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Uscito per Mursia Editore alla fine di gennaio, in concomitanza con il Giorno della Memoria, “La lista di carbone” (pp. 264, euro 17), è il romanzo d’esordio di Christiana Ruggeri, giornalista e conduttrice di Tg2 Costume e Società, prossima a concorrere con altri cinque scrittori indicati dai librai per la 56esima edizione del prestigioso e ambito premio letterario del Bancarella 2008. “Una specie di sogno, di magia - confessa entusiasta: non potevo crederci quando il mio editore mi ha telefonato per dirmi del Bancarella”. Il romanzo affonda le radici nella Shoah e vede protagonista una studentessa romana di oggi che casualmente sarà condotta a ricostruire un antico puzzle di dolore e riscatto, di amore e coraggio, per tutti i protagonisti. Sulle tracce di alcune lettere, intraprende un viaggio in Germania e in Lettonia seguendo una pista d’indagine che, passo dopo passo, la porterà a conoscere non solo il segreto delle missive, ma anche i retroscena e le conseguenze del salvataggio di un gruppo di ebrei del campo di Sachsenhausen, i cui nomi furono tracciati da un prigioniero su foglie di pannocchia, un elenco scritto col carbone.
CREDI VERAMENTE CHE TUTTI ABBIAMO DENTRO UN ROMANZO DA SCRIVERE?
“Credo che ognuno abbia in mente o in un cassetto il romanzo della propria vita e invito tutti a metterlo su carta: è successo anche a me ma finora non avevo avuto la presunzione di farlo anche perché bisogna avere anche l’idea di che cosa scrivere”
IL PASSAGGIO DAL GIORNALISMO ALLA STESURA DI UN ROMANZO NON È AUTOMATICO. IN CHE MODO TI HA AIUTATO OD OSTACOLATA IL TUO MESTIERE?
“È proprio la scrittura che ci permette di utilizzarla in maniere diverse. Un’agenzia, un pezzo per la radio o per il telegiornale, un reportage sono cose diverse dallo stile di un romanzo, ma tutto è accomunato dall’amore assoluto per la scrittura che in me ha radici lontane da quando mio nonno mi ha insegnato a leggere e a scrivere attraverso i quotidiani. Leggere e scrivere, come tutte le arti, aiutano a rendere la vita più bella”
HAI UN GENERE PREFERITO A LIVELLO DI LETTERATURA?
“Amo particolarmente la letteratura degli anni Venti e Quaranta: mi sono formata su Pirandello, un genio assoluto, un evergreen, i cui racconti e romanzi si leggeranno sempre e sempre parranno attuali. Il mondo ha avuto tante genialità: adoro anche i sonetti di Shakespeare; la letteratura mi piace tutta e non c’è genere o settore che mi blocchi. Attraverso la letteratura si può conoscere una popolazione non solo nel suo spirito geografico ma anche in quello culturale. Leggere è fondamentale perché, come l’arte, annulla le distanze di spazio e tempo”
QUANDO TI È VENUTA L’IDEA DE “LA LISTA DI CARBONE”?
“Precisamente da due anni, dal momento in cui lessi un trafiletto in cui veniva annunciato che comunicava la restituzione da parte del presidente russo Putin di un carteggio, un dossier fotografico e diaristico saccheggiato alla Germania, al cancelliere tedesco e alla Gedenkstätte Sachsenhausen, il museo del lager alle porte di Berlino. Karl-Otto Koch, comandante SS del campo di concentramento, aveva raccolto in un album 500 fotografie che illustravano le attività di tutti i giorni degli aguzzini e delle loro vittime. Alla fine della guerra quel documento sconvolgente finì negli archivi della polizia segreta sovietica”
LA FIGURA DI KOCH TI HA PARTICOLARMENTE COLPITA…
“Lo possiamo definire l’artefice del libro: studiando la sua figura mi sono davvero inquietata. È l’unico gerarca nazista denunciato e ucciso dalle stesse SS. Questo mi ha fatto capire quanto il male non sia mai assoluto e che c’è sempre qualcosa di peggio. Fa accapponare la pelle pensare che per le sue efferatezze sia stato impiccato all’interno dei nazisti. Dal punto di vista letterario mi ha però dato la possibilità di inventare la figura del suo sostituto”
CREDI CHE IL TUO LIBRO POSSA CAMBIARE UN PO’ IL MODO DI COMUNICARE LA MEMORIA DELLA SHOAH?
“Spero proprio di sì: è uno degli intenti che mi sono proposto. Nel mondo della comunicazione di oggi il problema del 27 gennaio, ricorrenza necessaria, è che le immagini che si vedono appaiono come un film lontano, facendoci correre il rischio di essere quasi involontariamente distratti. Come giornalista e attenta fruitrice del medium televisivo ho visto tante volte speciali sulla Shoah e provavo ogni volta un grande senso di inadeguatezza: mi rendevo conto attraverso quelle immagini di dolore collettivo che è un problema storico inquietante e terribile. La levità di un romanzo può contribuire all’avvicinamento da parte dei giovani ad un argomento che come quello della Shoah fa paura e sgomenta. Se si mantiene inalterato il rispetto, si può utilizzare un mezzo di comunicazione semplice per rendere fruibile il contenuto anche a chi teme di restarne impressionato. Sto incontrando tantissimi giovani nelle scuole e il riscontro è grandissimo”
CIOÈ?
