| Presentare versi di un esordiente, in questo caso un ragazzo, costituisce sempre un rischio, tanto più per chi, come me, non è un critico di professione. Tuttavia mi pare valga la pena correre il rischio, poiché nella raccoltina di Francesco De Giorgi esistono, credo, le premesse per ulteriori sviluppi che potranno portare man mano la capacità creativa a piena maturazione. C’è infatti una calda sensibilità, una forza di scandaglio che penetra nel fondo delle cose, un’inquietudine volta a determinarsi nella parola, un’acuta tensione verso la fugacità del tempo.
A me sembra che le poesie più riuscite siano quelle che potremmo definire degli “interni familiari”: prima di tutte “Il delfino bianco” nel ricordo del nonno scomparso, poi “Il sorriso delle cose semplici” dedicata alla nonna che impasta un nostrano tipo di lasagne, “Arancia e caffè” a cui si legano le figure del padre e della madre nella mattine di gennaio.
Ovvio che non manchi l’amore, vissuto sensualmente, come una forte emozione che induce a scoprire, sia pure “per un attimo”, il senso della vita. Questo senso della vita s’incrina talvolta in note pessimistiche (vedi “Pianto del cielo”, “Respiro”, “Scivola”), non chiuse a livello d’angoscia personale bensì rivolta a cogliere anche la sofferenza degli altri (vedi “Un uomo alla stazione”, “Tristi ricordi di un muro”).
Il paesaggio e le stagioni hanno anch’essi un ruolo importante nella poesia di Francesco. Il paesaggio è quello nostro, salentino, fatto d’ulivi, uve e fichidindia, base al desiderio di cercare “il profumo delle stelle” o, sulla costa, fra i pini, quello “d’un’altra estate”.
Oltre ai mesi estivi, ci sono l’autunno e l’inverno, sempre rielaborati dall’intimo a interpretarne l’anima.
Giovanni Bernardini
Collana "Gli Emersi - Poesia"
pp.44 €12.00
ISBN 978-88-7680-805-0 |