| Un libro è parte di chi lo scrive. Una parte. E non necessariamente la migliore. Penso questo quando leggo sul mio blog che persone sconosciute lo stanno acquistando e mentre cerco di scrivere qualche riga sensata per questo magazine. Non mi chiedo se piacerà loro o meno. Mi chiedo: cosa penseranno di me? Se, un giorno, avessero la possibilità di conoscermi, cosa penserebbero di me come persona?
Fatto sta che è vero. Un libro, ma forse anche un semplice racconto o una poesia, è un pezzetto di noi. Fino a quando, però, non diviene di dominio pubblico. Una volta dato alla stampa, divulgato in qualche modo, quel pezzetto diventa di tutti ed ognuno potrà, se vorrà, vederci un pezzetto della sua vita, dei suoi pensieri, delle sue esperienze insomma. Quel che accade quando ascoltiamo una canzone e crediamo di scorgere in essa proprio la nostra storia!
Quindi non chiedetemi di cosa parla Guardiani del Vento… potrei dirvi tutto e non vi direi niente. Certo, c’è una quarta di copertina che parla chiaro: vi indirizza a certi argomenti piuttosto che ad altri. Leggerete di due protagonisti, Anna ed Emilio, che si incontrano per caso in una uggiosa giornata… ma leggerete anche del famoso don Chisciotte che, abbandonata la sua Spagna, comincia a vagabondare, in compagnia del fido scudiero, per le terre d’Europa alla ricerca di avventure e della bella Dulcinea.
Cosa c’entrano le due cose? Apparentemente nulla. Fatto sta che i quattro sopra nominati si completano, in qualche modo, a vicenda e dànno senso a tutta la storia e a tutti gli altri personaggi che la animano.
Ovviamente tutto ha inizio di fronte ai Mulini a Vento…
“Tutto ebbe inizio quando don Chisciotte si ritrovò a combattere contro i Mulini. Il vento soffiava forte e spettinava le zolle d’erba tra gli zoccoli dei cavalli, le pale giravano vorticosamente, tutte nella stessa direzione, mentre il fido Sancho Panza sistemava la lancia al suo padrone. Il vecchio hidalgo abbassò la visiera del suo elmo ammaccato, ma sempre lucente al sole tramontante d’Olanda, spronò il suo ronzino quanto bastava e si lanciò all’attacco. Lo scudiero, sollevando gli occhi al cielo per l’ennesima follia del suo padrone, si levò di testa il cappello e si segnò, invocando qualche santo delle sue parti…
…fu in quel preciso istante che il treno entrò in Stazione. Una voce, nasale alquanto, annunciò che si era giunti a Salerno. I passeggeri si accalcarono alle porte e attesero con impazienza quei pochi secondi tra l’ultima frenata e la possibilità di scendere. Poi, tutti di corsa, come ogni mattina, verso i propri impegni e la propria vita: le solite facce, abbottonate in cappotti, sciarpe e cappelli colorati di una primavera che tardava ad arrivare, che si dileguavano nel sottopassaggio e che si ritrovavano, di corsa, ad afferrare sempre all’ultimo minuto, l’autobus che li avrebbe condotti verso il destino di quel nuovo giorno.
…lo scudiero, raccolte le armi del suo signore, seguiva una stradicciuola stretta e sterrata, esortando in vari modi Ronzinante a camminare e a fare pure in fretta, dato che il combattente aveva ceduto il campo ai “Giganti”.
Sancho aveva sentito dire che, da quelle parti, c’erano locande e alloggi per gli stranieri. Il suo signore doveva riposare e lui voleva proprio mangiare. Aveva dovuto viaggiare per ore e ascoltare le frottole narrate da quel vecchio e, adesso, l’unica ricompensa che desiderava era un piatto caldo, tanta birra e, se possibile, pure qualche femmina da soddisfare…
La pensilina del 7, ubicata tra la chiesetta e la piazza antistante alla stazione di Salerno, quella mattina era un deserto. Di solito, decine e decine di studenti, dall’aspetto più o meno felice, ne ornavano i fianchi. Ma era una giornata uggiosa di marzo e soltanto chi aveva proprio un impegno da non poter rimandare ad un giorno migliore – se non altro per il clima sfavorevole – era lì, ad attendere che l’autista si decidesse a partire abbastanza puntuale.
Mentre Sancho Panza si fermò, indeciso, di fronte ad un bivio, provandosi a leggere l’iscrizione su un paletto di legno al centro della via, Anna fu distratta dal rintocco delle campane. Osservò la Chiesa, chiedendosi per l’ennesima volta a quale santo o Madonna fosse votata e guardando il grande orologio a sovrastare la piazza. Erano già le nove. Anche quella mattina, nonostante i buoni propositi, avrebbe ritardato.
- Pazienza! – si disse e abbassò di nuovo lo sguardo sul libro che stava appassionatamente leggendo[…]“.
Beh, che dire di più? Leggetelo e fatemi sapere…
Fonte:
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