| Recensione:
La poesia di Massimiliano Nicodemo si dichiara sin da subito, sin dal principio della prima parola che vi scaturisce, ancor prima che divenga verso compiuto, essa si svela a noi. Si enuncia, cioè, già a decorrere dai titoli, forse non così unilaterali nell'individuare una corrispondenza semantica univoca. Eppure qualcosa li motiva in una comune fratellanza, in una sorta di condivisione di senso e bellezza. Così, accade di riconoscere come ogni identità materiale - vale a dire ogni riferimento alla vita reale - abbia per l'autore sempre una sua corrispondente simbologia, un’analoga identità, un suo reciproco. La dimensione materiale, che inevitabilmente affiora nella evocazione di oggetti tratti dalla scena quotidiana, rimandano ad un'altra immateriale dimensione. Si tratta, in sostanza, di una sorta di traslazione di significati, di contiguità concettuale, di passaggio osmotico dell'uno nell'altro essere.
La strada di mezzo, che separa la realtà dall'archetipo, è - anche ed al contempo - la via che conduce ad una possibile unione fra le due sfere dell' essere.
"Piove l'autunno e mi rifugio, recluso,
nel guscio
della bambagia di bruma
sfilata
dai bozzoli antichi delle galassie ".
Piove l'autunno dentro i vuoti di memoria dell' autore, del suo essere primigenio che lo riconosce ora "come una salamandra nella sua viscida corazza".
S'apre in lui un varco a ritroso nella storia delle origini, in una introiezione ed introflessione dell'essere in sé, a ritroso verso i chilometri che separano dalla propria origine. Dai bozzoli antichi verso le galassie, v'è una distanza misurabile che separa, eppure essa sottende, ancora una volta, ad un'altra sconfinata spazialità (la similitudine sembra, almeno concettualmente, rimandare a Seneca: "Non est ad astra mollis e terris via"). La vita si origina per discendenza da una comune nascenza da cui tutto muove come nella esistenza di una salamandra.
Nel breve testo "Stasi", l'autore mette nuovamente in luce la sua relazione con l'oggetto, non solo e non strettamente poetico. Gli oggetti sono investiti di una comunicativa simbolica potente, si tratta di una vocazione ad un approccio riflessivo sull'essere, come il caso - per citare una disciplina diversa - della pittorica sulla "natura morta". La sedia (cfr. "Stasi ": "i piccoli sortilegi/ che imprigionano/ la tua giornata "), è, dunque, non più solo un generico oggetto ma soggetto trasposto dalla vita quotidiana, testimone lei stessa della presenza e dell'opera dell'umano, come accadeva - ad esempio - nelle note opere d'arte di Giacomo Manzù ( "Il mio lavoro è il ritratto della mia voce ... Vi è la sedia, che è l'unica eredità di casa mia ... "- Giacomo Manzù). La sedia è presenza indiziaria, sulla scena della vita, essa comunica sulla vita e nella vita, più di quanto ogni altro potrebbe: "La tua giornata come una sedia impagliata".
Il testo "Bellezza" ci testimonia una scrittura giunta già ad un buon grado di maturazione, capace di rendere, già a decorrere da questo testo, i buoni esiti dell'approccio poetico e di dissipare per il futuro altre proficue sementi, altre intuibili germogliazioni, conficcare altri "semi di speranza/ nel duro prato". Buono non solo il piano linguistico, ma apprezzabile anche la capacità di prefigurare spazi oltre lo spazio, riuscita la descrittiva, la narrativa ed i cambi, talora improvvisi, di ritmo e suggestioni della e nella poesia.
Nella poetica di Nicodemo ci sono dinamiche risalenti ai tempi dei tempi, ritualità e fenomenologie autentiche, mai fini a se stesse, ma al pari di exempla, come di una dimensione spiritualizzante che sottende al mondo, e - soprattutto - alle dinamiche dell'universo naturale: "riconoscere / il macerato/ stilema di fragranza/ che si schermisce/ dalla selva branca/ raggranellato/ sotto i pampini di vite ". Il reale e l'irreale si fondono in una sola visione oculare e percettiva interiorizzante:
"Fammi salpare, stanotte,
sul tuo galeone
dalla carena d'argento adagiata dal vento
sopra la spuma dei sogni",
E' una poetica dei sensi, non nell'idea di una accesa passionalità e sensualità, quanto - invece - di una sensorialità che consente ai vari livelli esistenziali (mentale, emotivo e spirituale) di manifestarsi e attualizzarsi nella nostra dimensione fisica: "Affidami il boma,/ o polena,/ e traccia la rotta./ Riesco ad udire/ il frullo del passero/ e posso tenere/ dritta la barra di prua".
Ogni spazialità possiede il suo corrispettivo figurato e virtuale: ogni entità visibile implica un omologo interiormente coincidente. La visione oculare non impressiona sulla base di una fenomenologia fine a se stessa, ma per il suo sguardo d'oltre orizzonte che si incarna in noi, che ci sospinge a farci largo nella foschia dell'invisibile, che ci attrae a lei e in lei sconfina. Questi accordi mentali, queste prime note ci svelano e parlano di una sonorità d'oltre mare: "Implode./ in un dimesso/ smottare di ghiaia,/ l'isola del tuo pensiero,/ ingoiata dal suo mare/ che evapora oblio./ La sento sgretolarsi,/ frolla di rughe,/ come sfinge del disincanto/ erosa dal tarlo/ di un'apatia millenaria,/ nel suo commiato/ riconquistata".
Le poesie mostrano un’elaborazione, non solo stilistica, piuttosto ragionata, relativamente salda ed esperta. Sono composizioni nell'insieme apprezzabili e riuscite, alcune più di altre.In esse ricorre uno schema compositivo fondamentale, sia nella dinamica dei costrutti, quanto nel respiro che anima l'ariosità dei versi.
Il verso è una unità fondamentale espressiva, qui spinta alle estreme conseguenze. Esso si addensa attorno un nucleo centrale di senso, si costituisce in identità espressive coese ed autoassolte nel proprio messaggio profetico. La poesia si articola, dunque, sulla stratificazione dei versi, come di più nuclei linguistici che danno origine e vita a quella fondamentale molecola che è l'anima e la sostanza della materia poetica.
Se v'è, come testimoniano i versi, una tensione spirituale, v'è anche una dignità tutta umanissima che è rivendicata dall'autore. La dis-trazione dalle ragioni dell'essere-umano è la fisiologia dell'uomo nell'uomo: “Vorrei/ Che i miei pensieri,/ cirri sfilacciati/ dalla brezza,/nel nitore/ dell’azzurro settembrino/ s’aggrumino in coacervo/ per frenare/ l’emorragia delle tue tristezze”.
Questo distacco dell'io nell'Io, apre un contenzioso con l'essere che implica una necessaria assoluzione, il perdono di noi stessi, "della loro infingarda distrazione".
Mattia Leombruno
Presidente della Fondazione Mario Luzi
recensione rilasciata dalla
Fondazione Mario Luzi -www.marioluzi.it
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