“Ho ricevuto moltissime email di studenti, che al giorno d’oggi sono presi da molti input ma non è detto che non possano raccogliere e accogliere anche quelli positivi. Hanno le qualità per discernere e farsi una formazione”
A PROPOSITO DELLA SCUOLA, PENSA CI SIA UN MODO PER SVECCHIARE LO STUDIO DELLA STORIA CHE SPESSO ARRIVA A MALAPENA A TRATTARE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE?
“Visitando i luoghi dove sono avvenuti i fatti e le battaglie perché secondo me la storia va incontrata. Se pensi alle Foibe, il grande mistero della storia è che più ci si allontana dallo svolgimento dei fatti più questi vengono scoperti e conosciuti: è una specie di gioco d’opposizione”
HAI VISITATO PERSONALMENTE I LUOGHI CHE FANNO DA SFONDO ALLE VICENDE DEL ROMANZO?
“Assolutamente sì. Il campo di concentramento di Sachsenhausen mi ha colpito e strabiliato. La mostra realizzata col materiale di Koch l’ho visitata però dopo che avevo consegnato il libro all’editore e sono rimasta contenta perché ero riuscita a capire quanto quella realtà fosse stata feroce: è un posto che lascia abbastanza inquietati. E poi la Lettonia, la foresta di Rumbula, il campo di Riga dove è stata sterminata quasi tutta la comunità ebraica tanto che si parla di doppio Olocausto, in quanto i sopravvissuti vennero poi uccisi dall’Armata Rossa. Oggi pensando a Riga, la immaginiamo come una città giovane caratterizzata da locali, piena di case e vita, ma non sappiamo quante ferite allucinanti mantiene nel cuore. Per me è stata una crescita: non avrei mai conosciuto questi luoghi se non avessi deciso di ambientare lì la storia”
TORNANDO AI GIOVANI, INTERNET PUÒ ESSERE UNO STRUMENTO PER COMINCIARE A VIAGGIARE ANCHE SE VIRTUALMENTE?
“Sì, internet è utilissimo se visto però come primo passo per un viaggio che diventi anche geografico, di biblioteca, di emeroteca, di ricerca. È lo strumento che è mancato alla mia generazione che ha frequentato l’università quando ancora non c’era: è un input per decidere cosa fare da grande e cominciare a scegliere le battaglie anche politiche da affrontare. Abbatte le barriere come fanno i libri: si aiutano vicendevolmente e non penso ci sia opposizione o rivalità”
PUOI DIRCI DI UN RISCONTRO AVUTO DALLA COMUNITÀ EBRAICA?
“Alla fine di un mio intervento durante la puntata di ‘Domenica in…’ dedicata al Giorno della Memoria, una signora, che da bambina aveva vissuto gli orrori di un campo di concentramento dov’era stata sterminata la sua intera famiglia, mi ha esortato a continuare su questa strada, perché i giovani devono sapere e continuare a ricordare, anche dopo la scomparsa di chi come lei rappresenta la generazione degli ultimi testimoni diretti. Mi ha onorato e commosso: è un impegno che ho preso sul serio. Il romanzo è dedicato al ricordo di tante tragedie e non solo alla Shoah”
QUALE TRATTO UNIVERSALE AVVICINA ANNA E I PERSONAGGI DEL LIBRO AI LETTORI DI OGGI?
“Il dolore e il coraggio. Purtroppo il dolore attraversa la storia in maniera trasversale e si ripropone nella scelleratezza, nella guerra, negli scontri etnici e l’uomo continua a non imparare dalla storia che come ci insegna Vico ha i suoi corsi e ricorsi. La Shoah è uno dei più grandi dolori trasversali che ha colpito non solo la comunità ebraica, ma per esempio anche gli zingari e gli omosessuali: il ricordo di permette di non farli dimenticare con modelli di coraggio universale e trasversale di chi ha creduto di potercela fare e sperato di ricominciare a vivere. Provare la forza dentro di sé, la speranza di farcela contro tutto quello che si vede e si sente è un esempio che serve a tutti noi. Dolore e coraggio possono sembrare in antitesi, invece vanno a braccetto. L’idea poi di inserire l’escamotage letterario delle lettere d’amore non è stato pensato per abbassare il livello del libro, tutt’altro. Rappresenta i tanti uomini e le tante donne che allora sognarono di avere penna e carta per poter scrivere a una mamma, a una fidanzata, a un marito per comunicare semplicemente di essere ancora in vita.
(Articolo di Giovanni Zambito, pubblicato sulla rivista Orizzonti n. 33)
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