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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

Vitale, gioioso, amaro, ironico… i mille volti dell’attore Leo Gullotta ( Intervista )

di Rivista Orizzonti

Cinquant’anni di carriera festeggiati proprio nel 2010, trenta dei quali segnati da premi prestigiosi per i suoi meriti artistici: dai “David di Donatello” agli “Oscar della Pubblicità”, dai “Nastri d’Argento” ai “Telegatti”, al “Globo d’Oro”. Ma Leo Gullotta è soprattutto un vero amante appassionato della vita, di una esistenza che, iniziata nella “sua” Catania il 9 gennaio del 1946, continua a condurre oggi nel rispetto degli altri, del mondo, dell’arte, della creatività, delle diversità, dell’espressione artistica come linguaggio principale per esprimere l’amore e l’amicizia. È un Leo Gullotta gentiluomo quello che, cordialissimo, trascorre una piacevolissima mezz’ora (o forse un’ora, chissà!, visto che il tempo trascorre altrettanto piacevolmente…) a conversare con noi, per questa intervista a “Orizzonti”. È appena uscito dalle prove in teatro, dove sta portando in scena “Le allegri comari di Windsor” di William Shakespeare, nel ruolo di Falstaff, che per due stagioni teatrali lo vedranno impegnato sui palcoscenici di mezza Italia: Avellino, Firenze, Forlì, Teramo, Livorno, Roma. Nella capitale resterà per buona parte di dicembre e gennaio, poi la tournée, prodotta dal teatro Eliseo di Roma, riprenderà, sempre nel segno della grande tradizione della prosa. Prima dell’autore inglese, infatti, Gullotta è stato impegnato in altri due lavori “classici”: “L’uomo, la bestia e la virtù” e “Il piacere dell’onestà” di Luigi Pirandello.

«Si avverte oggi la necessità di riproporre sulle scene opere come quelle di Pirandello - spiega l’attore catanese - o come quelle di Shakespeare, che tanto fanno riflettere su temi importanti e attualissimi quali la diversità, la moralità, il perbenismo borghese. “Le allegri comari di Windsor” rappresentano, ad esempio, una commedia gioiosa, ricca e al contempo piena di stimolanti riflessioni».

A dimostrazione di quanto affermato da Leo Gullotta possono forse servire le 7 mila presenze di spettatori alla prima nazionale della commedia inglese, al Festival Shakesperiano di Verona, tra scene sfavillanti, applausi scroscianti e richieste di bis. Ma Leo Gullotta ci ha abituato in tutti questi anni a vederlo tutto e il contrario di tutto, vero attore poliedrico, persona, non personaggio, che se si sofferma sui suoi cinquant’anni passati recitando ci dice: «Tutti gli anni nella vita di un uomo sono importanti. Certo, ho 65 anni e ne ho trascorsi cinquanta sul palcoscenico, sui set cinematografici e televisivi. È una cifra notevole, non lo nascondo. Sembra ieri quando ad appena 14 anni sono arrivato al Teatro Stabile di Catania, ma vi posso assicurare che, anche se i tempi erano diversi, mantengo ancora oggi intatta la mia curiosità, la mia vivacità e vitalità. Posso dire di essermi ritrovato in una struttura veramente professionale, dove ho incontrato nomi importanti per la mia formazione artistica: gli attori Turi Ferro, Ave Ninchi, Salvo Randone, ma anche scrittori, giornalisti e autori di teatro come Leonardo Sciascia e Giuseppe Fava, di cui mi onoro di essere stato amico e interprete in alcune sue opere teatrali».

Anche questi nomi fanno parte di una Catania e di una Sicilia che Leo Gullotta spera possano tornare alla loro vitalità di qualche decennio fa. «Sono convinto - afferma - che Catania abbia una sua forte coscienza civile, è sempre stata una città brillante, acuta, gioiosa. Nei suoi teatri hanno lavorato autori come Pirandello, Capuana, Verga, Martoglio. Se ami la tua terra, devi contribuire alla sua crescita civile».

