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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Poesia
 
Notizie Presenti:
 -

PAOLA FALOJA, pioniera del cinema al femminile

di Rivista Orizzonti

Attrice, autrice, soggettista, regista, ha lavorato con i più grandi registi italiani: da Federico Fellini, a Pier Paolo Pasolini, Carlo Lizzani, Carmelo Bene.



«Leo Longanesi, uno che di poesia se ne intendeva, così come di letteratura, di pittura, di scultura, di arte, - in una parola - sostiene, in uno dei suoi aforismi più penetranti, che “non c’è niente da fare: il nostro cervello è sempre più intelligente di noi”.
Leggere le poesie di Paola Faloja induce a completare la battuta di Longanesi con un aforisma parallelo: “Anche il nostro cuore è sempre più intelligente di noi”. Perché, al di là dell’ermetismo formale, è l’intelligenza del cuore che trabocca da questi versi.
“Intelligenza” nella sua accezione più propria: la capacità di comprendere, di intendere a fondo qualcosa. Questo “qualcosa” è naturalmente un mondo interiore che si manifesta con aggettivazioni incisive - “soporosa meridiana”, “virgole vaganti”, “stranieri disegni”, “stupito grigiore”, “luci di luna atterrita” - trapelando paure, dolori, delusioni, in un contesto aspro e disilluso, che lancia di tanto in tanto lancinanti bagliori di speranza: “I bimbi oltrepassano i sogni con frecce di carta”.
Un mondo interiore, ma non astratto. Dietro le parole più amare scorre, parallelo, il racconto di una vita dedicata all’arte in tante forme: dalla prima passione, la scultura, per la quale si diplomò
all’Accademia delle Belle Arti, al teatro con Carmelo Bene e Vito Pandolfi; dal cinema con Cesare Zavattini, Federico Fellini e Carlo Lizzani, al documentarismo, ancora con Pandolfi; dalla radio, attrice giovane nelle trasmissioni di spettacoli teatrali, alla televisione con programmi come “Delta” e “Geo”.
Attrice, autrice, soggettista, regista, Paola Faloja ha sempre vissuto in simbiosi con il mondo dei sentimenti. Una vita tanto intensamente dedicata all’espressività artistica non poteva, dunque, non svelare un angolo - forse il più intimo e custodito - riservato alla poesia. E proprio perché più intimo e più custodito, proprio perché non soggetto alle riduttive mediazioni della estenuante quotidianità, proprio perché protetto dai condizionamenti e dalle pressioni delle relazioni sociali, il mondo di Paola Faloja trova, nelle sue poesie, espressione piena e compiuta, in una visione autentica e non mediata, attraverso piccole, brevi, profonde notazioni che sgorgano direttamente dal cuore. Perché questo sono le trentanove poesie raccolte in questo volumetto: grumi di sentimento che si sciolgono in parole» (Umberto Cutolo).

