| Il caso Parla lo scrittore Pierluigi Tamanini. Il suo primo libro è diventato già un best seller
«Troviamo il coraggio di sognare»
L’autore di «Rotte mutande»: in gran parte è autobiografico
È la storia di un ragazzo
che parte per l’India:
«Non ci sono mai stato,
ma le sensazioni del
protagonista sono le mie»
TRENTO — Nel cassetto, una laurea in Ingegneria ambientale; sugli scaffali, i libri di Hermann Hesse, Dino Buzzati e Richard Bach; su facebook, una sfilza di complimenti al suo romanzo d’esordio: «Rotte mutande o l’inquietudine dell'eterno cercare»
(Aletti editore, 300 pagine, 20 euro).
Pierluigi Tamanini, nato a Vigolo Vattaro il giorno di Natale di 31 anni fa, tutto questo successo non se lo spiega proprio. La sua casa editrice, dopo appena tre settimane dall’uscita, sta già programmando un’imminente ristampa. E lui legge on-line i commenti entusiasti, spulcia soprattutto quelli più critici, perché «aiutano a crescere». Del resto, dentro l’hard-disk del suo computer c’è già un nuovo progetto, un altro romanzo a cui Tamanini si dedica quando torna dal liceo scientifico di Fiera di Primiero, dove lavora come insegnante di sostegno. Rotte mutande è la storia di un ragazzo come tanti, insoddisfatto di una vita troppo monotona e routinaria, che decide di scommettere tutto su un biglietto di sola andata. Destinazione: India. Ma il viaggio, come insegnano i classici, è prima di tutto percorso, riflessione interiore.
Tamanini, se lo aspettava un successo così immediato?
«No, assolutamente. È una sorpresa anche per me».
Cosa le scrivono i suoi lettori? Si riconosce nelle loro parole?
«Sì, mi ci ritrovo molto. Hanno colto il doppio obiettivo del mio libro: da un lato provocare e dall’altro far riflettere. Certo, oltre «stupendo, stupendo», mi piacerebbe trovare anche qualche critica costruttiva, perché sono quelle che aiutano a crescere».
Su cosa vuol far riflettere con il suo libro?
«Sulla vita che conduciamo ogni giorno. Vorrei far capire che ci sono molti modi di vivere, non solo quello imposto dalla società. Bisogna trovare il coraggio di non farsi schiacciare dalle abitudini».
Rotte mutande è un libro autobiografico? Quel viaggio in India lo ha fatto lei?
«Magari… Purtroppo il viaggio in India non l’ho fatto io. I fatti che racconto sono inventati, però tutte le paure, i dubbi, le riflessioni del protagonista sono le mie».
Quanto ha influito nello scrivere il suo essere trentino?
«Molto. Il provincialismo del Trentino ha certamente contribuito a far nascere questo bisogno d’evasione, questo desiderio di vedere e scoprire dove si vive davvero. E poi c’è anche la realtà del precariato, diffusa in tutt’Italia».
Crede che sia questo sentimento diffuso d’evasione che le hanno fatto guadagnare tanti giovani lettori?
«Penso di sì. Anche parlando con i miei amici, spesso c’è proprio questa voglia di partire per il Nord Europa o per i Paesi del Terzo Mondo».
Lei è un ingegnere, da dove arriva questo amore per le «sudate carte»?
«Sono una persona un po’ timida e ho sempre avuto il bisogno di esprimermi con la pittura o con la scrittura. Da alcuni anni mi sono concentrato sulla scrittura. Sarà anche che a furia di leggere, leggere, ti viene anche la voglia di provare a scrivere».
Che libri ci sono nella sua libreria?
«Gli autori che amo di più sono tre: Hermann Hesse, con Siddharta; Dino Buzzati, con il Deserto dei Tartari e Richard Bach con Il gabbiano Jonathan Livingston».
C’è già una seconda opera in cantiere?
«Sì. Ho deciso di scrivere un altro romanzo, un po’ impegnativo».
Qualche anticipazione?
«Ci saranno tre personaggi con tre filosofie di vita diverse che, in qualche modo, s’incontreranno».
Agnese Licata - Corriere della Sera -
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