| IL CASO
Rotte Mutande
È uscito da poco ma fa già discutere e vende molto il libro «estremo» di un giovane scrittore trentino
Pierluigi Tamanini è nato il giorno di Natale del 1977. Si è laureato in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio. Ha lavorato come architetto, ingegnere e archeologo. Ora è insegnante di sostegno in un liceo scientifico. Protagonista del suo libro è Jin, 25enne di provincia, disgustato dall’ipocrisia di una società nella quale non si riconosce.
MANUELA PELLANDA
Sento che ho bisogno di sfogarmi, di cercare, di non rispettare le regole, di fare lo stupido, di sbagliare, di vivere alla giornata, di cadere, rialzarmi e cadere ancora. (…) Voglio vedere come è fatto il mondo. Voglio viaggiare. Voglio scoprire. Voglio volare. Voglio.
Sfogo lucido e disperato di un venticinquenne di provincia. Il suo nome è Jin. Annoiato, arcistufo, disgustato dall’ipocrisia di una società che non lo comprende e nella quale non si riconosce. A dargli voce è Pierluigi Tamanini, giovane scrittore trentino, autore di un libro che, appena uscito, fa già tanto parlare di sé, a partire dal titolo, «Rotte mutande o l’inquietudine dell’eterno cercare» (Aletti editore).
Cominciamo proprio dal titolo...
«L’espressione «rotte mutande» cela un doppio senso. Se da una parte fa riferimento, attraverso un’allusione neanche tanto velata, alla sfera sessuale, molto presente all’interno del romanzo, dall’altra va intesa attribuendo a «rotte» il significato di «direzioni», «strade», che devono essere modificate (come direbbero i latini, per l’appunto, mutandae sunt)».
Perché il protagonista sente la necessità di cambiare rotta?
«La sua vita è estremamente deludente. Venticinque anni, appena laureato, non riesce ad inserirsi in maniera soddisfacente all’interno della società. Nonostante i suoi studi e le sue aspettative, non lo attende alcun lavoro gratificante, anche in termini economici».
Un libro sul precariato?
«In un certo senso sì, soprattutto nella prima parte è presente una profonda critica nei confronti della società consumistica, mediocre e indifferente alle aspirazioni dei giovani, in particolare quella italiana, che non permette al singolo di sentirsi veramente realizzato. La disillusione è particolarmente viva nel protagonista, che a un certo punto decide di ribellarsi rifugiandosi nei paradisi artificiali - droga, alcool - e nel sesso. Ne uscirà con una seconda fuga, alla ricerca di una nuova possibilità, in India. Una eta che è motivata non solo dalla volontà di approdare in un Paese dove la vita costi poco, ma anche perché l’India rappresenta un luogo quasi mitico, nutrito di memorie letterarie. Il protagonista non intende soltanto mutare il proprio stile di vita, le proprie abitudini, ma anche intraprendere un viaggio alla ricerca di se stesso, aiutato proprio dalla spiritualità che crede di trovare in questi luoghi».
Si coglie, in questo viaggio alla ricerca della spiritualità, l’influenza dei romanzi di Hesse. La desolazione di un giovane che si sente tradito dalla società a cui appartiene e il senso di ribellione che ne scaturisce è certamente condivisibile. Si potrebbe però anche obiettare che quello della fuga è un modo semplice, in un certo senso anche egoista, per scaricare da sé ogni responsabilità e ogni possibilità di cambiamento reale.
«È in effetti questo il punto, a cui va anche ricondotto il titolo. Hesse è presente nel romanzo, ma la mia è una prospettiva meno idealista. Con realismo cerco di riflettere sulla consapevolezza che tutta l’esistenza sia in realtà un «eterno cercare» e che l’approdo ad una meta sia soltanto un’illusione».
Tutto è dunque vano?»
Non proprio. Credo che le risposte vadano trovate dentro di sé e non ricercate nel luogo in cui si vive, per quanto piccolo e povero di timoli ossa essere».
Grazie soprattutto al tamtam in rete (Tamanini è stato l’ideatore del «Facebook raduno» a Trento, ndr), «Rotte mutande» potrebbe aspirare a diventare il caso letterario del nuovo anno. A far parlare di sé, qualche anno fa, era stato un altro romanzo, «Teroldego». Trovi qualche punto in comune con il libro di Loperfido?
«Pur essendo scritto bene, "Teroldego" on i ha coinvolto molto. Ritengo rappresenti una società poco realistica e piuttosto stereotipata. Certo, anche in quel caso i protagonisti adottano comportamenti a rischio perché evidentemente non compresi dalla società, ma d’altra parte è tipico del trentino medio reagire in questo modo...».
A proposito di Trentino, il romanzo reca qualche traccia delle «ambientazioni nostrane»?
«Il libro vita riferimenti a situazioni geografiche particolari per dare modo ad un pubblico vasto di immedesimarsi il più possibile nella vicenda. È certo però che ad un’attenta lettura emerga la realtà trentina. In particolar modo spicca la provincialità di un paesino in mezzo alla montagna (Tamanini abita a Vigolo Vattaro, ndr), l’assenza di stimoli, la chiusura mentale dei suoi abitanti».
Perché definisci il tuo libro provocatorio?
«In primo luogo per lo stile, secco, frantumato, paratattico, ricco di frasi brevi, cinque, sei parole l massimo. Un aspetto che è stato finora molto apprezzato dai miei lettori. Poi, per i contenuti e per il linguaggio, talvolta estremo e molto diretto. Anzi, ora un po’ mi pento di aver inserito troppe parolacce».
Perché un giovane laureato in ingegneria decide, ad un certo punto, di scrivere un libro?
«Ho sempre cercato, per esprimermi, modi alternativi al linguaggio verbale: pittura, fotografia e scrittura. Questo per la mia timidezza che mi trattiene, tanto per fare un esempio, anche dalla presentazione di questo libro di fronte ad un pubblico. Preferisco affidarmi alla rete o, appunto, a carta e penna».
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