| La giovane scrittrice Marianna Rombaldi, catanese classe 1986, ci presenta personalmente il Suo libro "Questo uomo nuovo", edito da Aletti Editore.
Innanzitutto: perché hai scelto questo titolo? “Questo uomo nuovo” è chiaramente un titolo breve, d’impatto. La mia intenzione è stata quella di lanciare un primo messaggio attraverso il titolo; un messaggio che, ovviamente, viene esplicato in maniera più chiara nel corso della storia. È un voler dare una prima indicazione di quello che sarà uno degli oggetti del racconto: il cambiamento che un uomo può avere nel corso degli eventi, in questo caso, estremi. Ci sono situazioni, persone che, nel corso della vita, sono capaci di aprirti gli occhi, di metterti in crisi e di farti porre delle domande: io trovo assolutamente indispensabile l’autoanalisi nel corso della propria strada!
Cosa ti ha ispirata nella scelta di un tema così difficile quale la pena di morte? Voglio dire che non sono stata io a scegliere il tema… nel senso che è stato il tema a scegliere me: io, quel giorno, non avevo deciso di mettermi a scrivere, non mi ero seduta davanti al computer con l’intenzione di iniziare a scrivere un libro: ero lì, a fare la mia breve pausa dallo studio, navigando qua e là sulla rete quando improvvisamente il mio sguardo si è fermato sull’annuncio di un concorso di scrittura, scaduto nel 2007, che aveva come tematica proprio la pena di morte. In quel momento mi è stato tutto chiaro: avevo una storia, una bella storia, a parer mio, in testa! Certo, i dettagli mi erano ancora sconosciuti, ma avevo, dentro di me, le fondamenta per tirar su una bella casa.
Vuoi dirci, quindi, che uno scrittore può anche non avere le idee chiare, ma inventare la propria storia man mano che scrive? Io non sono una scrittrice, ma una semplice ragazza che ha realizzato un piccolo sogno, ma per quello che è successo a me posso dirti che di chiaro avevo solo l’inizio e la fine. Tutti i particolari, quelli che rendono la storia più movimentata, più interessante, mi sono venuti in mente man mano che scrivevo: la mia fantasia ha potuto viaggiare, ho potuto spaziare rimanendo attinente, ovviamente, a quello che è il nocciolo del racconto.
Quindi ci confermi che non è basato, il tuo libro, su una storia vera? Nello specifico no. Ma si sa: la pena di morte non è frutto della mia fantasia, purtroppo.
Qual è il libro che più di tutti ricordi? Ricordo che la prima collana di libri che lessi interamente e che collezionai, fu dei “Piccoli brividi”. Il genere era il mio preferito e il tipo di scrittura era semplice e discorsivo. Poi ricordo che mi cimentai nella lettura di classici: lessi qualche opera di Shakespeare (il mio preferito in assoluto è sempre stato “Amleto”, adoro il soliloquio che il protagonista fa al passaggio dell’esercito di Fortebraccio), poi “Cime tempestose”, “Storie di una capinera”, “Fahrenheit 451”, ecc… ma ultimamente un libro che mi ha piacevolmente affascinata è stato “La papessa”, ne consiglio la lettura.
Spiegaci perché le persone dovrebbero leggere il tuo libro. Io credo che le persone dovrebbero leggere, punto. Personalmente penso che leggere sia il modo migliore per evadere da una realtà che spesso ti fa sentire scomodo e inappropriato; ti dà la possibilità di viaggiare pur rimanendo nello stesso posto, di conoscere modi nuovi di pensare, di riflettere: a volte, leggendo, ti rendi conto di come uno stesso oggetto abbia varie angolature che tu nemmeno avevi visto, che su uno stesso fatto ci siano milioni di eventuali ragionamenti e conclusioni e ti stupisci di come sia stato possibile non esserci arrivato da solo. Dovrebbero, nello specifico, leggere “Questo uomo nuovo” perché credo fermamente che ci sia bisogno che l’uomo torni a riflettere sul valore della vita, perché è proprio questo il libro: un viaggio introspettivo sui valori che ci tengono attaccati alla voglia di vivere, e sull’importanza della vita stessa. Ho 24 anni e sento il bisogno di comunicare agli altri che non bisogna andare troppo lontani per trovare anche un briciolo di felicità: io la vedo negli occhi dei miei splendidi nipoti, nei bellissimi sorrisi dei miei genitori, di mio fratello, nell’amore del mio ragazzo! Mi piace pensare che, se un giorno, qualcuno dovesse rendersi conto che tutto quello che cercava, in realtà ce l’ha già, sia anche per merito del mio libro.
Come mai la scelta di non dare i nomi ai tuoi personaggi? Perché ho lasciato il lettore libero di immaginare: non mancano solo i nomi dei personaggi, ma anche le loro descrizioni. Da una parte la scelta mi è stata imposta dalla forma del racconto: uno scambio epistolare, dall’altra, come dicevo prima, ho voluto far sì che il lettore desse una forma e un nome ai personaggi, che fosse dettato dalla sua fantasia, non dalla mia. E poi perché mi sono concentrata sulle descrizioni dei sentimenti e delle emozioni: per me è stato più importante spiegare al lettore il dramma interiore dei due protagonisti e il processo di ognuno verso la sua salvezza.
Parlaci della copertina: molti l’hanno trovata particolarmente bella e significativa ancor prima di leggere il libro. Per la copertina devo ringraziare mia madre e mio fratello che, molto simpaticamente, mi hanno prestato le loro mani. Non ti nascondo che mia madre , quando ha visto mio fratello ammanettato, sia rimasta particolarmente colpita: la capisco quando mi dice che non è stata una bella impressione vederlo con le manette! Inoltre devo ringraziare mio cugino Sergio per la disponibilità e la pazienza e ringrazio chi, non avendo ancora letto il libro, l’abbia trovata bella e significativa: anche nella foto ho voluto concentrare un messaggio chiaro, ovvero quello dell’aiuto e della comprensione che una mamma ha quasi sempre nei confronti dei figli. In una situazione come quella raccontata, la mamma in questione, decide di accompagnare il figlio, mano nella mano ( in maniera figurativa, ovviamente) attraverso questa “avventura”, decide cioè di non lasciarlo solo, di stargli accanto anche e soprattutto in una situazione così disperata e difficile, perché è proprio in questi momenti che si ha più bisogno di amore!
Marianna, hai intenzione di scrivere ancora? Qualche lavoro in cantiere? Si, ma più che intenzione, ne sento il bisogno: ho la necessità di scrivere ancora ma devo frenarla perché ci sono anche gli studi da portare avanti e ti garantisco che non è facile conciliare le due cose: il dovere di stare calma e studiare e la voglia irrefrenabile di dare colore ad un foglio bianco! È una continua tempesta, una perenne contraddizione che mi porto dentro. Ma per adesso non ho neanche quel lampo che mi ha folgorata come è successo per “Questo uomo nuovo”, aspetto che arrivi quell’idea che mi rapisca, nel frattempo mi guardo intorno.
fonte:
http://www.sololibri.net/Questo-uomo-nuovo-Marianna.html
|