| Tra i suoi amici e collaboratori ci sono nomi che hanno segnato un’epoca nel mondo della letteratura, dell’arte, del teatro, dello spettacolo. Figure di assoluto prestigio come Gesualdo Bufalino, Natale Tedesco, Vincenzo Consolo, Andrea Camilleri, Emilio Greco, Bruno Caruso, Sebastiano Addamo, Franco Battiato continuano a costituire quel circolo ideale di stima e di cultura che Antonio Di Grado ha giustamente da sempre attorno a sé.
Catanese, classe 1949, iniziato al magico universo delle lettere da forti ideali storici, politici, culturali e spinto dalla famiglia colta siciliana da cui proviene (tra i parenti, da parte di madre, annovera il grande filologo e italianista Salvatore Battaglia, scomparso a Napoli nel 1971), il professore Di Grado è oggi tra i più apprezzati critici letterari nel contesto della letteratura italiana, materia che insegna in qualità di professore ordinario nella Facoltà di Lettere dell’Università di Catania, di cui attualmente è anche vicepreside.
Le sue pubblicazioni spaziano dagli studi sull’amata Sicilia, come «Il silenzio delle Madri. Vittorini da “Conversazione in Sicilia” al “Sempione» (1980), «Federico De Roberto e la “scuola antropologica”. Positivismo, verismo, leopardismo» (1982), «L’isola di carta. Incanti e inganni di un mito» (1984, IIa ediz. 1996), «Leonardo Sciascia. La figura e l’opera» (1986, IIa ediz. 1992), «Finis Siciliae. Scritture nell’isola fra resistenza e resa» (2004), agli scritti dedicati a temi anche filosofici, vedi «Scritture della crisi. Espressionismo e altro Novecento» (1988), «La lotta con l’angelo. Gli scrittori e le fedi» (2002), «Giuda l’oscuro. Letteratura e tradimento» (2007), «Dell’accidia e d’altre eresie. Dal purgatorio di Dante all’inferno di Salò» (2009), con sempre presente quella moralità intellettuale che Antonio Di Grado ha elevato a regola e stile di vita. Pubblicazioni che negli anni si sono accompagnate anche a importanti creazioni artistiche a quattro mani, come l’atto unico per il teatro «Quando non arrivarono i nostri», recentemente tradotto e pubblicato in Francia, composto con l’amico Leonardo Sciascia, che prima di morire lo designerà direttore letterario della Fondazione Sciascia di Racalmuto, incarico che egli tuttora detiene. Segno, quest’ultimo, anche di un forte impegno civile e politico che Antonio Di Grado ha portato avanti con la stessa diligenza e moralità dell’impegno letterario, ricoprendo incarichi di alta responsabilità nel contesto siciliano: nel 1970 fu tra i fondatori a Catania del «Manifesto» (e poi corrispondente del quotidiano); negli anni ’90 assessore alla cultura del Comune di Catania; dal ’94 al ’97 presidente del Teatro Stabile di Catania, con cui aveva collaborato - a fianco di Pippo Baudo e Pippo Meli - anche negli anni precedenti.
Alla rivista «Orizzonti», durante una piacevole conversazione, il professore non nasconde di avere dato spazio negli ultimi anni soprattutto al Di Grado critico letterario.
PROF. DI GRADO, È POSSIBILE LEGGERLA UN GIORNO ANCHE COME NARRATORE O POETA, OLTRE CHE COME AFFERMATO CRITICO?
«Come tutti o quasi, ci ho provato. Ma per fortuna sono in primo luogo un critico - ed esercito perciò su me stesso una doverosa e spietata censura».
COSA LEGGEREMO TRA POCO DI LEI IN LIBRERIA?
«Sono scisso, lavoro su due tavoli che più lontani non potrebbero essere. Da una parte lavoro sulle grandi mistiche del Medioevo, assecondando un’esigenza di ricerca spirituale e religiosa che per ora non m’interessa costringere nelle paginette d’una pubblicazione accademica. Dall’altra ho quasi finito di scrivere un libretto sulla figura e sul mito di Garibaldi nella letteratura italiana, che viceversa esaudisce la mia “corda civile” e la mia radicata fede unitaria e democratica, nel tempo del delirio revisionista e delle sbornie separatiste».