E Leo Gullotta continua ad essere legatissimo alla sua città: «Nasci in un posto e te lo porti dietro, nelle vene, nel tuo Dna. Ho avuto la fortuna di nascere e crescere in una famiglia sana, modesta e onesta».

In giovanissima età (e lo testimonia una vecchia tessera del Teatro Massimo “Vincenzo Bellini”, tempio della musica classica e lirica del capoluogo etneo), Leo Gullotta si ritrova quasi inconsciamente a fare la comparsa. È la stagione lirica del 1960. La tessera è la numero 37. Da allora, l’attore catanese non lascerà mai più le tavole del palcoscenico, ma senza salire mai sul piedistallo. L’umiltà, la modestia, l’autocritica hanno sempre accompagnato la sua bravura, il suo temperamento gioioso, il suo essere attore poliedrico e grande interprete di ruoli che gli sono valsi riconoscimenti nazionali e internazionali, tanto che qualcuno scrivendo di lui ha detto: “la serietà del comico…”. Gullotta in questi decenni è infatti passato dalla figura indimenticabile interpretata in “Nuovo Cinema Paradiso” di Giuseppe Tornatore, con cui tornerà a lavorare nel 2009 in “Baarìa”, ai ruoli nei film di Nanni Loy in “Testa o croce”, “Pacco, doppiopacco e contropaccotto”, “Mi manda Picone”, da “La Scorta” di Ricky Tognazzi a “Uomini Uomini Uomini” fino a “Simpatici e antipatici”, entrambi di Christian De Sica. Nel 2002, grazie all’interpretazione nel film “Vajont” di Renzo Martinelli, si conferma attore di grande spessore e riceve per questo il “Ciak d’Oro” e il prestigioso “Nastro d'Argento” da parte del Sindacato nazionale giornalisti cinematografici italiani, che gli viene conferito nella splendida scenografia naturale del teatro greco di Taormina.
«Sono sempre contentissimo - confessa Gullotta - quando ricevo un premio, ma significa che il pubblico ti osserva davvero attentamente e che trasmetti qualcosa, un messaggio. All’indomani di un riconoscimento, però, non mi sono mai cullato sugli allori ma mi sono sempre impegnato di più, e ancora di più, con l’intento di lavorare rispettando il pubblico».

Molto spesso il suo lavoro di artista lo porta ad essere a contatto con le giovani generazioni e proprio ai tanti ragazzi e alle tante ragazze che scelgono l’arte come professione dice: «I sogni sono innanzitutto vostri, non degli altri. Credeteci sempre, fino in fondo. Poi, strada facendo capirete se ai sogni corrisponde il talento, che serve e tanto, e non dovete pensare che lo spettacolo sia solo apparire. Significa tanto lavoro e tanta formazione».

Arte come comunicazione, quindi, soprattutto per un attore del suo spessore, che dice di sé: «Ho attraversato tutti i linguaggi, il vero attore è un clown, deve essere pronto a donarsi, con disciplina, conoscenza, tecnica, generosità. Così amo donarmi al mio pubblico, ogni sera diverso, ogni sera in un teatro che leggo come medicina della mente».

E dialogando con lui ci accorgiamo davvero che questo grande e bravo attore continua a mettere in pratica nella sua vita una delle frasi celebri di Charlie Chaplin: “Vivi come credi… fai quello che ti dice il cuore. La vita è come un’opera di teatro che non ha prove iniziali: canta, balla, ridi e vivi intensamente ogni giorno della tua vita, prima che l’opera finisca senza applausi!”.
«L’ho sempre pensato e praticato - conclude Leo Gullotta, salutandoci - e credo che chi fa spettacolo debba possedere una grande libertà mentale e creativa».


(Articolo di Antonio Iacona, pubblicato su Orizzonti n. 37, gen-apr 2011)

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