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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

Incontro con… Alessandra Montrucchio

di Rivista Orizzonti

È una giornata piovosa fuori stagione quella in cui incontriamo Alessandra Montrucchio a Torino. Una giornata fredda che ti costringe a ricordarti dell’inverno e a desiderare un calore di cui la prima estate sembra fare a meno. Un calore come le “ondate” che ancora pulsano dal primo libro di Alessandra. Il suo esordio narrativo avviene infatti nel 1995 conseguendo la vittoria al Premio Calvino, risultato che con molta naturalezza sfocia l’anno successivo nella pubblicazione della raccolta “Ondate di Calore” (Marsilio 1996).
La Montrucchio racconta storie di giovani che non vogliono diventare adulti e adulti che vorrebbero tornare giovani, immergendo i personaggi in un malessere molto più che generazionale, qualcosa di ereditario dal quale è difficile fuggire. Tutte ottime premesse che da un lato la pongono in netto rilievo rispetto ad altri giovani scrittori della sua generazione, dall’altro fomentano l’inevitabile attesa di una conferma. Due anni dopo arriva “Cardiofitness” (Marsilio 1998), che seda definitivamente ogni dubbio sullo spessore di un autrice che avrà ancora molto da raccontarci.

Domanda:Alessandra, si dice di te che sei una “scrittrice di racconti”. Come spieghi questa attribuzione?
Risposta: (Sgrana gli occhi un po’ sorpresa e sorride) «Davvero? Non lo so, forse è perché ho sempre difeso la forma del racconto ed è possibile che qualcosa di questa forma sia rimasta nel romanzo. Ho anche una piccola rubrica su TORINO SETTE dove scrivo brevi storie, di una cartella al massimo. Tornando invece a “Cardiofitness”, il romanzo, una cosa che cerco sempre di fare - a seconda delle misure che mi prefiggo al momento di scrivere - è creare una specie di autonomia per ogni capitolo, in modo da renderlo leggibile indipendentemente dagli altri. In questo modo diventa molto più interessante collegarli fra loro in un tessuto coerente e continuativo. Nel caso specifico di “Cardiofitness”, il continuo scambio del punto di vista, l’uso di monologhi e dialoghi, paradossalmente rendeva necessario dividere le varie parti per unirle meglio dopo».

Domanda: Come ti sei sentita quando hai vinto il Premio Calvino nel ’95? Affermi spesso di averci preso parte per gioco, però poi quei racconti sono andati a formare “Ondate di Calore”, il tuo libro d’esordio...
Risposta: «Posso dirti di non aver provato nulla. Non so se a te capita, ma a me succede una cosa strana: quando accade un avvenimento che dovrebbe suscitarmi delle emozioni, lì per lì non è che riesca a crederci! Poi, quando mi rendo conto di cosa sia successo veramente, l’evento è già finito da un pezzo e le emozioni fanno presto a seguirlo anche loro. La pubblicazione è stata un passo inevitabile, non compreso dal Premio ma certamente implicito: tutti i vincitori finiscono con l’essere pubblicati. Mi sono lasciata trasportare soprattutto dal concetto di novità, io non mi ero mai avventurata in un’esperienza editoriale, né tanto meno andavo cercandone. Quindi per me sono state un po’ un gioco tutte le attese, i colloqui con gli editori... ho vissuto tutto con molta ingenuità ed è questo il bello della cosa, credo».

Domanda: Molti aspetti della tua scrittura in “Ondate di Calore” sono già evidenti, in barba a chi dice che sia meglio attendere la svolta del romanzo per saggiare le reali capacità di chi inizia con una raccolta. Vediamone alcuni, allora. Per esempio, il disagio.
Risposta: «È una parola molto vaga, il disagio, pluricomprensiva. Proprio per questo trovo che si adatti benissimo a quello che racconto. I miei personaggi provano un disagio verso la propria vita, una vita che gli sta stretta e che non riescono a cambiare. O meglio, non hanno la fiducia necessaria a cambiarla. Sono del resto personaggi della mia generazione, noi abbiamo imparato ad essere cinici, sappiamo che i sogni tradiscono…».