Si può affermare che l’amore di Di Grado per la letteratura sia andato di pari passo negli anni con l’amore per gli alti ideali di libertà, di democrazia, di unità nazionale. Da qui, la nostra domanda sull’impegno civile e politico di uno scrittore e intellettuale.
LEONARDO SCIASCIA HA RICOPERTO IL RUOLO DI CONSIGLIERE COMUNALE E DEPUTATO NAZIONALE. QUANDO È NECESSARIO CHE UN INTELLETTUALE INTERVENGA ATTIVAMENTE NELLA VITA DELLA SOCIETÀ? LEI STESSO HA RIVESTITO RUOLI IMPORTANTI NELLA VITA CIVILE SICILIANA?
«Ritengo che l’intellettuale non possa che essere un uomo-contro e disdegnare i compromessi. Sono felice d’aver fatto quelle esperienze, ma non posso omettere due considerazioni. La prima: sono stato assessore negli unici anni (pochissimi, tre o quattro dopo l’elezione diretta dei sindaci) in cui erano le competenze e non i partiti a contare. La seconda: cosa resta, quando ai comitati d’affari e alle giunte di segno opposto basta lo spazio d’un mattino per cancellare tutto?»
Anche noi, forse, vediamo il critico Di Grado, con la sua cordialità ma anche con la freddezza tipica di chi studia con alta moralità le cose intorno a lui, accompagnato meglio da illustri personaggi della letteratura, come Giovanni Verga, Federico De Roberto, Vitaliano Brancati, lo stesso Leonardo Sciascia, piuttosto che tra carte e scartoffie burocratiche. È per questo che gli chiediamo di chiudere la nostra intervista con uno scorcio di affetto, ma anche di forte critica intellettuale e morale, sulla “sua” Sicilia.
LA SICILIA, VISTA DA UN INTELLETTUALE, È DAVVERO UNA TEMPESTA DI PRO E DI CONTRO, DI BIANCO E DI NERO, DI NUOVE SPERANZE E DI VECCHI MALI RAMIFICATI E DIFFICILI DA ESTIRPARE?
«Grembo e trappola, la Sicilia; gratificante nido di affetti e paralizzante vischio di abitudini, inerzie, scettico fatalismo. Perciò, se per uno studioso come per gli scrittori è inevitabile fare i conti con queste contorte radici, pure è altrettanto legittimo sognare di evaderne, e contrapporre agli sconsolati “ritorni” di Verga e De Roberto, Brancati e Sciascia, la voglia di fuga e di avventura intellettuale di un Elio Vittorini. E tuttavia i grandi siciliani seppero aprire, dalle remote latitudini della loro marginalità geografica, lungimiranti finestre sull’Europa e sul mondo: così il siculo-franco-iberico Sciascia, che mi onorò indicandomi quale direttore della Fondazione che gli sarebbe stata dedicata».
LA FORMAZIONE DELLE GIOVANI GENERAZIONI È CERTAMENTE LA VERA SPERANZA PER IL FUTURO DELL’ITALIA. CHE COSA CONSIGLIA AI SUOI STUDENTI UNIVERSITARI?
«Leggere, leggere ogni cosa. Tutto, dalla Bibbia e i testi religiosi ai gialli classici e moderni, in preda a una curiosità famelica. Leggere sempre più e scrivere, se possibile, sempre meno. Quando le mie figlie, poco più che bambine, leggevano “Harry Potter”, ne ero ben lieto, perché confidavo - e così è stato - che presto sarebbero passate ad altro. Del resto non ho mai condiviso l’altezzosa diffidenza di tanti miei colleghi critici per una letteratura ritenuta “di serie B” e di mero intrattenimento: tanti grandi autori, da Simenon a Philip K. Dick, ne hanno pagato amaramente le conseguenze».
(Articolo di Antonio Iacona, pubblicato su Orizzonti n. 37, gen-apr 2011)
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