«Certo. In tutti e tre i miei libri racconto frammenti di me stesso, anche se nessuno dei tre è stato mai troppo contemporaneo, umanamente parlando, al momento in cui scrivevo. Mi spiego meglio: quando sono stato veramente Andrea Zanardi, avrò avuto diciott’anni. Del resto, cos’altro si può pensare a quell’età? Non certo a studiare!... Francesco Massa, il rivoluzionario, lo sono stato tempo dopo, eppure è il primo personaggio di cui ho scritto. Forse dei miei tre romanzi il protagonista che oggi è più vicino a me è quello di “Non So”, Mario Dominaci. Se dovessi pensare a una mia autobiografia a più riprese, infatti, penserei sicuramente ai miei personaggi, o almeno a certe loro caratteristiche fondamentali, sebbene abbia cucito una storia attorno a ognuno soltanto anni dopo essere stato per davvero quel personaggio. E il gioco sta appunto qui: essere Andrea Zanardi, pensando di esserlo rimasto da quando di anni ne avevo diciotto. E vedere come andrebbero le cose adesso».

E come vanno le cose, adesso? A quanto pare, le donne escono alquanto massacrate dal tuo libro. Loro cosa ne dicono?
«Tante donne assomigliano alla protagonista femminile del romanzo, Maria. Quante si lamentano per essere state spesso credulone, accomodanti, e quindi vittime perfette di un Andrea Zanardi di turno? Tantissime. Soprattutto, devo ammettere, le meno emancipate. In ambiti lavorativi quali le redazioni dei giornali, le televisioni, il mio stesso ufficio stampa, ho sempre ricevuto commenti da donne che si sono divertite moltissimo a leggere le peripezie amorose di Zanardi, il suo essere l’uomo ideale per ognuna di loro, ma appena il tempo necessario per andarci a letto. L’unico lettore che può sinceramente dirsi offeso dal mio romanzo, è l’uomo in grado di affermare “io non sono mai stato come Andrea Zanardi”. A parte lui, nessun altro credo debba risentirsi. Ma tanto, nel novantanove percento degli uomini c’è un Andrea Zanardi…»

Il successo del romanzo, pone il tuo nome fra i più recenti “casi letterari” italiani. Come stai vivendo questo momento, in rapporto alla tua scrittura?
«Lo sto vivendo come un momento di svolta estremamente delicato. Quando raggiungi una certa visibilità, devi scegliere. O continui al cento percento, o smetti al cento percento. Io, per il momento, aspetto. Nei primi due romanzi c’era molto sentimento e molta ironia, in questo c’è di nuovo ironia, divertimento, ma nessun sentimentalismo. Il mio nuovo romanzo uscirà a Maggio per Rizzoli. Non è comico, anche se non mi sono privato del piacere di usare, qua e là, qualche siparietto esilarante, ma più in generale ritengo sia un testo molto, molto duro».

(Intervista di Matteo Bertone e Gianluca Mercadante, pubblicata su Orizzonti n. 26)


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