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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

Amabili resti. Intervista ad Alice Sebold.

di Rivista Orizzonti


Potrebbe essere un libro autobiografico, “Amabili resti” di Alice Sebold, giovane scrittrice statunitense. Sì, perché questo romanzo che, pur essendo un’opera prima, ha venduto subito milioni di copie, è basato su un’esperienza realmente vissuta dalla scrittrice, anche se non finita così tragicamente: quella di uno stupro.
La protagonista del libro, Susie, è infatti un’adolescente vittima di una violenza, che viene uccisa e fatta a pezzi. Ma lungi dallo scomparire per sempre, Susie continua a “vivere”, a osservare e a condizionare in ogni modo le azioni di chi le è sopravvissuto: genitori, parenti, amici. Veglia su di loro, suggerisce, e rimane, pur morta, protagonista di questa storia.
Una narrazione delicata e avvincente è la caratteristica di questa autrice che, pur trattando un argomento scabroso e scomodo, riesce a farlo con una sensibilità e leggerezza priva di sentimentalismi di maniera. Anche per questo il romanzo non è da considerarsi un vero e proprio thriller. Dalle immagini, dalle parole di questa narrazione, emana una struggente nostalgia per la vita: e questa è la reale protagonista del romanzo.
Abbiamo incontrato Alice Sebold a Roma, in occasione del festival della letteratura che ogni estate si tiene a Massenzio.


Cosa ne pensa dell’accoglienza che ha avuto in questa città?
«Non credevo di avere tanto pubblico, mi sembrava quasi di trovarmi ad un concerto rock. Io sono molto timida, e pensavo che non ce l’avrei fatta a parlare davanti a tanta gente l’altra sera. Ma poi sono stata aiutata anche dalla presenza dell’attrice Elisabetta Pozzi, che ha letto alcuni brani tratti dal libro, e allora mi sono fatta coraggio… sono felice di questa accoglienza in Italia. Credo che tornerò presto».

Come mai ha scelto un argomento così doloroso per lei, come soggetto della sua storia?
«Uno scrittore finisce quasi sempre a narrare storie filtrate o vissute dalla propria esperienza. Non è necessario che sia qualcosa di personale, ma nel mio caso lo è stato, e debbo ammettere che scriverne è servito a farmi superare certi momenti difficili. Da studentessa, ho subito anch’io una violenza, e questo mi ha fatto credere per anni che non ce l’avrei fatta a superare quel trauma, né a voler bene veramente a un uomo. Poi per fortuna la vita mi ha fatta ricredere: sono riuscita a scrivere, e oggi condivido la mia esistenza con un marito adorabile, anche lui scrittore».

Cosa c’è di lei nel personaggio di Susie?
«Susie è diversa da me. È una bambina molto più “normale” di quanto io sia stata, più tranquilla».

Susie è presente in tutta la storia, anche se muore all’inizio del romanzo, è come se l’inizio coincidesse con la fine…
«La morte non è una “fine”, come si intende ordinariamente. Io credo che le persone non muoiano realmente: si trasformano e continuano a vivere nei luoghi in cui hanno sempre vissuto, accanto alle persone che hanno amato. Spero di essere riuscita a trasmettere questo nel libro: la vita cambia, ma non finisce».

È stata tradotta in molti paesi oltre all’Italia?
«In Francia, Giappone, Spagna e Germania. Sono contenta di essere letta in Italia, sono davvero soddisfatta di questa traduzione curata dalla E/O».

Si è parlato di fare un film da questo romanzo. Cosa ne pensa?
«Ne sono felice, anche se non credo che parteciperò alla sceneggiatura. Mi rendo conto che il cinema è una cosa, la narrativa un’altra, e io mi sento una scrittrice di narrativa. Così lascerò fare agli sceneggiatori, e mi accontenterò che ne venga fuori un buon film. Dovrebbe essere una produzione internazionale, in collaborazione con la Francia…».

Come trascorre il suo tempo, quando non lavora?
«Il più possibile a contatto con la natura. Adesso che non vivo più a New York, ma in California, questo è possibile. A New York mi sentivo soffocare: troppa gente, troppi scrittori, troppa competizione. Adesso scrivo, studio, partecipo a corsi di scrittura come insegnante, con ritmi molto più umani rispetto a prima.
Leggo in modo ossessivo: di tutto. Poi mi piace portare a spasso il mio cane sulla spiaggia, e parlare con mio marito dei nostri interessi. E adoro viaggiare, quando è possibile. Il viaggio riposa la mente e alimenta la fantasia…».

Trova utili i corsi di scrittura creativa?
«Sì, anche se penso che non tutti riusciranno a diventare dei veri scrittori. È una questione di talento, e il talento nessuno può insegnarlo. Tuttavia i corsi sono utili a tutti, anche a chi voglia comunicare meglio con gli altri, o scambiare idee e letture con chi ha gli stessi interessi. È un modo positivo di incontrarsi».

Tra gli scrittori che l’hanno più affascinata sin da bambina?
«I russi, Dostoevskij, Gogol, e gli inglesi, Stevenson, Dickens. Per quanto riguarda gli americani il mio mito è sempre stato Henry James».

E fra gli italiani?
«Cesare Pavese, soprattutto come poeta».

Crede nell’ispirazione?
«Sì. La mia scrittura vive di ispirazione. Per quello che riguarda Amabili resti per esempio, ho avuto un giorno la visione di una bambina che si è quasi materializzata nel mio studio. L’ho vista seduta sulla mia scrivania, mi guardava come se volesse dirmi qualcosa. Non ho pensato a un determinato fatto di cronaca: è stato come se il personaggio mi avesse scelta come narratrice della sua storia. Quando Susie mi si è concretizzata davanti, ho iniziato a costruirci una storia attorno: il mio lavoro narrativo è stato guidato dal personaggio. Certo scrivendo di Susie, ho messo parte del mio vissuto personale: l’immaginazione è la migliore difesa contro l’orrore del mondo».

Ha mai avuto la famigerata “crisi da pagina bianca”?
«Qualche volta, ma ho un mio metodo per superarla: interrompo quello che sto facendo, e leggo delle poesie. Il linguaggio poetico mi incanta da sempre. Qualche volta anch’io scrivo poesie, ma non oso pubblicarle. La poesia è una grande fonte di ispirazione, è come una lente di ingrandimento che ti permette di vedere tante cose dietro a un piccolo dettaglio. Questo porta il poeta a rivelazioni importanti: è un universo che si dischiude all’anima. Il linguaggio poetico ti può portare in luoghi dove il romanzo non arriva».


(Articolo di Alma Daddario, pubblicato su Orizzonti n. 23)



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