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C’era una volta il Sogno Americano, quello degli italiani che si erano imbarcati su navi cariche di emigranti, all’inizio del secolo scorso, e hanno lasciato il loro nome e la loro destinazione nei registri di Ellis Island.
“Gerardo Greco. Provenienza: Italia, sud; data di arrivo: 1906, febbraio; età: 23 anni; vuole andare a Cleveland, Ohio.”
Seguendo le tracce di presunti vecchi parenti approdati negli Stati Uniti un secolo fa, Gerardo Greco, che invece ci è arrivato nel 2001, con l’attentato alle torri gemelle, inizia un viaggio alla ricerca di ciò che resta di quel sogno, e ne ha fatto un libro: "Good Morning America!" (Sperling & Kupfer, pp. 228, Euro 18,50).
«Il sogno americano è soggettivo - spiega Gerardo Greco, corrispondente da New York per il Tg2 - "Good Morning America!" comincia cronologicamente dai miei 25 omonimi che sbarcano a Ellis Island per poi cercarne i discendenti che erano partiti da Palermo. Tento di scoprire il loro sogno partendo da uno mio personale e lo faccio nell’anno della campagna elettorale di Obama in cui si evidenzia come sia cambiato il sogno americano nel periodo della sua vittoria e mesi prima con il crollo di Wall Street. Il sogno è mutevole ma in fondo la forza attrattiva del Paese consiste in questo: l’America è un’immensa macchina di sogni».
Quali tappe hai attraversato in questa ricerca?
«Sono andato in giro in un’America non turistica o commerciale, ma nella provincia, che ne costituisce la ‘pancia’. Il sogno americano cambia sostanzialmente su tre cose: la prima è la casa e a Cleveland, terra promessa del mio giovane antenato, oggi c’è la più grave crisi immobiliare che la storia ricordi e le villette abbandonate dai proprietari che non hanno potuto pagare le rate del mutuo sono in vendita a 800 dollari. Si racconta che cos’è la ‘casa’ e come si differenzia da quella italiana».
E poi?
«C’è la macchina: a Detroit, le grandi fabbriche di automobili (Gm, Chrysler e Ford) aspettano i soldi delle sovvenzioni statali per rimettersi in moto. E le grandi macchine americane non si vendono più e chissà con quale saggezza si decide di rivolgersi agli italiani e alle loro piccole auto, nonostante per anni ci abbiano preso in giro? A Wall Street, posto simbolo del capitalismo selvaggio, dopo i 40 licenziati, si ripensa a tutto il sistema con un intervento statale, definito impropriamente ‘socialista’: uno strano modello di importazione social democratica europea.
Gli americani hanno la forza di cambiare regole molto precise e di rimettere ogni cosa in discussione».
E Obama?
«Indubbiamente carismatico e innovativo, Obama è un’icona, un simbolo, un uomo d’immagine, uno psicanalista nazionale che ogni giorno va in tv e dice al suo popolo “siamo forti” e rinnova il sogno, un po’ come fece Reagan (la cui scommessa è stata vinta).
Quella di Obama, finora, è solo una scommessa. Non per niente nella quarta di copertina è raffigurato come Superman: deve dimostrarsi forte per uscire vivo da questi quattro anni».
In quale aspetto emergono le contraddizioni di un Paese come l’America?
«Per esempio nell’ambientalismo - io parlo di quello di derivazione ‘goriana’: anni fa si pensava addirittura di climatizzare un’intera strada e gli esterni, mentre adesso c’è la moda di piantare gli alberi anche sul tetto».
Il tuo libro è allora tante cose: me ne daresti una definizione?
«È una sorta di guida spirituale dell’America, un divertente viaggio dell’anima, come sempre è quello degli italiani che vi si recano».
E quale stile narrativo lo attraversa?
«È un romanzo-non romanzo. Essendo l’America un Paese paradossale ho cercato di raccontarlo come una storia: doveva essere in realtà un reportage obiettivo e fedele ma il Paese è talmente folle che alla fine anche il libro diventa strano; pieno di avventure e di avvenimenti che potrebbero sembrare fantasiosi. Ma non c’è nulla di inventato. Tutto è incredibilmente vero».
(Articolo di Giovanni Zambito, pubblicato su Orizzonti n. 37)
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