| “IL DELITTO DELLA MASSERIA” DI GIOVANNI CASAURA,
Aletti editore, dicembre 2009
RECENSIONE DI SIMONE PIZZOTTI
Il delitto della masseria intreccia i valori profondi e delicatamente espressi della società contadina del casertano con le contrastanti vicende sentimentali del protagonista, Onofrio, beneficiario di una tormentata eredità, oggetto del precedente romanzo dello stesso Autore, L'erede del podestà; egli è proprietario di una masseria, che intende gestire per reinserirsi nella vita e fra la gente di Ruviano, suo paese natale, lasciato in giovinezza per gli studi universitari ed il successivo insegnamento in un liceo del Nord d'Italia.
Onofrio risolve l'enigma che circonda l'omicidio compiuto in prossimità della masseria (la vicenda principale narrata: la raccolta degli elementi a difesa di un giovane scapestrato, ingiustamente condannato all'ergastolo, in primo grado, per la cruenta uccisione della sua fidanzata, raccolta che si concluderà fruttuosamente e porterà all'assoluzione dell'imputato nel processo d'appello), ma non quello dei suoi affetti per le donne, dalle quali è inesorabilmente attratto, ma alle quali corrisponde nella misura in cui le stesse partecipano alla vita del suo paese.
Si spiegano così, la gita, quasi idilliaca, che Laura, amica di Onofrio fin dall'università, compie con lui nei campi nei dintorni della masseria, nei boschi ed in barca, lungo un fiume pescoso; il viaggio in Québec del protagonista con Margherita, ove il piacere dello stare insieme si coniuga con l'incontro con i compaesani di Onofrio là emigrati e con il commercio dell'uva prodotta nella sua terra; la lettera di addio di Alida ad Onofrio, garbata e sommessa, ma chiara nell'esprimere il distacco della donna dal protagonista.
L'affetto per la propria terra trapela anche dal compiaciuto indugio dell'Autore nella descrizione dei cibi (con i loro profumi ed i loro sapori) che i personaggi degustano sempre insieme, nonché nella raffigurazione del paesaggio agreste campano, arcano e struggente: cibo e paesaggio non costituiscono soltanto il contesto entro cui si muovono i vari personaggi, ma assurgono essi stessi ad attori della storia o, quantomeno, ad espressione immediata e diretta dei sentimenti di Onofrio e degli altri protagonisti.
Il delitto della masseria non è un romanzo poliziesco, non è un'opera di psicologia giudiziaria, non utilizza i tecnicismi della procedura penale, anzi li misconosce volutamente, in quanto rappresenta il processo quale viene percepito dalla gente di Ruviano, come una sorta di manifestazione di una superiore entità, che ricade inesorabilmente su chi vi è coinvolto.
E tuttavia, Onofrio riesce a far ribaltare l'esito del processo di primo grado, solo esponendo a pericolo anche la propria vita, e lottando contro quel muro di gomma costituito dall'omertà e dalla ritrosia tipico di una società chiusa, che non sa riconoscere e superare le proprie miserie materiali e morali: egli riesce in questa impresa (ed anche qui emerge il contrastato rapporto di Onofrio con la sua gente), con l'utilizzo della cultura e della maturità intellettuale apprese in quegli studi universitari, che lo hanno allontanato da Ruviano.
Così, Onofrio riattiva l'intelligenza quasi spenta di un avvocato di provincia (che, ironicamente, l'Autore chiama Marte, ma che ha perso ogni energia fisica, a causa del bere, ed intellettuale, dopo essere stato abbandonato dalla moglie) fino a trasformarlo, anche se solo nell'udienza decisiva del processo d'appello, in un principe del foro: ed anche il momento saliente della vicenda, pur essendo descritto attraverso la voce delle parti del processo (il Presidente della Corte di Assise, il Pubblico Ministero, l'Avvocato, i testimoni), è scevro dal linguaggio e dalle scansioni formali del processo penale, ed è narrato come la gente di Ruviano lo comprende, mentre il racconto termina con un pranzo finale e liberatorio, a cui partecipano Onofrio ed altre figure che, durante l'intero dipanarsi della vicenda, diligunt iustitiam.
