| Prima di approdare al mondo della cultura e del benessere io, come milioni di italiani, appartenevo a quell’immensa schiera di esseri umani, la cui esistenza e sussistenza dipendeva esclusivamente da Madre Terra. Sono, infatti, figlio di contadini, non benestanti e facoltosi, cioè non possessori di ampi e ubertosi campi, né di numerosi armenti, bensì di piccoli fazzoletti di terra dislocati in diversi punti del contado natio, i raccolti dei quali non dipendono dalla volontà dei proprietari ma dalla clemenza del cielo meteorologicamente inteso. Ho sentito, pertanto, sulla mia pelle il graffio doloroso della povertà, genitrice di privazioni, di stenti, di digiuni e d’ignoranza. E se i tempi della mia generazione, situati tra le due guerre mondiali, avevano già apportato alle popolazioni rurali della nostra zona molti miglioramenti socioeconomici, politici e culturali rispetto a quelli precedenti l’unità nazionale ed oltre, tuttavia molti strascichi delle condizioni quasi disumane precedenti l’unità d’Italia sono esistiti sino all’inizio dell’ultimo conflitto mondiale. Fino alla fine degli anni Trenta circa, infatti, molte famiglie contadine del nostro territorio abitavano ancora nei casolari di campagna, totalmente privi dei servizi più indispensabili, dove conducevano una vita quasi primordiale ed erano completamente analfabete. Dei fondi che lavoravano, inoltre, pochissimi erano di loro esclusiva proprietà, la maggior parte apparteneva alle confraternite del Santissimo Sacramento e Rosario o alla mensa abbaziale di santa Scolastica, concessi in enfiteusi temporanea o perpetua alla popolazione rurale.
È facilmente immaginabile, quindi, lo stato di miseria e d’ignoranza in cui versava la nostra popolazione, specialmente sotto i vari governi pontifici che non provvedevano affatto all’istruzione laica e pubblica, né si curavano troppo dell’emancipazione socioeconomica dei loro sudditi.
A due contadini, infatti, che nel 1940, o giù di lì, riscattarono, in virtù di una legge in merito, emanata dallo Stato italiano, uno dei predetti terreni in enfiteusi eriditato dai loro avi, il parroco del tempo negò la comunione coram populo, perché avevano “affrancato” - così si dice in gergo locale - il terreno della Chiesa.
La miseria e l’ignoranza sono, infatti, i mali più perniciosi delle comunità umane. Sono, invece, formidabili strumenti di manipolazione sociale dei potenti per ottenere il consenso alle loro ideologie politiche e religiose, al fine di fare accettare all’ignorante come inevitabili la sofferenza, le privazioni e gli stenti e per fare apparire, legali, le ingiustizie, le vessazioni, i soprusi e le violenze, di modo che i vari “Don Rodrigo”, poi, possano usare leggi e consuetudini - il potere in genere - non per procurare beni e servizi ai governati, ma spesso per appagare le loro cupidigie e le loro passioni. E siccome prima dell’unità nazionale il popolo (e non gli abati, i vescovi e i baroni locali) della nostra contrada era totalmente analfabeta e versava in una grande miseria - lo hanno rilevato anche gli storici e i cronisti stranieri - ho voluto scrivere questi racconti, proprio per ricordare le pene, le sofferenze e le ingiustizie che dovette subire quella povera gente a causa della sua ignoranza e della sua miseria.
Non tutti i racconti, però, affrontano tale argomento. Ci sono anche storie a volte serie, a volte tragiche e, a volte, comiche che stigmatizzano vizi ed umane illusioni. Per non deprimere, però, lo spirito dell’eventuale lettore con la successione continua di fatti penosi, i racconti sono stati intercalati, rispetto al genere del racconto stesso. Quello che ho scritto, inoltre, fatta eccezione di qualcuna delle storie riportate, dei luoghi geograficamente codificati e dei fatti menzionati dalla storia e dalla cronaca ufficiali, è puro parto di fantasia. Così come pure inventati sono tutti i personaggi, protagonisti e non, che si muovono e agiscono nei racconti. Questi sono - se così si possono definire - delle invenzioni letterarie miranti alla ricostruzione storica delle condizioni sociali, economiche, culturali e politiche di un certo tempo, esistenti in un certo luogo. Non so se sono riuscito all’intento. Ma anche se così non fosse, non credo di avere sprecato il mio tempo, in quanto inventare queste storie è stato, per me, agevole e divertente e, spero, che lo sia anche per chi vorrà leggerle.
Pietro De Angelis
Collana "Gli Emersi - Narrativa"
pp.164 €10,00
ISBN 978-88-6498-016-4
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