Domanda: Perché questo?
Risposta: «Beh, sai... la mia formazione culturale è avvenuta negli anni Ottanta, questi tanto denigrati anni Ottanta che ora vanno di moda e che a me, invece, hanno mostrato gli effetti di quanto accadde dieci anni prima. Nei Settanta c’erano molti sogni in giro, tanti ideali in cui credere. E poi? Il fatto che tutto questo sia crollato sistematicamente, che non ci sia più, mi ha portato a comprendere che il male è dentro. È di questo che soffrono i miei personaggi. Possono fuggire dalle loro vite, ma non dal male che si portano dentro in modo imprescindibile».

Domanda: Infatti è questa un’altra cosa intrigante: tu li cogli proprio nel punto di svolta, nel momento in cui hanno tutte le carte in regola per cambiarla, questa vita che non va. E invece...
Risposta: «E invece si accorgono che progredire è necessario, ma non per questo è anche buono. Io non nutro molta fiducia nei cambiamenti improvvisi, ma al tempo stesso ammetto che la vita abbia bisogno di un certo dinamismo. Sono le “Ondate di Calore” del titolo: il momento in cui a una persona capita di cogliere l’incognita di un’occasione».

Domanda: Hanno paura di diventare grandi?
Risposta: «Sì, anche perché è una paura mia. Si dice che uno racconti le cose di cui ha timore, le cose che insegue e quelle da cui scappa. Io inseguo il desiderio di mantenere gli aspetti migliori dell’adolescenza, mentre tento di sfuggire a quelli peggiori della maturità. È un compito improbo, lo so. Però esistono aspetti dell’età adulta che non posso tollerare».

Domanda: Per esempio?
Risposta: (Tira un sospiro lungo, osserva per un attimo qualcosa di lontanissimo) «...Questo stesso disincanto che ci porta a non sognare più, a dare tutto per scontato, a perdere qualsiasi romanticismo. Oggi una persona con poco più di vent’anni ha già smarrito lo stupore, ormai sa come va il mondo. Quello che apprezzo invece negli adolescenti è la loro foga. Hanno questa grande capacità di appassionarsi anche se si arrovellano sul vuoto».

Domanda: Un ideale di purezza, quindi?
Risposta: «Sì, se di purezza si può parlare. M’interessa la tensione dell’adolescenza. Potremmo dire la tensione verso la purezza».

Domanda: È qualcosa che però si perde nel romanzo, almeno in uno dei due protagonisti. In “Cardiofitness” Stefania è un’adulta, sa quello che vuole. Ma di questo parliamo poi. Intanto perché hai scelto proprio una palestra come centro narrativo?
Risposta: «Ho fatto per diciotto anni danza classica e jazz, poi ho iniziato a frequentare la palestra con la stessa ottica prevenuta di chi ne resta fuori: il tempio del look, dell’apparire... invece non è così. La palestra è un luogo democratico, dove nessuno tende ad esempio a rivalere sull’altro, magari per la classe sociale. E poi in “Cardiofitness” racconto una storia d’amore molto particolare, il rapporto tra una ragazza di ventisei anni e uno di quindici. Lei lavora, lui studia, è impossibile che frequentino gli stessi amici e gli stessi ambienti. In palestra invece confluiscono persone diversissime tra loro, è possibile quindi che i due protagonisti s’incontrino proprio lì».

