| NEL ’97 PER LA RAI HAI SCRITTO LA COMMEDIA ‘POP CORN’ CHE TI È VALSA IL 1° PREMIO AL PRIX ITALIA. CE NE PARLI?
«Il Prix Italia è un concorso a carattere nazionale - per non dire mondiale - in cui vengono premiate opere come documentari e sceneggiati per la televisione o per la radio. C’è però anche un premio per la musica. Nel mio caso, la rosa prevedeva la partecipazione di 32 commedie provenienti da tutto il mondo e - caso strano - è stata premiata la mia che era un testo comico. La storia è quella di un pappagallo, Loreto, che assiste a tutte le scene di tradimento ad opera del marito della padrona, Luciana, prima che questa lo cacciasse. Storie di seduzione di cui viene appunto al corrente grazie ai rigurgiti di memoria del pappagallo. La cosa interessante nel mio lavoro di scrittura in questa commedia, un lavoro espressamente richiesto dalla Rai, è stato il trovarmi a sopperire le esigenze di budget dell’emittente. Nel senso: se da una parte il costo di un effetto speciale radiofonico è ben poca cosa, lo stesso non si può dire sul cachet degli attori. Per cui ho scritto alla fine un testo che prevedesse la presenza di sei, sette voci, interpretate da soli tre attori. Il risultato finale mi emoziona ancora!»
ESISTE, SECONDO TE, UN RAPPORTO DIRETTO FRA LETTERATURA E ORALITÀ?
«Esiste più nel racconto che nel romanzo. Partecipo frequentemente a reading performance e mi accorgo, di volta in volta, che la presa sul pubblico è molto buona. La gente partecipa volentieri, segue in modo molto attivo le letture che faccio su cose mie e su cose altrui. Molto più su quelle altrui, ovviamente!... C’è una forza, un impatto... direi una percussione sillabica in certa prosa, che non emergerebbe a una lettura silenziosa. Non parliamo poi dei dialoghi, che sono per eccellenza un’importazione orale sulla pagina scritta. Direi invece che nella nostra epoca, un rapporto fra oralità e scrittura esiste soprattutto nella persona dello scrittore. Chi pubblica è spesso chiamato ad intervenire in senso mediologico su argomenti di ogni genere. Tutto sommato, è un modo per non intombare le parole nel solo volume, che rimane lì a ripetere sempre le stesse cose, mentre una persona, dialogando, è portata ad autocommentarsi di continuo, rivitalizzando il libro che oggi necessita - come è evidente - di un corpo, per attestare la propria esistenza».
OLTRE A SCRIVERE NARRATIVA, TU SVOLGI ANCHE ATTIVITÀ DI CRITICA LETTERARIA. IN UN TUO ARTICOLO SUL CAMPIELLO, CHE QUEST’ANNO È STATO TRASMESSO IN TV TI ERI DETTO CONTENTO NEL TROVARLO NOIOSO, PERCHÉ LA LETTERATURA NON SI LASCIA SPETTACOLARIZZARE. LA TELEVISIONE STA GIOCANDO QUESTA CARTA, ALLORA? VUOLE TRASFORMARE ANCHE UN LIBRO IN UNO SHOW?
«C’è da dire che queste sono iniziative che possono nascere da persone seriamente motivate e quindi portare il Campiello in tivù poteva essere interessante. Quando però mi capita di vedere talk-show sul canale francese Antenne 2, dove critici, scrittori, giornalisti e altra gente del ramo, sono chiamati a intervenire su un tema che prosegue poi per un’ora e mezza di trasmissione senza problemi, non vedo per quale motivo anche in Italia non si possa realizzare un progetto similare. Per esempio, c’era un bel programma di Paolini sulle Mediaset, ‘Le notti dell’angelo’, che era davvero molto accattivante, con un montaggio innovativo, da videoclip, assolutamente mai sperimentato per trasmissioni del genere. Se posso però muovere una sommessa critica, dispiaceva constatare quanto lavoro fosse scartato a beneficio di questo. Era un peccato vedere che mi vai a stanare autori del calibro di Ian MacEwan, per poi mandarli in onda 30 secondi o giù di lì. Apprezzabile anche il tentativo di Baricco. Picwick si ricorda soprattutto per la verve di lui, ma è stato un programma che per molti versi si avvicina all’idea che ho detto in merito alla rete francese: semplicità e immediatezza. Potremmo evincere allora che i libri in TV hanno bisogno di programmi non ansiogeni. Alla larga i cani da fiuto dello share!»