In questa bella prefazione di Umberto Cutolo, alla silloge “Poesie” di Paola Faloja, non destinata alla commercializzazione ma ad uso privato, è espresso limpidamente l’amore che quest’artista ha sempre riversato nell’arte, travalicandone i generi e i confini.
Nata a Collevecchio Sabino il 31 gennaio 1933, Paola Faloja si diploma in scultura all’Accademia delle Belle Arti a Perugia e intraprende la carriera di attrice in teatro, radio e televisione. Esordisce nella regia con “I misteri di Roma”, era il 1965, e subito dopo mette in scena il suo testo teatrale “I Manichini”. Assistente di Fellini in Casanova, e aiuto regista di Vito Pandolfi, che diventerà, solo nel 1970, suo marito, Paola Faloja ha vinto Premi Nazionali ed Internazionali per i suoi soggetti cinematografici. Dal 1975 inizia a realizzare per la Rai vari testi di carattere sociale e li dirige come regista televisiva: “Cronaca”, “Si dice donna”, “Nuovi alfabeti” e “Geo”. Per il Dipartimento Scuola Educazione della Rai realizza nel 1993 il documentario “Le Pioniere della macchina da presa”, con audience da prima serata, presentato al Festival internazionale Cinema delle donne di Torino.
Questo lavoro, che ha vinto il 45° Festival di Salerno e ottenuto il Trofeo Tohno di Tokio, ed il premio della critica, parla di un gruppo di donne dei primi anni del Novecento, decise ad imbracciare la macchina da presa a mo’ di fucile per puntare l’obiettivo su una realtà femminista disarmante; donne pronte a sfidare i benpensanti e i conformisti per i temi e la vivacità delle loro opere. La sceneggiatura scritta dalla Faloja è pungente, polemica e innovativa. Le registe menzionate nel documento filmico, furono anticipatrici di un gusto che successivamente si è diffuso nella cinematografia mondiale. Il neorealismo, la commedia brillante americana, il surrealismo, l’espressionismo e il film noir traggono le loro radici proprio da questo esiguo gruppo di intrepide pioniere, immortalate nelle loro ardue gesta da Paola Faloja. In un periodo in cui sembrava impossibile competere con gli uomini, coraggiose cineaste come Elvira Notari, Elettra Raggio, Giulia Cassini Rizzotto, Bianca Virginia Camagni, Daisy Sylvan, Diana Karenne D’Amore e Gemma Bellincioni Stagno furono in grado di emergere, in virtù di una intelligenza non comune e di un forte temperamento. La loro attività dimostra come riuscirono a sconfiggere i pregiudizi o, quanto meno, a scalfire il monopolio maschile nel settore cinematografico, e non solo.
Venivano da diverse parti d’Italia: Daisy Silvan, nobildonna fiorentina di cui non si sa molto, è stata autrice del film “Bolscevismo”, andato perduto; la milanese Elettra Raggio, autrice di film noir; la siciliana Giulia Cassini Rizzotto, autrice di commedie frizzanti alla Lubitsch; Diana Karenne, polacca, sposata D’Amore; Bianca Virginia Camagni, nata a Milano, ha diretto tre film come regista (“La piccola ombra” nel 1916, “Fantasia bianca” nel 1919 e La sconosciuta nel 1922); e infine Gemma Bellincioni Stagno, prima interprete di Santuzza e celebre cantante d’opera. Erano tutte attrici.
Con il filmato della Faloja sono stati rievocati i loro volti, ma non i loro film che sono, per lo più, andati perduti, e si è compiuto un vero atto d’amore per un’arte che, se non restaurata a tempo debito, andrà irrimediabilmente perduta. Il film documentario di Paola Faloja ha ricostruito la storia delle pioniere del nostro cinema di inizio secolo, sconosciute al grande pubblico, donne di grande personalità, e adesso spetta alle nuove generazioni di storiche del cinema un lavoro di archeologico recupero e di paziente restauro.
Il Cinema Italiano degli anni ’70 aveva investito su poche donne, così come ricorda Paola Faloja: «eravamo Lina Wertmuller, Liliana Cavani, Cecilia Mangini, io... e non ricordo chi altre. Sì, anche io facevo parte di quel gruppo. Ero una pioniera del cinema al femminile degli inizi degli anni ’60.
Negli anni ’70 a Torino si organizzò il primo festival italiano delle donne (Kinomata), e fu un’impresa non facile. All’epoca ero assistente alla regia di Federico Fellini e di Vito, Vito Pandolfi, mio marito. La direttrice del Festival di Torino era una mia amica, Clara Rivalta».
Affianca la Faloja, nel lavoro di documentazione e di ricerca per la realizzazione del filmato Rai “Le Pioniere della macchina da presa” Enza Troianelli, una storica scomparsa giovanissima, dopo averci lasciato degli studi insostituibili sulla più famosa di queste pioniere, Elvira Notari. Fondatrice di due case di produzione, la Dora Film e la Gennariello Film, Elvira Notari girò centinaia di film, bistrattati in Italia, destinati per lo più al mercato degli emigranti in America: storie ambientate a Napoli e dintorni non ricostruite in studio, con popolani e borghesi ritratti nella loro autentica realtà, come avrebbe fatto poi il neorealismo.
«Dopo aver mandato fax in tutto il mondo - prosegue nel racconto Paola Faloja - abbiamo scoperto che nella cineteca di Amsterdam c’erano i film di Diana Karenne, una polacca sposata a un italiano, e quindi di cittadinanza italiana. Lei come attrice ha girato in Francia e Germania ed era anche una pittrice futurista, un po’ nello stile della Lempicka. Parte del materiale prezioso ci è stato dato dai nostri più famosi studiosi di cinema delle origini, Riccardo Redi e Vittorio Martinelli. Nel film documento non figurano tra le registe le grandi dive del cinema muto come Francesca Bertini, perché lei non ha mai firmato nulla come regista, così come la Di Sangro. È solo per questo che le ho lasciate fuori dal mio documentario storico.
