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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

Acciaio: il sorprendente romanzo d’esordio di Silvia Avallone ( Intervista all'autrice )

di Rivista Orizzonti

«Non mi piacciono i romanzi borghesi. Preferisco quelli popolari».


L’acciaio, che non esiste in natura e viene ricavato da un processo complesso e faticoso con l’aiuto di macchinari pesanti ma soprattutto del lavoro di una categoria sociale che spesso ha dovuto lottare per i propri diritti - la classe operaia -, è il nucleo attorno al quale ruota tutta la materia narrativa del sorprendente romanzo d’esordio della ventiseienne Silva Avallone.
‘Acciaio’ è il titolo del libro ma è anche il simbolo della città di Piombino, per molti anni identificata con lo stabilimento siderurgico Lucchini. L’acciaio, infine, è materia dura e non malleabile, proprio com’è la vita di coloro che lavorano per crearlo…
Dunque siamo a Piombino (ma potremmo trovarci in un qualunque posto della provincia italiana) e in particolare nel quartiere-dormitorio destinato agli operai della fabbrica, dove si respira miseria, povertà, degrado. I casermoni fatiscenti, simili alle abitazioni sovietiche del regime comunista, pullulano tuttavia di vita, e sorgono in una fantomatica strada, che nella realtà non esiste, battezzata dall’autrice, non a caso, col nome di ‘via Stalingrado’. E poi c’è anche il mare, con la piccola spiaggia davanti all’Isola d’Elba, che contrasta con la bruttezza dei palazzi.
All’interno di quegli appartamenti, c’è la vita difficile di famiglie allo sbando, portata avanti con la fatica ma anche con la forza della sopravvivenza. E di fronte a questi personaggi, di cui l’autrice scandaglia la sfera emozionale fornendo il ritratto credibile di ognuno, ci si commuove partecipando ai loro drammi, a volte si sorride anche, si segue con affetto ogni azione, avvenimento, che accompagna il loro andare.
È questo il pregio principale della Avallone, l’aver saputo riportare esistenze marginali al centro dell’interesse narrativo. Da queste storie, si può imparare molto.
A rendere la ricchezza di sentimenti, la complessità e poesia di queste vite, la veridicità del racconto, contribuisce il linguaggio così lirico e toccante, a volte crudo, così dettagliato nelle descrizioni, da divenire tutt’uno con la storia narrata, a tal punto che ci sembra di vederli i casermoni, la fabbrica, di conoscerli i personaggi, di trovarci in mezzo a loro. Alla Avallone va riconosciuta anche la capacità di creare situazioni in crescendo e poi di capovolgerle: come ad esempio nella descrizione dell’incidente avvenuto alla Lucchini in una giornata particolare, dove l’attesa, per qualcosa di bello che potrebbe accadere, diventa pian piano preludio di una tragedia che colpisce con forza maggiore.
In questo contesto decadente, di adulti ormai sconfitti, che hanno visto crollare le speranze di una vita migliore, imbruttiti nel fisico e nello spirito, di giovani disillusi, incapaci di uscire dal limbo dell’indeterminatezza che li costringe in una condizione di adulti inconsapevoli (da una parte la schiena rotta dal lavoro, il sudore, lo sporco e la polvere della vita da operaio; dall’altra il bisogno di evadere, con droghe, sesso, serate in discoteca) si sviluppa una narrazione, che potremmo definire ‘per contrasti’, che ci mostra bellezza e squallore insieme. E, più o meno esplicitamente, sono esposti i mali di questi nostri anni, dove i figli non avranno un futuro migliore dei loro padri, e tutt’al più finiranno col seguirne le orme, diventando anch’essi operai: c’è l’immobilità sociale e il disincanto verso una società che non permette di sognare, ma anche il problema della sicurezza sul lavoro, delle morti bianche, in quelle che sono le pagine più toccanti dell’intero romanzo.
Siamo nel 2001, un anno storico che, dopo l’11 settembre, è stato l’emblema della crisi mondiale. Anche la Lucchini, la fabbrica dove si lavora l’acciaio, ha perso la brillantezza di qualche decennio prima, quando rappresentava la possibilità di sviluppo economico, incarnando il sogno di un riscatto sociale: molti suoi reparti sono stati chiusi, molti lavoratori sono in cassa integrazione e l’attività è fortemente ridotta, tutti aspetti che anticipano la crisi economica che stringerà in una morsa anche coloro che fino a poco prima non avevano ancora fatto i conti con questa realtà.
Due adolescenti, amiche per la pelle, stanno vivendo il punto nodale della loro esistenza: il passaggio all’età adulta. Sono impegnate in un grande cambiamento: del corpo che, abbandonando le forme infantili per lasciare spazio a quelle meno acerbe, inizia ad attirare le voglie degli uomini, e del loro divenire in generale. Di tutti i possibili futuri dell’età adolescenziale, ne resterà soltanto uno: quello che segnerà la loro strada, per sempre.
Questo e molto altro è presente in ‘Acciaio’, candidato al Premio Strega 2010, che per la sua complessità si presta a diverse letture e a numerose considerazioni: può essere letto dai giovani perché parla di loro e del loro mondo, ma può essere inteso pienamente soltanto dagli adulti.
A Silvia Avallone, che oltre a questo bel romanzo ha pubblicato nel 2007 la raccolta di poesie ‘Il libro dei vent’anni’, abbiamo chiesto di parlarci, in quest’intervista, del suo rapporto con la scrittura, che nonostante la giovane età è già maturo e ben consolidato.

