| L’autrice: «Nel libro ci sono gli episodi che mi raccontava mio padre».
Non ti voglio vicino di Barbara Garlaschelli è un’intensa storia ambientata fra il 1939 e i giorni nostri. Un racconto di infanzia tradita, di sentimenti calpestati, di amori molesti, connotato da un pathos e una drammaticità crescenti; tutti elementi che, anche grazie alla scrittura limpida e affilata, catturano il lettore sino al liberatorio finale.
Abbiamo intervistato l’autrice, che ci ha parlato del suo rapporto con la storia, sia a livello di conoscenza, sia dal punto di vista “affettivo”.
«Il mio rapporto con la storia è privilegiato - ci racconta -, nel senso che l’ho privilegiata come studio. La intendo come “memoria”: un popolo che non ha storia è destinato ad estinguersi come identità».
COME GLI ITALIANI PER ESEMPIO?
«Noi siamo un popolo che non ha memoria recente, figuriamoci di quella remota, come può sembrare la Seconda Guerra Mondiale, così lontana all’apparenza eppure temporalmente vicina. Non si conosce la storia né del mondo, né del proprio Paese».
COM’È NATO IL TUO INTERESSE PER LA STORIA?
«È legato a una mia passione, nata dalla costante presenza di mio padre e mia madre: lui era un grande amante della storia (il romanzo è dedicato a lui, a Renzo, ndr). È nato nel ’39, lo stesso anno in cui hanno inizio le vicende di “Non ti voglio vicino”, e il libro trae origine da una grande consultazione di fonti e documentazione orale, visiva e letteraria, ma soprattutto dall’ascolto di molti episodi storici che mi raccontava mio padre, che a quei tempi era un bambino. Io sono cresciuta ascoltando da lui tante storie, molte delle quali sono confluite nella struttura narrativa del romanzo che si conclude ai giorni nostri».
A PROPOSITO DELLA STRUTTURA NARRATIVA...
«Segue il tempo di una partizione musicale. C’è il primo assolo con il personaggio di Prisca, poi il coro in cui confluiscono molti personaggi, il duetto che apre la seconda parte, una sorta d’imbuto che si restringe sempre di più con quasi solo due personaggi (Lena e Prisca) e di nuovo un assolo, ancora la voce di Prisca, l’unica che parla in prima persona, come se idealmente la voce narrante che si palesa all’inizio e alla fine fosse la sua».
PERCHÉ QUESTA SCELTA?
«Ritengo la partitura musicale particolarmente affascinante perché unisce due mondi che amo molto, quello della parola e quello della musica: non c’è alcuna pretesa da parte mia, solo una suggestione. D’altronde, la vita è fatta di assoli e duetti, corrispondenti a quello che accade nella realtà».
NEL PRIMO ASSOLO PRISCA DICHIARA CHE “NOI SIAMO TUTTO QUELLO CHE È AVVENUTO PRIMA”: BARBARA GARLASCHELLI CHI È DAL PUNTO DI VISTA DELLA FORMAZIONE CULTURALE?
«Culturalmente sono il “prodotto” di due genitori nati in un periodo storico preciso e che inevitabilmente mi hanno fatta crescere in un certo modo; dal punto di vista letterario sono imbevuta della letteratura del Novecento, italiana e americana, da Faulkner a Steinbeck, da Vittorini a Calvino. Non è possibile non avere dei riferimenti come anche per i film e le musiche: sono convinta che dentro un libro c’è tutto quello che uno scrittore percepisce e vive, ama e detesta».
LA GESTAZIONE DEL ROMANZO NON DEVE ESSERE STATA FACILE...
«Infatti: ci ho messo cinque anni per scriverlo. Sono partita dal personaggio di Prisca e, chiedendomi da dove lei potesse arrivare, mi sono documentata per darle delle origini, dei genitori, immaginando “come” e “dove” avevano vissuto insieme, e la storia si è poi sviluppata seguendo questo filo».
L’EPISODIO DEL COLLEGIO, IN CUI LA SUPERIORA MANGIA UN FOGLIO DI CARTA PER DARE L’ESEMPIO A LENA E AGLI ALTRI BAMBINI, È VERO?
«Sì, è vero; per il resto quello che accade a Lena è pura fantasia. La storia dei bombardamenti mi è stata raccontata da mio padre e da suo fratello, dai suoi amici e alcuni mi hanno portato delle foto scattate personalmente da loro e che ho voluto mettere nel mio blog. Durante la scrittura del romanzo, poi, sono confluite anche le mie vicende personali che hanno un po’ rallentato i tempi: insomma, è stato un libro complesso da scrivere che però si è rivelato un viaggio meraviglioso».
E IL RITRATTO DEL DUCE COLLOCATO IN BAGNO?
«Anche quello è un resoconto vero: l’uomo di cui si parla è il nonno di una mia amica, un anarchico che aveva pensato che il luogo più congruo dove collocare il ritratto del “porco” fosse sopra la turca».
PERCHÉ SECONDO TE GLI ITALIANI SUBISCONO IL FASCINO DI CERTI PERSONAGGI COSÌ CARISMATICI?
«Siamo ingenui, stupidi, pigri intellettualmente e soprattutto, in questi ultimi anni, tendiamo psicologicamente alla rassegnazione. Se non scordassimo quel periodo storico che ha permesso all’Italia di diventare una Repubblica non saremmo nell’attuale situazione, che per me è tragica e pericolosa».
PERCHÉ?
«L’Italia è politicamente e culturalmente in ginocchio: in dieci anni siamo precipitati indietro di 70 anni. Sembra che lo statuto dei lavoratori non esista più, che non ci sia stata la guerra civile o la rivendicazione sindacale, che siano stati dimenticati quelli che sono morti per liberare il Paese dalla dittatura fascista. Per colpa del politically correct non riusciamo più a dire le cose come stanno e dare loro il giusto nome».
IN QUESTO CONTESTO CHE RUOLO PUÒ AVERE LO SCRITTORE?
«Non credo che abbia il compito di lanciare un messaggio, quanto piuttosto di serbare la memoria e raccontare delle storie che siano emozionalmente interessanti, vere ed autentiche».
(Articolo di Giovanni Zambito, pubblicato su Orizzonti n. 38)
Continua a seguirci su facebook al seguente link:
www.facebook.com/rivistaorizzonti
|