| Rispondono:
Roberto Amato, Alberto Maria Moriconi, per la poesia
Amélie Nothomb, Matteo B. Bianchi per la narrativa
ROBERTO AMATO
«Intorno ai nove-dieci anni costruivo piccoli libri, non più grandi di una scatola di fiammiferi. Cucivo insieme i fogli, illustravo la copertina. Erano “tomi” forse di una ventina di pagine. Con la mia microscopica scrittura di amanuense, li riempivo di poemi in ottave alla maniera dell’Ariosto o del Tasso. Avevo scoperto in cima a un vecchio armadio un “Orlando Furioso”, una “Gerusalemme Liberata” credo illustrata dal Doré, e un “Inferno” di Dante anche quello illustrato…
[…] Forse scrivere troppo è un male per tutti, narratori e poeti (ma anche editori e lettori!) Pea consigliava: una pagina al giorno. La scadenza di una medicina. Certo il narratore può abbandonarsi con meno rimorsi al suo discorrere. Il poeta dovrebbe abituarsi soprattutto a tacere, a contemplare la sua paginetta quasi bianca…
Secondo me un libro nasce sempre dalla riscrittura di un altro libro. Un’Opera Prima pubblicata a cinquant’anni è la riscrittura della riscrittura della riscrittura… Camminando così all’indietro si può tranquillamente arrivare, ossia tornare, a quei piccoli tomi “non più grandi di una scatola di fiammiferi”…».
ALBERTO MARIA MORICONI
«All’età di quattordici anni, quando, in quarta ginnasiale, svolsi in versi un tema: “Ricacciate in gola al poeta tedesco Federico Junger queste sacrileghe parole: “Guai a te, o Roma, perché verrà un giorno in cui un braccio adirato infrangerà la tua vecchia perfidia. L’Aquila teutonica porterà contro di te il fuoco. I tuoi antichi palazzi bruceranno nella notte come fiaccole…” e così via. Mi venne di ricacciargliene in gola, in nome e per conto dell’Aquila romana, in esametri di Roma carduccianamente “imbarbariti”. Essi piacquero alla mia buona professoressa; che li fece piacere per di più ai miei compagni e al preside. Perseverai: il male progredì».
AMÉLIE NOTHOMB
«Avevo 23 anni quando mi sono messa a scrivere il mio primo libro “Igiene dell’assassino”, ma non immaginavo neppure lontanamente il successo che avrebbe avuto. Inoltre, la redazione di quel romanzo è legata a una sorta di strano paradosso, in quanto io allora ero una scrittrice giovane e del tutto sconosciuta che raccontava le esperienze di uno scrittore vecchio e universalmente affermato. È stato un po’ come una sorta di sublimazione, come trarre fuori dal mio profondo una specie di alter ego, qualcosa di psicologico e personale.
Scrivo tutti i giorni, e considero la scrittura qualcosa di assolutamente irrinunciabile. Per quanto riguarda gli argomenti, lascio tutto alla cosiddetta ispirazione».
MATTEO B. BIANCHI
«Fin da bambino scrivevo, e fin da bambino sapevo che avrei voluto continuamente scrivere: addirittura a quei tempi disegnavo le copertine di libri inventati da me, anche se poi mi fermavo solo alla prima pagina. Ho cominciato a comporre storielle vere e proprie quando ero alle medie: scrivevo racconti sul modello dei “Gialli dei Ragazzi” (a quel tempo leggevo proprio i libri della Mondadori), in cui i protagonisti erano i miei compagni di classe: non essendo ancora in grado di inventare dei “veri” personaggi, utilizzavo gli amici come protagonisti delle mie storie. Probabilmente un forte impulso in questo senso è stato dato dai miei genitori, che hanno sempre letto molto, anche se col passare degli anni sono entrambi sorpresi di quanto io e mia sorella abbiamo portato avanti questa passione».
(Articolo a cura della redazione, pubblicato su Orizzonti n.36, nella rubrica “Consigli d’Autore”)
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