Domanda: “Cardiofitness” è un romanzo controcorrente non solo per l’ambientazione. Esce nel periodo di “Fango”, “Occhi Sulla Graticola”, “Bastogne”... romanzi in cui del corpo umano non restano che frattaglie. Tu invece parli di bellezza greca e di una sensualità decisamente atipica. Che ne dici?
Risposta: «Mi sono piaciuti i romanzi che tu hai ricordato, ma per elementi che non hanno a che vedere con lo splatter. Sono del tutto disinteressata alla cosiddetta letteratura pulp e all’uso che fa del corpo. Vengo dalla danza, lì ho imparato a cercare l’affiatamento fisico, a osservare la plasticità di una posa, e dunque mi sono avvicinata da sempre al concetto di bellezza esteriore inteso in senso classico. E poi la protagonista vive con molta intensità l’attrazione verso il corpo maschile, ma è una sensualità acerba quella dell’adolescente, per tanto ho giocato molto sul linguaggio estetico: al modo in cui i personaggi gesticolano, si muovono, si attraggono e occupano lo spazio fra loro».

Domanda: Di tutto questo la cronaca ufficiale non si era ancora occupata. “Cardiofitness” parla di pedofilia in un momento in cui nessuno tocca ancora il tasto dolente, ma lo fa con molta delicatezza e senza per niente gridare allo scandalo.
Risposta: «Beh, qui bisogna fare un’osservazione interessante, in quanto un libro mediamente esce circa due anni dopo averlo ultimato. Io “Cardiofitness” l’ho scritto nella primavera del ’95 e ha visto la luce - dopo varie revisioni - nel ’98, periodo in cui per l’appunto la cronaca scopriva l’universo fino ad allora nascosto della pedofilia. Non ho condotto studi particolari per documentarmi in materia, mi sono semplicemente avvalsa della mia esperienza personale: io ho avuto e ho tuttora esperienze sentimentali con ragazzi più giovani di me. Ho scoperto allora tutto mondo, così stimolante nel confronto che nasce da un rapporto con partner di generazioni successive alla mia».

Domanda: Infatti il concetto stesso di pedofilia nel romanzo diventa un confronto generazionale.
Risposta: «Certamente. In questi tempi così rapidi, dove tutto scorre velocissimo, sono sufficienti soli dieci anni perché cambi qualsiasi punto di vista tra due persone, rispetto a quanto possa davvero portare di tanto diverso un tale periodo. Quello che ho cercato di proporre è stata una commedia sui sentimenti, un rapporto che nonostante le superficiali ambiguità fosse appagante e felice quanto un rapporto cosiddetto “normale”. Con altrettanti pregi e difetti. Come giustamente dicevi tu, il romanzo non grida allo scandalo perché non c’è. Forse sarà presuntuoso dirlo così, ma lo scandalo è che non c’è scandalo!».

Domanda: Abbiamo parlato tanto di “Cardiofitness”, un romanzo uscito nel 1998. È presto per chiederti cosa bolle in pentola?
Risposta: «Guarda, qui ci sarebbe da parlarne per mezz’ora. Allora, io saranno dieci anni che cerco di raccontare il luogo in cui trascorrevo le vacanze da ragazzina, il Lido di Spina in provincia di Ferrara. Sai quelle vacanze dove stai al mare tre mesi? Le giornate trascorrono tutte in compagnia, quelle compagnie enormi che poi con gli anni si assottigliano sempre di più...».

Domanda: “Gli anni di che belli erano i film”...
Risposta:«Bravo, proprio quelli. Che poi a me non piacciono gli 883, ma ti giuro che mi si stringe il cuore ogni volta che ascolto quella canzone! Era proprio così. I film erano tutti belli, in motorino sempre in due. Io mi fidanzavo solo con ragazzi motorizzati!... Puoi capire come una cosa tanto autobiografica sia difficoltosa da realizzare. Come ti regoli con la distanza? Non per niente, ripeto, sono dieci anni che tento di trovare la strada più adeguata attraverso cui filtrare questo bagaglio personale. Vedremo. Comunque è un casino, non sono proprio in grado di pronosticare un’uscita».


(Articolo di Gianluca Mercadante)

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