Mi piace ricordare Vito: è stato presentato a Udine la copia restaurata de “Gli Ultimi”, del 1963, girato in un paesino friulano, tratto dal racconto autobiografico di padre Davide Turoldo che era figlio di contadini; lavoravo con lui come aiuto regista anche in “Provincia di Latina”, Alberto Grifi era l’operatore e sono state sue sia le riprese che il montaggio. Poi Vito ha continuato con lavori suoi».
Paola Faloja è stata l’attrice giovane del Piccolo Teatro della Fonte Maggiore di Perugia ed è stata diretta da Massimo Binazzi. Dal 1958 al 1962 è stata l’attrice giovane della Radio Televisione Italiana per il Teatro, viaggiando tra le sedi Rai di Milano e Roma. Carmelo Bene la scelse come sua insostituibile attrice giovane per le stagioni teatrali dal 1961 al 1963.
L’attività cinematografica di Paola Faloja inizia nel 1961 con la regia di “Misteri di Roma” di Cesare Zavattini e prosegue con le collaborazioni alla regia con il film “Gli Ultimi” e il documentario “Provincia di Latina”, entrambi di Vito Pandolfi. Dal 1966 al 1970 svolge la sua attività documentaristica per la “Corona Cinematografica”, scrivendo soggetti e sceneggiature, realizzando ben otto regie di documentari che hanno ricevuti tutti premi e riconoscimenti. È del 1967 “Il ragazzo motore”, raro cortometraggio, con sceneggiatura e regia di Paola Faloja e commento e contributi di Pier Paolo Pasolini (conservato nel Fondo Corona della Cineteca di Bologna). Questo lavoro rappresenta una riflessione sulla diffusione dei motorini, naturale effetto del boom economico, e sull’importanza che i giovani delle borgate davano a questo mezzo per le gare e le corse; si ricordi che anche Accattone, di Pier Paolo Pasolini, morì durante una fuga in motocicletta.
Il cinema affermatosi ormai quale fedele interprete del costume del nostro secolo, non poteva ignorare il fenomeno della motocicletta, della nostrana Vespa. Ci sono diversi film importanti dove questo mezzo appare nelle pellicole. Nel 1953 troviamo una Vespa nel film “Vacanze Romane” (Roman Holiday) diretto da William Wyler, e interpretato da Gregory Peck e Audrey Hepburn. Poi nel 1960 per esempio ne “La dolce vita” di Federico Fellini e in “Peccatori in blue-jeans”di Marcel Carné. Sempre nella cinematografia degli anni ’60 troviamo le moto in “Poveri ma belli” di Dino Risi e in “Belle ma povere” dello stesso regista. E ancora in film come “Il mondo di notte” e in “Europa di notte” di Alessandro Blasetti, in I nuovi angeli di Ugo Gregoretti. Per finire con “Caro Diario” di Nanni Moretti.
Comunque: quale è la funzione della motocicletta nel cinema? La moto non è mai, o quasi mai, la protagonista, ma è sempre una comprimaria, in quanto contribuisce a creare l’ambiente, un’atmosfera determinata, un filo logico conduttore da seguire con estrema attenzione e Paola Faloja fu la prima donna regista, nel 1967, che intuì questa delicata funzione narrativa del ruolo della motocicletta. Nel 1968 Paola Faloja riceve un premio di tre milioni di lire italiane assegnatole dal Ministero dei Lavori Pubblici per il soggetto cinematografico “A ruota libera” che trattava i principi etici dell’educazione stradale. Nel 1968 realizza il filmato “Miti d’oggi: giocattoli”. Nel 1974 e nel 1975 è attrice in due film di Carlo Lizzani: “Storie di vita e malavita” e “San Babila ore 20”.
Ma la soddisfazione più grande l’ottiene negli anni ’75 e ’76 lavorando al fianco del Maestro del Cinema Italiano, Federico Fellini, nel film “Casanova” come sua assistente alla regia.
L’attività televisiva di Paola Faloja comprende anche delle traduzioni per la Rai di opere importanti come il monologo “Al telefono” di Andre De Lorde e Charles Foley, e “Marie Tudor” di Victor Hugo.
È di questi giorni, con prefazione di Umberto Cutolo, la raccolta di versi poetici dal titolo “Poesie” che il figlio, Libero Pandolfi, ha fatto pubblicare dalla tipografia Poligraf di Pomezia, nell’ottobre 2009.
Da “Poesie” di Paola Faloja pubblichiamo in anteprima assoluta alcuni dei componimenti poetici:

Motivi di anni,
svelasti ad un mondo
accendendoti;
e spaziano nella notte
adagiata nel sonno,
lanciasti vago un richiamo
ora scolpito su pietra,
cosa che rimane.

*

Dalla nuda terra,
vampate di calore
t’avvolgono;
stancano le membra.
Riverberi di foglie
muovono a una dolce carezza;
liquefarsi in quel verde.
Quei folli
vaghi monti
lentamente si muovono.
T’ascolta il vento,
può ricordarti
in questa notte,
uomo
che hai accettato
la tua ora in silenzio.

*

Riavevi di nuovo
desiderio
di perdute
memorie.
Ore di vita
andate nel tempo,
sfuggite all’eco del ricordo
che, attento ora,
vede un’immensità
aprirsi,
in un istante di silenzio.

Libero Pandolfi ha donato così a sua madre, Paola Faloja (costretta sulla sedia a rotelle da una emiparesi di tutta la parte destra, dopo un delicato intervento al cervello per un meningioma) quel raggio di ricordi fermati, un tempo da lei, sulle pagine bianche di un diario.


(Articolo di Giuseppe Lorin, pubblicato su Orizzonti n. 37, gen-apr 2011)


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