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Info sull'Opera
Autore:
Rassegna Stampa
Tipo:
Poesia
 
Notizie Presenti:
 -

Perché non ho smesso di scriverti versi su Nazione Indiana

di Rassegna Stampa

D’ in sulla vetta d’ una torretta
Visionario, solitario stai

Passero che sogni ben altra vetta



Passero che non ti passerà mai

 

Di lì vedi dentro una toletta

Una donna che con gesti gai

E’ più di mezz’ ora che si umetta

Mentre in cucina il forno fa guai

 

Vedi ragazzi andare di fretta

Chissà dove, verso quali viavai

Dalla toletta spunta una tetta

Ma tu te la sei persa. Ahi

 

Tutto il mondo non è che disdetta

Canti e trapassi questo lo sai

E sempre è la parola non detta

Quella che in punta di lingua hai

 

Dovremmo fondarla questa setta

Di disperati! Che società! I

Membri saremmo io te chi è in bolletta

Leopardi, e quant’ altri. Dai

 

Figurati che mi innamorai

E lei era talmente abietta

Che quando una volta mi ammalai

Si rifiutò di farmi la peretta

 

Passero, questa vita va stretta

A te come a me, vita di guai

Senza donne o qualcuno che ammetta

di amarci con l’ anima; in mezzo a vespai

 

E a libri buoni solo a far cassetta

Senza più editori buongustai

…No, pur senza l’ alloro che ti spetta

Tu del tuo costum non ti dorrai

 

Né io cercherò una mia vendetta

Io scriverò e tu il volo prenderai

Quando l’ uomo che tra sé balbetta

La sua noia più non capirai.

 

 

 

*****
 

La bocca a forma di chiglia vichinga

si aggirava come sempre ubriaca

tra i divani, con le mani da zingara

esperta in amore ed il cuore staka-

novista, vuoto come una siringa

Girava col suo umore di lumaca

si fermava preparando un’ arringa

Ma appena apriva bocca… una cloaca

 

Voleva le provassimo il respiro

perché il suo uomo lui l’ avrebbe uccisa

se la scopriva. E se gli davi retta

appena gli giungevi sotto tiro

crollava come una torre di Pisa

con quella sua bocca a forma sospetta

 

Io in genere non mi trovavo il naso

quando passava lei: me lo schiacciavo

per renderlo meno ovvio e, nel caso

me lo scopriva, agghiacciato gridavo

di non averlo, che ero tutto raso

da quando ero finito accanto, a tavola

a un noto assaggiatore sadomaso

smorsato prima e quindi fatto incavo

 

Mi risparmiò sempre, per tenerezza

forse. E fu una fortuna tutta mia

che quella strana vita sia passata

Solo a distanza colsi la sua brezza

Ma oggi, forse, dalla nostalgia

mi ci sottoporrei, alla fiatata

 

Giuro che sembrava di stare dentro

un racconto di Poe: proprio nel centro.

 

 

Poesie tratte da “Perché ho smesso di scriverti versi”, Aletti 2009.

[Prefazione di Stefano Petrocchi -Ho iniziato a leggere i versi di Simone fra una lezione e l’altra, all’università. Di tanto in tanto mi passava qualche foglio scritto con la stampante ad aghi, che io mettevo via quasi subito. Non c’era molto da dire: quelle poesie mi sembravano, e ancora oggi mi sembrano, bellissime. La ragazza che camminando diceva con le anche cose tutt’altro che fatue, il passero la cui solitudine non passerà, ma anche la principessissima che in questo libro non figura, prendevano posto senza fatica nel mio immaginario accanto a Bocca di Rosa, Valmont e Toto le héros.
Dei versi e dei libri degli altri si parlava invece parecchio. Non c’è voluto molto a scoprire in Simone una versione aggiornata del lettore totale di cui scrive Mallarmé – nel suo pantheon di riferimento si indovinavano, tanto per cominciare, Catullo, Leopardi, Gozzano, Fred Buscaglione, De André, Woody Allen… Tuttavia lo stato di malinconico esaurimento che avrebbe dovuto conseguirne, sembrava produrre in lui non tanto tristezza quanto un’euforica tensione creativa. Guardate le rime. In alternanza a quelle più facilmente cantabili prende vita nelle poesie di Consorti un campionario inopinato di parole spezzate o agglutinate alla fine del verso: reci (/ Ta davanti…) in rima con preci (/ Pizio– versicolo non ha in sé alcun significato ma a sua volta fa eco con Vizio), artisticon Lizst, i (/ Concerti), staka- (/ novista) con lumaca. Quest’ultimo esempio, per altro, compare in un testo che è un autentico tour de forcestilistico, con versi ipermetri, rime per l’occhio e così via (La bocca a forma di chiglia vichinga).

L’uso a tutto campo della rima a me pare la cifra della scrittura in versi di Consorti, insieme con la tendenza al recupero di strofe e metri tradizionalmente strutturati: non proprio di canzoni, sonetti o sestine è fatto il suo canzoniere, ma a queste forme si pensa inevitabilmente in quanto alluse e talvolta garbatamente parodizzate. Se metto l’accento su questi aspetti tecnici è anche per provare a suggerirne una lettura di senso che vada oltre la predominante componente ludica. Forse non è del tutto azzardato intravedere, nelle fratture e ricomponimenti tra parole o nel ritorno percussivo delle rime, l’immagine sensibile di un’esperienza di separazione (patita, deprecata, esorcizzata) e ricongiungimento (instancabilmente sognato) con il destinatario di questi versi.

L’autore racconta soprattutto il momento dell’apparizione numinosa dell’oggetto del desiderio, l’accelerazione del battito cardiaco e l’appannamento della vista, e poi il momento dell’abbandono bruciante in cui il tempo con-vissuto con la donna amata ritorna come rimorso, recriminazione, rimpianto. In questo senso il titolo della raccolta, Perché ho smesso di scriverti versi, sembra indicare lo spazio strettamente delimitato tra amore e disamore in cui può accadere la poesia: nonostante lo sconfinamento verso temi ulteriori e perfino qualche accenno "civile" nella sezione centrale del libro (complessivamente più "libera" nell’orchestrazione formale), scrivere per Consorti presuppone sempre un dialogo privilegiato con un "tu" femminile assente.

Ricordo che Simone, alle mie insistenze perché raccogliesse in volume i suoi versi, rispondeva che si proponeva di farlo dopo essersi impegnato nello scrivere un certo numero di romanzi. Il fatto che intendesse ascendere una sua stravagante scala di rispettabilità nelle occupazioni letterarie, conoscendolo, non mi sorprendeva. Avendo avuto ripetute prove del suo talento sapevo che era soltanto questione di tempo. ]




http://www.nazioneindiana.com/2009/12/23/perche-non-ho-smesso-di-scriverti-versi/
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