| M Carmen - Lama - Prigioniere del silenzio -
Aletti ed. 2010
Se universale è il linguaggio del silenzio, come quello della sofferenza, ancor di più lo è quello della poesia che ne costituisce il talismano e, al tempo stesso, sintesi e complemento. La femminilità appellata nel titolo si coglie dall’autrice come pretesto occasionale, certo importante ma non determinante. M. Carmen Lama è, infatti, poeta vero al di là di ogni genere o distintivo. È attenta Carmen alla persona, al pensiero, alla parola, all’anima… È il suo un uso di un linguaggio parallelo, prigioniero del silenzio, come annunziato dalla scelta del titolo per la sua opera prima di poesia; e di questo voglio dire a margine del suo cammino, io che la conosco bene; dei suoi pensieri evolutivi fino alla poesia, quella vera, che circonda il silenzio e lo ingabbia al pensiero dell’anima.
Si veda: - I suoi silenzi - dove tangibile ed allo stesso tempo impalpabile è un silenzio intessuto dalle parole bambine che si fa contenitore di angosce ancestrali e di baratri profondi - anche immaginari - Si veda le parole mute, che non ci sono, nascoste da un silenzio che le nega e non le contiene nella stupenda lirica: - L’ombra del silenzio - Già! Non ci sono le parole, appunto, ma permane a lungo, densa e sublime, nuda e priva di orpelli, la poesia, in assoluta forma.
Nella poetica di Carmen è manifesta una buona dose di mistica individuale attraverso la quale si attua un tentativo, anche a livello inconscio, forse, di stendere un ponte con il divino e con le cose ultime. Nel suo racconto itinerante, l’artista adotta un climax ascendente di pathos mentre anche la tecnica s’affina, a mano a mano… in un trionfo di esplosioni di metafore ed allegorie, di ironie di gioie di angosce riflessive. Contorni ora nitidi e tersi, ora ombrosi chiaroscuri volutamente sfumati ed onirici. Lei è, a tratti, immersa nella melma pesante dell’esistenza e ne condivide il senso, ora a mille miglia di distanza che ci guarda ( si guarda ) dall’alto, da un’altra dimensione, piuma aponderale sospinta da un vento mancino. … Spira forte / un vento mancino - Spieghettare la vita - o in Si vive in bilico/ sull’orlo della speranza/ che non assume mai/ sembianze umane. - Cos’è - oppure nel silenzioso frastuono di : Forse…sovente /… astrarmi dal chiacchiericcio inutile… Forse… sovente.
La sua poesia è, dicevo, un divenire lento e progressivo. Ha un movimento ed un sommovimento intrinseco, un’armonia recondita di platonica memoria. I suoi fonemi ed i suoi diorami - interiori e non - sono sempre più informali ed astrusi pur trattando del vissuto reale, del toccato con mano (o forse con sogno?). Una musica arcana accompagna la sua poesia, altamente melanconica, nel disincanto surreale di un proscenio voluto scarno, e l’aiuta a scoprire nuovi sensi, nuove motivazioni.
Un libro, questo di Carmen, che nelle prime pagine non si svela e si rivela solo nel suo itinerare pensieroso per la via dove le problematiche intersecano il sogno e si intrecciano, fino a capovolgersi. La percezione immediata che rimane al lettore è quella di un affresco, un’anima semplice con gli interni adorni di luce mediterranea, con figure e cose che si manifestano e scompaiono repentine come sulla scena di una commedia. Di supporto, sempre in primo piano, un pensiero filosofico lucido, erudito, profondo, ma percezione, tra le righe, di una latente malattia interiore - inquietudine più che angoscia, sottile come filo di lama - che spinge Carmen a privilegiare la solitudine meditativa, la sua migliore amica: … non mi delude mai / - Solitudine -
Ma via via l’inconscio si manifesta, acquista di spessore e contenuti, fino a rivendicare il suo primato. E allora, toni su toni si rincorrono, giocano, talvolta, il gioco delle parti. Ridono, irridono persino, e piangono… toni su toni, parole su parole, silenzi su silenzi, si rincorrono senza mai trovarsi, senza mai piacersi. Rimarrà impresso al lettore attento, accentuato nella parte finale del testo, un silenzio, appunto, che lo farà prigioniero e lo catturerà, ma gli renderà, liberato nell’inconscio, un anelito di condivisione e di meditata solitudine che nel sogno prenderà dimora. Sarà allora necessario tornare indietro e ripartire daccapo come in un diallelo. Già! La poesia è come il silenzio, un ponte verso l’assoluto, ma non è solo silenzio. È anche un percolato del linguaggio filtrato dall’anima. È il dove dell’altrove, ci dice Carmen: il non tempo ritrovato.
(Silvano Conti)
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