C’È SEMPRE UNA MOTIVAZIONE CHE SPINGE A SCRIVERE. COM’È NATA L’IDEA DI QUESTO LIBRO?
‘Desideravo raccontare un pezzo d’Italia, la provincia del lavoro e della fatica, i casermoni popolari stracolmi di odori e di voci, l’adolescenza crudele e potente di due ragazzine cresciute in famiglie difficili, e come si fanno i conti con la vita già a quell’età. Ho voluto dare voce a una realtà che ho visto con i miei occhi, e in cui ho trovato più fascino e più umanità che altrove. Contro l’immagine senz’anima delle riviste patinate, delle trasmissioni televisive luccicanti. L’acciaio è la materia più dura che esiste, le vite che gravitano intorno agli altoforni degne di essere raccontate’.

C’È STATO UN MOMENTO PARTICOLARE DELLA SUA VITA, IN CUI HA CAPITO CHE IL SUO DESTINO SAREBBE STATO LEGATO ALLA SCRITTURA?
‘Da quando ho cominciato a leggere, e in particolare una poesia di Pascoli, ‘Novembre’, che mi ha folgorato. Ero alle elementari. Ma un bambino afferra immediatamente la differenza che passa tra la realtà che abbiamo sotto gli occhi e una pagina scritta che tenta di darle un senso. C’è un surplus di libertà, di significato nella parola letteraria... Fare letteratura e leggerla mi è sembrato da subito un modo veritiero di affrontare il mondo’.

IL PUNTO DI CONVERGENZA DELLA SUA SCRITTURA - OLTRE CHE IN PROSA SCRIVE POESIE - QUAL È?
‘Non parto da me, né da un’idea. Parto dalle cose che mi impressionano e innescano in me il desiderio di trovare la parola esatta per descriverle. Che sia poesia o prosa, che sia un turpiloquio o una descrizione liricizzante poco importa. In qualche modo misterioso, che non so gestire, il linguaggio esatto è uno solo e non è programmabile. Occorre, anche se costa molta fatica, mettere a tacere il più possibile la propria voce per far emergere quella delle persone, delle cose, delle storie che incontriamo come testimoni di una narrazione, mai come protagonisti. Sennò uno vive, e non scrive affatto’.

CI PARLA DELLE SUE ESPERIENZE DA LETTORE: QUALI SONO GLI AUTORI CHE HANNO INFLUENZATO LA SCRITTURA?
‘Amo i romanzi ottocenteschi russi e francesi: Flaubert e Dostoevskij sopra tutti. Perché mi piacciono le strutture narrative complesse, le più fedeli alla complessità del reale. Mi piace il respiro ampio, i personaggi che sono umani e mai macchiette. Per lo stesso motivo amo Don De Lillo, che fra i contemporanei ha avuto il coraggio di rappresentare un’epoca e un paese grande quanto gli Stati Uniti. E ancora: La Storia di Elsa Morante. Ciò non toglie però che mi piacciano molto anche testi sperimentali e provocatori, come quelli di Ugo Cornia e di Daniele Benati’.

COME SVOLGE LA SUA GIORNATA DI SCRITTURA? CI SONO DEGLI ORARI CHE PREFERISCE?
‘La mattina. Mi piace svegliarmi presto, fare colazione con calma, pulire tutta la casa e poi attaccare a scrivere. Ci vuole rigore, bisogna tenere il ritmo dei turni. Ma ci sono anche tutta una serie di riti propiziatori per l’ispirazione (o perlomeno la serenità di scrittura): tipo la sigaretta alla finestra, alla fine di un capitolo ascoltare una canzone, assolutamente spegnere il cellulare. E se proprio la pagina si ostina a restare bianca, allora scendo al bar e a volte mi gioco un euro al gratta&vinci’.

HA GIÀ IN MENTE UN NUOVO ROMANZO? SE SÌ, POTREBBE PARLARCENE?
‘Ci penso ogni giorno! Mi covo gli episodi, i personaggi... Mentre faccio la spesa, mentre guido sulla tangenziale: cerco di immaginare i gesti, il modo di parlare che avranno i nuovi protagonisti. Del prossimo romanzo posso dire solo che voglio ricominciare da zero, come una dilettante assoluta: non ci saranno adolescenti, non ci saranno gli operai di Piombino. La sfida sarà trovare un altro linguaggio per dire un’altra fetta di mondo. Pure, lo ammetto: non mi piacciono i romanzi borghesi. Preferisco quelli popolari. Credo che continuerò per un bel pezzo a parlare dei vinti’.

QUALE CONSIGLIO DÀ ALLO SCRITTORE ESORDIENTE?
‘Leggere, leggere, leggere. Poi, quando si cimenta in prima persona con la scrittura, gli consiglio di applicare con se stesso la legge più dura che esiste: riscrivere un capoverso, un capitolo, una parte intera di romanzo anche cento volte se è necessario. Non affezionarsi mai alle proprie frasi: trattarle come figli disgraziati da mettere in riga. Gettare nei cassonetti dell’immondizia vanità e faciloneria. Farsi il mazzo come se lo fanno i metalmeccanici. Perché scrivere un libro è una cosa immensa, che non può mai essere casuale, bensì sempre necessaria. Poi, pazienza e fiducia. Che se uno ha scritto bene una cosa vera, c’è sempre un lettore che se ne accorge’.

(Caterina Aletti, Orizzonti n. 37)

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