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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

Cristina Comencini e il suo viaggio oltre “L’illusione del bene”

di Rivista Orizzonti



«La verità va sempre cercata, anche quando è scomoda e dolorosa»

Al centro dell’ultimo romanzo della scrittrice e regista, una riflessione sulla disfatta del comunismo e sulla delusione collettiva della generazione di giovani degli anni Settanta.


Un uomo, un sessantenne, deve fare i conti con un mondo diverso da quello in cui ha sempre creduto e, non ancora rassegnato alla cocente delusione nata dal crollo dei suoi ideali, si interroga ossessivamente sul senso del comunismo, su cosa si nasconde dietro il fallimento di questa fede politica che aveva coltivato con assoluta dedizione. E il destino lo aiuta a trovare le risposte che cerca, facendogli incontrare sulla propria strada una giovane pianista russa, con la sua bambina di pochi anni e la nonna e sbattendogli in faccia una storia dolorosa che accompagna quattro generazioni di donne, dentro cui si cela la sua personale soluzione alle domande senza risposta. Questo incontro, casuale, spinge il protagonista a intraprendere oltre che un viaggio metaforico “dall’interno”, anche uno reale, tra Budapest prima e l’ex Unione Sovietica e il Kazakistan poi, alla ricerca di una dissidente sovietica. In questo percorso di autoscoscienza, Mario coinvolge anche la sua famiglia, figli naturali e acquisiti, ex compagne e nuovi amori.
Al di là del protagonista maschile, ritroviamo all’interno di questo libro, «L’illusione del bene», una storia tutta al femminile scritta dalla mano di una donna, Cristina Comencini, non nuova alle indagini psicologiche che l’hanno resa famosa ai lettori (si pensi, fra tutti a «La bestia nel cuore»).
Vi è una vicenda attenta ai sentimenti di quattro generazioni di donne, unite da un legame profondo e paragonabili ad una struttura a matrioska: aprendone una se ne trova un’altra, di una generazione diversa, di una dimensione diversa, con una memoria diversa. Ma ciascuna è depositaria di qualcosa di irripetibile.
Troviamo in queste pagine una chiave di lettura principalmente politica, complessa oltre che scomoda, come ammette la stessa autrice.
«Effettivamente io ho avuto un po’ di coraggio nel fare questo romanzo, devo ammetterlo, nonostante molte persone che mi vogliono molto bene, mi dicessero di non farlo! Io penso che la letteratura di meraviglioso ha questo: che va avanti per la sua strada, si fa da sola, non ascolta neanche la paura. Il parlare di queste cose, di sentimenti e di idee politiche così vicine a quelle del protagonista penso sia il nostro dovere, penso che sia dovere della letteratura ed in generale del pensiero libero. Sentivo il bisogno di spiegazioni, la necessità di tirare le somme col passato e con la responsabilità. La verità va cercata sempre, anche quando è scomoda e dolorosa. Dunque, per me, il fatto di farlo è stato effettivamente un atto di coraggio che mi riconosco».

Per la stesura del libro, la Comencini ha seguito le orme del protagonista.
«Quando mi sono messa in cerca di materiale per questo romanzo, sono andata in quei luoghi; per esempio a Budapest dove una fondazione ha raccolto tutti i ‘samizdat’ cioè tutte le pubblicazioni clandestine che circolavano fino alla caduta del muro, in modi rocamboleschi e incredibili, e di cui la maggior parte non è stata mai letta. Io ero sola in questo posto perché non lo visita nessuno e mi sono state portate queste grandi scatole con dentro tanti fogli che stanno crollando, che stanno cadendo, perché nessuno li leggerà. La maggioranza di quelli che venivano letti alla radio erano politici, perché il momento urgente era politico e invece ci sono tanti altri documenti, diari di ragazzi, sentimenti, messaggi che chiedono: aiutateci! Ed uno di questi è forse il centro del romanzo.
Mi è sembrato stando lì, parlando con uno storico russo e con un’altra signora che li conservano, che abbiamo anche un debito, perché negli anni Settanta, negli anni della mia ribellione, dall’altra parte c’era questa gente che ci chiedeva aiuto e noi sostanzialmente non glie l’abbiamo dato. Io mi sentivo parte in causa, e penso che la letteratura aiuti in questo senso a raccontare per incontrare, per incontrare queste persone. La letteratura è uno strumento meraviglioso per poterlo fare».

Il tema politico non è il solo affrontato e ne sovrintende altri, quasi a sottolineare come i vari ingredienti dell’esistenza non possono essere trattati separatamente, in quanto facenti parte di un contesto inevitabilmente più ampio: la vita e la complessità della stessa. Come la famiglia, l’investigazione individuale -cui ognuno di noi, in modo assolutamente personale e irripetibile, è chiamato nel corso della propria esistenza per andare alla ricerca delle proprie radici- e soprattutto il tempo. Un tempo allargato che supera i limiti dell’esistenza personale, collegando il passato al futuro, e la generazione appena trascorsa con quella che si affaccerà alla vita.
«C’è il tema del tempo, cioè il fatto che molto spesso il pensiero umano si incunea in tragedia perché non tiene conto che il tempo non è solo il tempo della nostra vita, ma è un tempo che va oltre noi, e in questo senso per me il romanzo è un romanzo generazionale -dichiara la Comencini- Per me il centro del romanzo è il rapporto tra un padre e un figlio, inteso come un passaggio continuo di testimone, dove le parole vanno ad un altro e grazie al quale il pensiero non si ferma, e anzi viene modificato, migliorato. Tutti i pensieri che si sono fermati e chiusi hanno prodotto orrori».

A tal proposito, significativa è una lettera presente nel romanzo, che non fa parte dei ‘samizdat’, ma è il frutto dell’invenzione dell’autrice ed è stata scritta in una notte, cui uno stralcio pubblicato in quarta di copertina dice: «Non immagino nessuno che possa leggere queste righe, le affido a una donna che domani uscirà, le cucirà nell’orlo della gonna. Se andranno a finire in un tombino e l’inchiostro si scioglierà all’acqua e alla neve, le mie parole, in ogni caso, non andranno perdute. Esiste già chi le pensa».

(Articolo di Alessandra Basso, pubblicato su Orizzonti n. 33)


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