E ALLORA VENIAMOCI, AI LIBRI: ‘OCCHI SULLA GRATICOLA’ È IL TITOLO DEL TUO PRIMO ROMANZO, TARGATO ’96. A COSA SI DEVE LA SCELTA DEL TITOLO?
«In quanto sintagma, ‘Occhi sulla graticola’ nomina un contatto intollerabile tra vista e tatto. Una mescolanza, per meglio dire, tra vista e tatto, perché il contatto letteralmente parlando avviene tra l’occhio e una superficie arroventata. C’è anche però l’intenzione, nella mia presuntuosa e modesta proposta, di unire due atteggiamenti per natura distanti, ovvero quello di toccare l’oggetto e di scottarcisi, ma usando un occhio, organo occidentale della sapienza. Quindi, toccare senza rinunciare alla conoscenza. Inoltre non dimentichiamoci che ‘Graticola’ è anche il nome della protagonista del romanzo, sulla quale l’Io narrante, innamorato, accende i riflettori attraverso un taglio narrativo di genere saggistico. C’è un’ambivalenza, quindi. Da una parte filosofica, se vuoi, dall’altra il gusto del doppio senso. Questi ‘Occhi’ su una ‘Graticola’ non più intesa come oggetto, ma come nome proprio di una persona oggetto».
LA SPERIMENTAZIONE LINGUISTICA È LA COLONNA PORTANTE NELLA TUA NARRATIVA. IN ‘OCCHI SULLA GRATICOLA’ C’È PERÒ ANCHE UNA SORTA DI DEPURAZIONE DALLA CULTURA CLASSICA. DICO BENE, O SI TRATTA SOLO DI UNA MIA IMPRESSIONE?
«Depurazione. Beh, io direi confronto. Il libro si apre in una biblioteca, no? Il protagonista maschile è lì che lavora ad una tesi prima d’incontrare questa Maria Grazia Graticola di cui s’innamorerà, decantando lodi che fanno il verso alla stessa tesi dell’inizio. Parlo di confronto perché? Perché arrivato all’età in cui sei costretto a fare i conti con gli studi sostenuti, la voglia di mettersi pacificamente in gara penso sia legittima per tutti. Credo quindi che il mio romanzo, per quanto possa esserlo un libricino così, sia una chiamata in causa di tutto il Sapere. Non importa che una scheggia di Sapere pulluli in Ovidio o in una canzonetta. Il Sapere è libero. È naturale che contagi in quantità dinamiche ogni strumento comunicativo».
UNA CURIOSITÀ MALIZIOSA: MA ESISTE DAVVERO CHI FA IL MESTIERE DI MARIA GRAZIA?
«Devo dire sì, e con mia grande sorpresa. Giuro, ero arrivato a più di metà del libro convinto di aver inventato di sana pianta qualcosa di assurdo, quando mi sono imbattuto in questi giornaletti manga selvaggi, distribuiti con disinvoltura nelle edicole, sebbene privi di alcuna registrazione presso i tribunali competenti. Ebbene, rimuovendo le delicate e ilari metafore che i giapponesi pongono in luogo dei peli pubici e degli organi genitali, i redattori italiani, in modo del tutto becero e profondamente povero dal punto di vista grafico, sovrapponevano i disegni che facilmente immaginerai (ridiamo, ndr). No, ma è molto interessante, antropologicamente: mentre in Giappone, per ragioni legislative e vari tabù culturali, i manga erotici sono bellamente censurati con queste trovate - ripeto - carine e molto surreali, in Italia nessuno è contento se non vede peli e tutto il resto...»
NON PER RIPETERMI, MA SONO CERTO CHE BISOGNA PARTIRE DAL TITOLO PER INIZIARE IL DISCORSO SULLA TUA RECENTISSIMA RACCOLTA DI RACCONTI. PERCHÉ “AMORE ®”?
