| «Per me ci sono state più luci che ombre».
Due grandi artisti di fama internazionale, Raffaele Paganini, etoile di chiarissima fama, e Mvula Sungani, importante ed eclettico coreografo italo-africano, attraverso lo spettacolo “Ho appena 50 anni e ballo il Sirtaki” rivisitano gli ultimi cinque decenni in una serata fatta di grande danza, di musica, di suggestioni visive e di emozioni. La rappresentazione, in scena nei teatri italiani, si snoda in cinque quadri registicamente collegati tra loro, “Mare”, “Opera”, “Sonos”, “Metropoli” e “Sirtaki”, che si susseguono componendo un’unica storia, un’unica vicenda.
I costumi dello spettacolo sono stati disegnati da Marco Coretti, stilista molto noto nel mondo dell’alta moda per il gusto raffinato ed elegante, e prodotti dalla Maison che porta il suo nome. Durante lo svolgimento dei quadri coreografici, si alternano grandi danze corali, intensi assolo e spettacolari passi a due.
Le musiche utilizzate spaziano dai grandi compositori classici quali G. Puccini e G. Verdi, alle splendide canzoni di M. Sosa, Madredeus e G. Estefan, alle composizioni originali di M. Palmas e D. Pistoni per finire con il pirotecnico Sirtaki.
In riferimento al titolo, per Raffaele Paganini si parla di un bilancio in termini artistici e personali: «Per me ci sono state più luci che ombre - confessa - anche per una questione anagrafica».
IN CHE SENSO?
«Ho avuto la fortuna di formarmi come artista in un periodo nel quale c’erano i grandi della danza e con molti di loro ho pure lavorato. Ho quindi vissuto con un po’ di riflesso in quel momento splendido: la danza continuava a “parlare” mettendo in campo novità e stimoli che i coreografi e l’opinione pubblica avevano. Oggi non ci sono più questi grandi nomi».
E FORSE IL DISCORSO POTREBBE ESSERE ESTESO ANCHE AD ALTRI SETTORI DELLO SPETTACOLO, NON TI PARE?
«Sì, vale anche per il cinema e il teatro. A mio avviso, però è inopportuno fare dei paragoni con quel periodo: il momento era troppo fortunato e pieno di molte star, il confronto con ciò che è stato, quindi, non può reggere. Oggi ci possiamo ritenere soltanto svantaggiati e non c’è la stessa abnegazione di quegli artisti che all’arte hanno dedicato tutta la loro vita. Io stesso non ho avuto il coraggio di spegnere tutte le altre luci e far rimanere accesa solo quella della danza».
A QUALE ALTRA LUCE TI RIFERISCI?
«Ho una situazione di vita privata per la quale mi ritengo fortunato».
INDIRETTAMENTE STAI AFFERMANDO CHE LA DIMENSIONE ARTISTICA SENZA QUELLA PERSONALE SAREBBE STATA INCOMPLETA: È COSÌ?
«Sarebbe stata sicuramente incompleta. Se non avessi realizzato la sfera personale chissà se col tempo me ne sarei reso conto. Adesso sono felice delle mie scelte: ho due figli, una famiglia, ho tutto. Vivere solo di ricordi e rimpianti non so fino a che punto sarebbe stato positivo…».
I DIVERSI MOMENTI DELLO SPETTACOLO RACCONTANO DIFFERENTI FASI DELLA TUA VITA: IN CHE MODO?
«Racconto quelle che sono state le emozioni vissute: sono sensazioni, colori, piccole meteore messe in scena su un canovaccio con il coreografo Mvula Sungani, la sua compagnia e le prime ballerine Emanuela Bianchini e Simona De Nittis».
UN ESEMPIO DI QUESTE SENSAZIONI?
«Una parte riprende il mare come fonte d’ispirazione come lo fu per Maurice Béjart e altri grandi artisti. Era il periodo delle prime contaminazioni tra la danza e il canto lirico: si era intorno alla metà degli anni ’80 - che io ho vissuto benissimo a Zurigo. Alcuni sono momenti etnici in quanto riprendono specialità internazionali come il tango dell’Argentina o il sirtaki della Grecia. La fortuna è che attraverso la danza classica ci si può avvicinare con maggiore professionalità agli altri stili come fece Alvin Ailey con “Night Creature” a Londra».
IL TRAGUARDO DEI 50 ANNI CHE SOTTOLINEI NEL TITOLO È OVVIAMENTE IMPORTANTE: HAI AVUTO MODO NEL TEMPO DI CONFRONTARTI CON I TUOI COETANEI CHE PERÒ VIVONO DI TUTT’ALTRE ESPERIENZE?
«Ho tanti amici che si occupano di altro, dall’imprenditoria alla politica: sono molto curiosi verso la danza e, nonostante siamo divisi da interessi e mestieri diversi, riusciamo a trovare punti d’incontro».
T’INVIDIERANNO SUPPONGO PER LA TUA PERFETTA FORMA FISICA…
«Non posso non essere in forma: sono sempre in movimento, faccio 120-130 spettacoli l’anno, altri due mesi di prova con allenamenti ed esercizi quotidiani e gli altri giorni li passo in viaggio. Non c’è proprio possibilità di mettere su pancia: se non fossi in forma mi farei del male».
SE TU DOVESSI SCEGLIERE UN MOMENTO SPECIFICO DELLA TUA VITA DA RAPPRESENTARE SUL PALCO QUALE SAREBBE?
«Quando sono entrato al Teatro dell’Opera di Roma a diciott’anni dopo solo quattro anni di scuola avendo cominciato tardi, cioè a 14. Ho bruciato le tappe: sono entrato nel corpo di ballo come solista, poi come primo ballerino e poi come etoile, "vero" etoile».
PERCHÉ, CE NE SONO DI FALSI?
«Ho sostenuto un concorso nazionale per diventarlo e l’ho vinto, diventando il rappresentante della danza italiana nel mondo. Ho fatto tutto ciò senza rendermene conto: mi rivedo come un ragazzino brillante con le sue inconsce speranze e con gioia, ironia e incoscienza, giocando a non giocare un gioco».
CHE RICORDI DELLA TUA PRIMA ESPERIENZA TELEVISIVA FANTASTICO 2 DEL 1981 E DELLA RECENTE “ACADEMY”?
«La prima mi fu proposta da Vittoria Ottolenghi che mi convinse dicendo che avrei dovuto portare in tv la stessa cosa che facevo nei teatri e così con Oriella Dorella e le coreografie di Mario Pistoni fummo i precursori del balletto moderno nonostante qualche addetto ai lavori gridò quasi allo scandalo che io andassi a ballare in televisione. Per “Academy” lavorare due mesi e mezzo con i giovani che si aggrappavano alle mie esperienze è risultato molto arricchente. Peccato che forse non si ripeterà: la trasmissione è stata messa in cantiere».
(Articolo di Giovanni Zambito, pubblicato su Orizzonti n. 37)
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