| Risulta particolare, fin dalle prime pagine, il libro di Antonino
Isgrò “Figlia di tutti e di nessuno”, almeno per cinque buoni motivi.
Primo motivo. Il giovane scrittore dialoga direttamente con i suoi
lettori, racconta della propria prospettiva di vita firmando la
prefazione con la quale viene presentato questo libro di 84 pagine
edito dalla Casa Editrice di Villalba di Guidonia “Aletti Editore”.
L’introduzione, pertanto, non è scritta e firmata da “grandi
personalità della critica letteraria”. È Antonino a raccontare il suo
libro, attraverso una conversazione con i suoi lettori semplice,
chiara, diretta; schiudendo un nodo centrale dell’intreccio del
romanzo: quale interesse del lettore soddisfare? La morale o la voglia
di trasgredire? (Un ulteriore enigma è il capire cosa si aspetta il
lettore, cosa egli desidera e va cercando. Desidera la morale o vuole
trasgredire?).
Secondo motivo. In apparenza, Isgrò lascia scegliere al lettore da
quale parte “schierarsi”, poiché egli ha la possibilità di optare per
uno dei due finali presenti nel libro.
Terzo motivo. Nonostante questa apparente “libera scelta”, il giovane
Autore sa che il suo punto di vista conta ed è evidente per ciascuno,
perché traspare sia nel capitoletto di raccordo, sia nei suoi
interventi all’interno del romanzo. Le sue “intrusioni metanarrative”
hanno voce in capitolo e lui sa che alla fine il lettore leggerà
entrambe le parti, sapendo comunque in modo chiaro e inequivocabile
qual è quella scelta da chi scrive: il risvolto morale.
Quarto motivo. La ricerca di se stessi ha sempre la meglio, nonostante
il titolo del libro potrebbe non farlo presupporre. Teresa,
dall’identità natale incerta, ma dalla forza di vita evidente, cerca
di mettere insieme i pezzi del puzzle del suo passato: madre e padre,
e storia di se stessa. E ci riesce.
La giovane protagonista, che può essere qualsiasi barcellonese o
cittadina di un qualsiasi paese dove non è difficile conoscersi,
sostiene e non abbandona Donna Maria che considera da quando è nata
sua madre. Ed è quando la donna muore, pertanto non necessità più
delle sue cure (non dimentichiamo che la “morale collettiva” impone di
prendersi cura della propria madre), che Teresa comincia a fare un
viaggio. Un viaggio di vita e un viaggio dentro di sé per scoprire chi
sono davvero i suoi genitori, quali sono le sue origini, svelando a se
stessa – anche grazie alla lettera lasciata da Don Peppi ‘u ricuttaru,
fratello di Donna Maria, scritta nel carcere prima di morire – che
molte certezze sulla sua storia non erano poi davvero tali.
In un romanzato Uccelli di Rovo “popolare”, si scopre che Teresa è
frutto di un amore considerato dal “comune intendere” proibito, poiché
vissuto in gran segreto tra un parroco (Padre Nicola) e una
parrocchiana (la Signorina Pina).
Così, ritrovare la propria identità si mescola alla dicotomia lampante
in ogni tratto del libro tra ciò che “è giusto” e ciò che “non è
giusto”. Tralasciando, perché qui non è la sede giusta, sul principio
inviolabile secondo il quale l’essere umano, prima di indossare
qualsiasi abito, indossa prima quello di se stesso e della propria
condizione di umanità, qui, in questo libro, è chiaro che una sola
doveva essere la scelta: non peccare, non lasciarsi andare, non
trasgredire. Al massimo lo si può fare nella scrittura, ma nella vita
reale la trasgressione può essere ben più pericolosa. L’Autore su
questo è chiaro e lo scrive.
Ma poiché ormai Teresa in vita c’è ed è, come tutti gli esseri
viventi, una creatura amata da Dio, diviene necessario affrontare con
amore e compassione le proprie origini; tanto che l’esito "giusto"
dovrebbe imporre il far pace con se stessi, con il proprio passato e
con i suoi “dimoranti”. E così avviene. Nessuno viene punito, neppure
il parroco che alla fine riceve il perdono dalla figlia illegittima e
l’assoluzione dei propri peccati.
Quinto motivo. È vero che in questo libro esiste un altro finale, al
quale il lettore può accedere. Ma è pur vero che l’Autore, con
consapevolezza, predilige “il finale moralistico” come sigillo per la
chiusura del suo romanzo. E nella lettera ai lettori, presente a
pagina 79, lo stesso Antonino chiarisce da quale parte sta, sottolinea
come ciascuno di noi può essere Teresa, perché ciascuno di noi ha il
desiderio di raggiungere una propria verità, una propria storia e un
proprio cammino.
I passi metanarrativi trasudano concezioni religiose, legami con una
realtà locale importante, scelte di comunità fatte da un giovane
ventitreenne laureato in Lettere presso l’Università degli Studi di
Messina. Il romanzo è frutto di una crescita, se è vero che il giovane
scrittore lo inizia all’età di quattordici anni e lo conclude con i
suoi studi formativi.
La bella copertina dell’artista barcellonese Giacomo Oneto, dal titolo
Le mille e una musica, attira fortemente. Ed è lo stesso motivo per il
quale, confesso, di aver scelto di leggere questo libro. Non ho mai
conosciuto il giovane scrittore Antonino Isgrò (anche se spero di
farlo), se non attraverso facebook, considerato il social network più
famoso del web. Ma, adesso che ho letto la sua opera, ritengo che – al
di là della mia posizione diversa da quella dell’Autore – Aletti
Editore abbia fatto una buona scelta, anche solo per permettere al
giovane autore, pubblicando il suo libro nella collana “Gli emersi”,
di mettersi alla prova con la scrittura. Adesso toccherà al lettore
decidere se questa prova è ben riuscita!
Buona lettura.
http://www.barcellonapg.it/index.php?option=com_content&view=article&id=147:figlia-di-tutti-e-di-nessuno&catid=45:segnalibro&Itemid=75
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