| Lilin: «Una lingua nuova in qualche senso ti libera, toglie i limiti che di solito fermano il pensiero».
Nelle produzioni spesso di cassetto che affollano gli scaffali delle librerie, in tutto questo bailamme di testi dalla facile reperibilità, si affiancano talvolta altri libri, magari ugualmente ben distribuiti e pubblicati da una major, da cui è però possibile trarre qualche insegnamento, o addirittura lanciare uno sguardo da una finestra privilegiata su una parte di mondo meno conosciuta.
È quanto accadrebbe al lettore che sfoglia le pagine di «Educazione Siberiana» (Einaudi, pp. 344, Euro 20), esordio narrativo di Nicolai Lilin.
Classe 1980, Lilin è nato a Bender, in Transnistria, regione dell’ex Unione Sovietica dichiaratasi indipendente dal 1990 e non riconosciuta da nessuno Stato. Nella società locale, composta perlopiù da siberiani fuggiti dalla propria terra natia, il tessuto criminale si è molto ben ramificato. È una vera e propria cultura: con le sue leggi interne, i suoi codici, le sue gerarchie, di frequente e per tradizione miniate nei tatuaggi. Forma d’arte che la voce narrante del romanzo, ovvero l’autore stesso, apprende da un maestro tatuatore, rubandone i segreti con gli occhi, come una volta si faceva nelle botteghe dei mastri artigiani.
Di capitolo in capitolo, Lilin compone un affresco dal tenore scomodo: rivela segreti, descrive costumi a volte privati, parla del rapporto fra criminali e religiosità, incarnando sempre, a partire dalla scrittura, il ruolo di un testimone attivo - e perciò tenuto, per pudore e rispetto, a fornire una versione dei fatti forse parziale, certamente “romanzata”.
È a questo proposito interessante che il libro sia stato scritto in italiano, dunque la sgrammaticatura, il difetto, la frase costruita in modo lessicalmente discutibile, acuiscono in maniera sensibile e inedita la verità della voce narrante. Se ne fanno, anzi, strumento.
CI SONO DUE CAPISALDI NELLA PRODUZIONE LETTERARIA DI UNO SCRITTORE COSIDDETTO “MATURO”: IL ROMANZO DI FORMAZIONE E L’AUTOBIOGRAFIA. «EDUCAZIONE SIBERIANA» È ENTRAMBE LE COSE: PERCHÉ ESORDIRE PROPRIO COSÌ?
«Non avevo pensato al mio esordio letterario come ad un’azione programmata. Ho scritto quello che ritenevo interessante, l’ho fatto come mi è sembrato più adatto al pubblico italiano. Soprattutto non mi ritengo uno scrittore vero e proprio, non sono all’altezza di portare il peso e l’autorità che porta uno scrittore vero, un professionista».
COSA TI HA SPINTO A LEGGERE E POI A SCRIVERE A TUA VOLTA? IL TIPO DI REALTÀ CHE ABITA IL TUO ROMANZO NON SEMBRA POPOLATA NÉ DA PERSONE PARTICOLARMENTE COLTE, NÉ DA PERSONALITÀ ARTISTICHE, ECCETTO I TATUATORI…
«Leggevo da sempre, mi ha insegnato mia madre quando avevo sei anni e da quel tempo non ho più smesso di farlo. Mi piace la letteratura e sono consumatore di tutto ciò che viene scritto e pubblicato, a partire dai giornali fino ai saggi storici. Nel posto dove sono nato si leggeva tanto, nonostante le molte difficoltà politico-sociali. L’Unione Sovietica è stato da sempre un Paese dove la gente vedeva nella cultura una forma di salvezza. Noi, immigrati, figli di immigrati, portiamo questa tradizione anche fuori dal nostro Paese. È il nostro modo di essere, più che altro. Ho scritto perché avevo delle cose da raccontare e volevo farlo a modo mio. Credo che ci sono riuscito, mi sento soddisfatto».
HAI SCELTO DI SCRIVERE «EDUCAZIONE SIBERIANA» DIRETTAMENTE IN ITALIANO. C’È UNA RAGIONE PARTICOLARE PER CUI HAI DECISO DI RACCONTARE LA “TUA” STORIA IN UNA LINGUA NON “TUA”?