Ed è la Giustizia, intesa in senso materiale, come affermazione dell'identità fra il fatto realmente accaduto ed il fatto giudizialmente accertato, la vincitrice del romanzo: invero, la tensione alla verità e la ricerca della verità riescono, grazie all'azione di Onofrio e di coloro che assieme a lui l'hanno perseguita, a smascherare la torbida passione, che aveva indotto il padre del giovane scapestrato ad uccidere la fidanzata del figlio di lui.
Al contrario, nelle donne alle quali si sono variamente rivolti i sentimenti di Onofrio, manca la continuità affettiva, un quid che le riscatti completamente e definisca la loro vicenda umana, con una scelta di vita conforme alla personalità di Onofrio: Laura, Margherita ed Alida non sono state in grado di comprendere appieno il protagonista e le molteplici sfaccettature della sua personalità e della cultura che egli esprime, nonostante la sincerità e l'intensità dei singoli momenti di vita che esse hanno riservato ad Onofrio.
Il romanzo pare muoversi come un pendolo, che oscilla fra l'arcaico mondo contadino e la modernità solo apparentemente accettata come via di fuga dal primo, modernità la cui limitatezza porta i protagonisti a continue oscillazioni, espresse dai loro desideri, dalle loro illusioni e dalle loro speranze: ne sono riprova, anzitutto, Onofrio, che ha abbandonato la carriera professionalmente soddisfacente di professore di liceo al Nord, per riappropriarsi della sua terra; Margherita, che sembra quasi confinata nell'ufficio dell'Archivio di Stato di Treviso, pur essendone la direttrice, ne esce per unirsi ad Onofrio, ma poi vi rientra; Laura, la quale ha repentinamente rotto la sua relazione con un ricco giovane tedesco, quando si è resa conto che egli (come la sua famiglia) non prova per lei un minimo d'affetto; Alida, che ottiene l'annullamento del suo matrimonio, celebrato per convenienza economica con un farmacista, ed alla quale si apre una nuova prospettiva, con un uomo per cui lei nutre un vero sentimento, negli Stati Uniti d'America.
Margherita, Laura ed Alida confidano la propria situazione sentimentale ad Onofrio, perché sanno che egli è in grado di comprenderle, benché ciascuna delle tre donne non sia in grado di capirlo fino in fondo.
L'unica figura, che lungo tutto il corso del romanzo non ha cedimenti né tentennamenti, è la governante di Onofrio, Orsolina, una donna umile, ma pienamente consapevole del suo ruolo (oltre ad essere diventata, con sacrificio, una moglie felice) ed in grado, per quanto nelle sue possibilità, di diligere iustitiam.
Orsolina, come altri personaggi, parla in tutto o in parte nel suo dialetto: l'Autore non ne offre al lettore la traduzione in italiano, e ciò consente di riflettere sui rapporti, da una parte, fra la lingua e la letteratura italiana, e, dall'altra, fra i dialetti parlati nelle regioni italiane: certamente, non è questa la sede per ripercorrere i problemi, propri della letteratura italiana, della consapevolezza di ciascun scrittore o di ciascun poeta di scrivere in italiano o in un dialetto (si pensi al toscano o, meglio, al fiorentino, per Dante, per Boccaccio e per Machiavelli), dell'influenza o della rilevanza dei vari dialetti nella formazione della lingua italiana (anche il lombardo Manzoni andò a risciacquare i panni in Arno, prima della stesura definitiva de I Promessi Sposi), e della presenza di autori che hanno utilizzato il loro dialetto (il pensiero corre, fra i molti, a Carlo Porta, a Gilberto Govi, a Trilussa, ad Eduardo De Filippo) e le cui opere fanno parte, a pieno titolo, della letteratura italiana.
Giova, soltanto, sottolineare che l'uso del dialetto campano qualifica ulteriormente Il delitto della masseria, sotto il profilo della testimonianza di una civiltà contadina, attraverso la sua espressione più genuina, sicché questo particolare registro linguistico non sminuisce né il lessico sobrio ed essenziale, né la prosa agile e sciolta, né l'esposizione sicura e convincente che pervadono il romanzo.
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