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Sono sufficienti quattro chiacchiere con GianLuigi, un eterno giovane (‘Sempre sarò giovane, finché non sarò arrivato), con una fortissima carica vitale, per leggere tutto l’entusiasmo e la passione che si riscontrano nelle sue poesie, un autentico viaggio nella sua anima.
C’è in lui l’energia della materia che si fonda con quella dello spirito (‘e afferreremo a piene mani la materia, con la speranza della carne’, ma anche ‘aprii una fenditura nella terra e la riempii di infinito’ e ‘ora sei in vita, divinizzando la materia con il tuo essere’).
Il chimico e l’ingegnere si fondono con l’umanista, il filologo classico, il fine conoscitore di numerose lingue moderne e di questo GianLuigi è ben consapevole; ostenta quasi (con un po’ di sano narcisismo) la terminologia scientifica, fatta di campi vettoriali, di neuroni ed elettroni, di stelle e di pianeti, di entropia e di buchi neri, nella precisa coscienza che l’energia del cosmo serve solo a dare vita all’uomo, a far diventare Kosmos e ordine il caos primordiale; lo strumento principe è il logos (‘solo il logos, il nous, può rimettere tutto in ordine’) ed ecco riemergere il grecista, il ‘filosofo’, che desidera rileggere il linguaggio e il pensiero della fisica a livello etico ed ontologico.
La poesia di GianLuigi è una ricerca continua della parola e nella parola (‘Niente giunse all’essere, senza una parola nel pensiero, che infiamma la tua voce ‘), in cui scavare in maniera spasmodica, talora ossessiva: è per lui una ricerca inebriante e disperata contemporaneamente; vorrei usare una metafora da lui indicata in ‘Natale’ per esprimere la sua tensione linguistico-spirituale, quella di un’ape dorata (‘ubriaca di dolce nettare, ronzi e ti contorci in strette spirali nell’anima mia, sono solo, disperato..’). Mi è parso, per altro, di leggere nelle pieghe più interne del suo animo una visione struggente del Natale, una festa per lui ‘ossimorica’, di freddo calore, di disperata solitudine, ma anche di ritrovate felicità.
Verbum, logos, parola: nel titolo della sua raccolta (Verbum caro factum est), GianLuigi propone una interpretazione suggestiva e coinvolgente del prologo di san Giovanni. Contrariamente alle apparenze, non si afferma semplicemente che il Logos è presso Dio, ma che il Logos sia divenuto uomo. Il Logos si è fatto storia: è il Logos soggetto e ‘pros ton theon’ è un moto a luogo, non uno statico ‘presso Dio’. La carne è la natura umana nella sua fragilità, normalità, nel suo divenire. La categoria che Giovanni preferisce per indicare la salvezza è la vita, quella che Cristo offre a tutto il mondo, una vita divina, non solo perché dono di Dio, ma perché comunione con la vita stessa di Dio.
GianLuigi ha voluto sottolineare questa dimensione ‘vitale’ del Logos, come fonte e ispirazione per la sua poetica. Oserei affermare che il suo è un autentico ‘vitalismo’, al confine tra spirito e materia, tra aspirazione religiosa e paganesimo inebriante (‘La vita è lo specchio della tua vita, il mondo germoglia nella tua carne, e la mia vita la dono alla vita’). Non a caso GianLuigi dice di amare D’Annunzio, Neruda, Machado per la loro forte carica sensuale ed erotica . Campo semantico privilegiato è quello del ‘seminare’, dell’eros ‘forte, poderoso,fugace’, fatto di mani e di corpi che si sfiorano, si accarezzano e, in climax ascendente, che si fondono in un tutto panico, molto dannunziano.
Sono certo che GianLuigi non si offende se insisto su questo narcisistico egotismo (che non è egoismo), che lo porta ad autodefinirsi ‘infaticabile navigatore dell’anima’, ‘nell’intricata selva dell’esistere’ con tutte le pulsioni e tutti i ricordi più reconditi.
L’amore e la donna costantemente presenti (‘lasciati travolgere dai sentimenti, le passioni, forse’): GianLuigi ha amato ed ama in modo autentico, ma sa anche cogliere l’ironia, la complicità necessaria in un rapporto d’amore, sa leggere dietro gli sguardi innamorati, a volte impenetrabili, individuando quel ‘sorriso enigmatico’ che mi ricorda tanto quello leonardesco della Monna Lisa (sempre che Leonardo e il Saporiti non si offendano dell’ardito accostamento!!). Conoscendo un poco il nostro autore, dalla lettura dei testi mi son ritrovato a pensare a due donne fortemente presenti nella sua vita, la sensuale moglie latina e la sorella lariana, la mia cara Nucci, anch’ella perenne giovine, carica di senno ed ingenuità, di intensi trasporti affettivi e di sapiente e razionale bellezza lombarda.
Un navigatore, un viaggiatore, un girovago cosmopolita, cittadino del mondo, che sente sue le terre più lontane ed esotiche, tanto quanto quelle della nativa realtà comasca; ho letto con particolare affetto le poesie in cui sono presenti il lago, le ‘pievi di antica pietre, sudate’, i profumi delle nostre montagne, i cammini erti, ma non faticosi, della Val d’Intelvi.
Forse sono più suggestivi i paesaggi sudamericani, le spiagge assolate e riarse delle Canarie che trasudano di ‘maschi profumi’ e in cui sentiamo respirare il ‘potente aliseo’. E’più facile individuarvi la dimensione cromatica , presente anche nelle sue opere pittoriche, carnale ed enigmatica (‘miele e rose, sangue e spighe, fiumi di luce, verdi distese, boschi di mirto, sussurri di tortore grigio perlacee, luci e penombre’). Il suo è un cromatismo sensuale, sinestetico per cui olfatto, udito, tatto e vista sono coinvolti in un turbinio di sensazioni.
Insisto sulla dimensione di GianLuigi come ‘homo viator’, viaggiatore-narratore di storie, ricordi e fantasie, guidato dal ‘vento del nord’ che gli permette di rinnovare ad ogni primavera le sue stanche membra, in armonia con il creato, come egli stesso, poetando, canta. Anzi, è proprio la ‘rosa dei venti’ l’origine metaforica delle sue brevi fantasie poetiche, quella da cui GianLuigi asserisce di essere sospinto in ogni viaggio della sua vita.
Una tra le sue più recenti composizioni è un inno alla Sicilia (Trinacria, Divina Voluptas), terra nella quale si fondono tutti i riferimenti umani, culturali e poetici a lui cari, dall’antica Magna Grecia alla solarità mediterranea, sino al suo tanto amato Quasimodo, in cui la Sicilia era avvertita non solo nella sua concretezza, mitologica e storica, ma anche come un luogo favoloso, quasi simbolo della felicità perduta, dell’eden primitivo.
L’augurio più sincero per GianLuigi è che la sua poesia possa spiccare il volo, come l'albatro presente in un suo testo, per giungere ad esiti sempre più vicini a quelli di Salvatore Quasimodo, la sua Musa ispiratrice e so che questo è il suo sogno più recondito!
Ad maiora!
PROF. ADRIANO VOLPI
INSEGNANTE DI LETTERE
VICE PRESIDE
PRESSO IL LICEO SCIENTIFICO PAOLO GIOVIO COMO
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