«Mah, intanto perché vi sono raccolte otto storie d’amore. Non è un libro lavorato su progetto, ho avuto quindi completa libertà di scelta sui materiali da proporre, e ho in effetti catalogato le storie che ritenevo migliori fra quelle scritte nell’arco degli anni Novanta, prima e dopo ‘Occhi sulla Graticola’. In quanto al marchio registrato (“®”, ndr), l’amore è uno stereotipo. Come dimostrano gli studi di Agamben e di molti altri interpreti, l’amore inteso nelle forme convenzionali nelle quali lo conosciamo, è stato storicamente inventato dai poeti provenzali. Mi riferisco all’amore guardato sotto l’aspetto del ritualismo antropologico, prima ancora di considerare quello fisiologico. Mentre l’amore all’interno della nostra cultura... non so, a volte penso a quante persone dicano di cercare l’altra metà, spesso però rincorrendo i vari stampini da Beautiful, Harmony, certo cinema hollywoodiano... ecco come a questo punto l’amore mi appaia di diritto contrassegnato da una erre cerchiata, no? Un amore registrato presso un tribunale, con tanto di copyright».
COME AL SOLITO, I TESTI SELEZIONATI IN UNA RACCOLTA SONO COME UNA FORMAZIONE. CHE MI DICI DI ‘ACQUA’, IL CENTRAVANTI PER LA FANTASCIENZA?
«‘Acqua’ è un racconto che ho scritto su richiesta di Valerio Evangelisti, il quale ha pensato di festeggiare i 45 anni di Urania con un numero all’insegna della science fiction italiana, ‘Tutti i denti del mostro sono perfetti’. L’ho inserito nella mia raccolta sebbene l’idea della storia non sgorgasse da una mia necessità di scrittura impellente, ma, appunto, da un suggerimento finalizzato a uno scopo ben preciso. Il risultato, tuttavia, mi ha stupito davvero tanto da considerare questo racconto fra le cose migliori che ho fatto. Inoltre c’è da aggiungere che ho sempre dichiarato apertamente il mio amore verso generi letterari considerati, spero non più, commerciali e inferiori ai grandi classici. È pur vero che la grande letteratura ha influito su tutti gli scrittori e non solo, ma nessuno può negare una certa appartenenza culturale ai cosiddetti generi “da edicola” - anche se ora nelle edicole troviamo tanto Melville quanto Tolstoj. Anni fa, questi generi erano appunto l’horror, il noir, il giallo e la fantascienza. Sebbene il mio Editore (Einaudi, ndr) sia legato particolarmente ad altri filoni, escludere la fantascienza dalla mia raccolta, dichiarandone poi in pubblico l’amore spassionato, sarebbe stato un atto di profonda ipocrisia».
MI PARLI DELLA GUIDA SU VENEZIA?
«L’iniziativa appartiene all’Editore Paravia, il quale ha chiamato me ed altri scrittori a lavorare su una guida di piccolo taglio destinata agli studenti delle scuole superiori, questo senza porci nessun limite né stilistico, né strutturale. Nel mio caso, ho raccontato Venezia paragonandola a un corpo umano. La città in cui sono nato - e ti assicuro che non è un parere di parte, il mio - è un luogo esperibile sentimentalmente, emotivamente, ma anche fisicamente. Per esempio, nel capitolo dedicato alle mani, a Venezia ci sono effettivamente calli così strette che se allarghi le braccia puoi toccare entrambe le paratie di muri, oppure i corrimani sui ponti... insomma, nove capitoli di guida, uno per viso, piedi, occhi... una Venezia fisica!».[…]
SCHEDA TECNICA
Tiziano Scarpa è nato a Venezia nel 1963. Autore appartenente alla pulp generation, si contraddistingue per il linguaggio alto, che spicca in una mescolanza di generi di cui il romanzo Occhi sulla Graticola (Einaudi 1996) testimonia l’efficacia innovativa. Ha pubblicato i racconti MADRIGALE nella raccolta Anticorpi (AA.VV., Einaudi 1997) e ACQUA nel volume antologico URANIA a cura di Valerio Evangelisti, Tutti i denti del mostro sono perfetti (AA.VV., Mondadori 1997); entrambi riproposti nella sua raccolta “Amore ®” (Einaudi, 1998).
Nel 1997 ha vinto il premio mondiale radiotelevisivo PRIX ITALIA con la commedia Pop - Corn, tradotta in decine di emittenti nel mondo. Ha pubblicato la Guida su Venezia per l’Editore Paravia.
Nel 2003, per Rizzoli, ha pubblicato il romanzo Kamikaze d'occidente.
Con il suo romanzo Stabat Mater, un’opera narrativa intimista e dal respiro poetico, vince il Premio Strega 2009.
Altri racconti e articoli di critica letteraria sono apparsi su innumerevoli giornali e riviste. Vive e lavora a Milano.
(Articolo di Gianluca Mercadante, apparso sul n.9 di Orizzonti)
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