«Vivo da sei anni in Italia, ho sposato una donna italiana, abbiamo una figlia, sono cittadino di questo Paese. Amo l’Italia, per me è la mia Patria, perché sono stato accolto bene e credo negli ideali che emergono dalla storia e dalle basi della democrazia italiana. Ritengo che la lingua Italiana è la mia lingua, anche se la mia grammatica lascia a desiderare, ma in questo vedo anche una forma di contributo che posso offrire all’allargamento dell’orizzonte culturale di questo bellissimo e culturalmente ricco paese. Ho scritto il mio libro in italiano per i miei concittadini italiani e perché così sono riuscito a esprimere quello che nella mia lingua madre avevo difficoltà a trasmettere. Una lingua nuova in qualche senso ti libera, toglie i limiti che di solito fermano il pensiero».
L’ITALIANO È UN IDIOMA MOLTO COMPLESSO, CHE TUTTAVIA TU UTILIZZI IN MODO CRUDO: FRASI SECCHE, NESSUNA CONCESSIONE AI PROSAICISMI. SE LO AVESSI SCRITTO IN LINGUA MADRE, TI SARESTI COMPORTATO UGUALMENTE, CON LE PAROLE?
«Non scriverei mai niente in russo, forse per motivi personali ho un blocco. Non perché non la amo, mi piace la letteratura russa, ho scritto anche poesie in lingua russa, però oggi, a ventinove anni, da italiano che vive effettivamente lontano dalla Russia, integrato in un’altra realtà, non vedo nessuna possibilità e ragione di scrivere nella mia lingua madre».
IL LIBRO HA INIZIATO A GIRARE E CI SARANNO STATI CONFRONTI COI LETTORI. COSA PENSA LA GENTE A PROPOSITO DI CIÒ CHE «EDUCAZIONE SIBERIANA» RAPPRESENTA E RACCONTA?
«I pensieri sono diversi e contradditori. C’è chi mi ama e chi mi odia. Meno male che è così, vuol dire che il mondo continua ad essere diverso e nella nostra differenza e diversità si nasconde la chiave per la sopravvivenza della nostra specie. Io rispetto tutti i miei lettori e voglio loro tanto bene, sono molto grato a loro e all’idea che ognuno di loro si sia fermato per un momento e abbia dedicato il suo prezioso tempo alla lettura della mia storia, abbia condiviso con me i suoi sentimenti e pensieri. Questo fatto mi rende felice e onorato».
LE PERSONE DI CUI PARLI NEL ROMANZO SANNO DEL TUO ESORDIO IN NARRATIVA? E COME HANNO REAGITO A SAPERSI RACCONTATE?
«Molti di quelli di cui parlo non ci sono più, altri per motivi di sicurezza non si riconosceranno mai, ho cambiato i nomi e ho mischiato tutto, in modo che nessuno possa essere riconosciuto. Mia mamma ha apprezzato il mio impegno letterario, ma mi ha criticato duramente, dicendo che io parlo troppo. Molti dei miei ex concittadini non sono d’accordo con quello che ho scritto, molti vedono il mio libro come una sorte di offesa, menzogna o addirittura minaccia. Ma è una reazione normale, sono contento che possano esprimerla, vuol dire che anche loro cominciano ad accettare la democrazia. Spero solo che lo faranno seguendo le norme di etica e della legge».
HAI PROGETTI PER IL FUTURO? CONTINUERAI A SCRIVERE IN QUESTO SOLCO, E SEMPRE IN ITALIANO, O HAI IN MENTE STORIE DI ALTRO TIPO?
«Presto uscirà il mio secondo libro, sto pensando al terzo e in parallelo scrivo articoli e racconti per alcuni giornali italiani. Siccome mi ritengo a tutti gli effetti Italiano, scrivo nella lingua Italiana e spero che continuerò a farlo ancora per un bel po’».
(Articolo di Gianluca Mercadante, pubblicato su Orizzonti n. 36)
Continua a seguirci su facebook al seguente link:
www.facebook.com/rivistaorizzonti
|