| Un libro sull'ansia da prestazione
E’ un bel romanzo dei nostri tempi, ma è anche un documento importante. Descrive, con attenzione e partecipazione, altalenanti esperienze di lavoro. La protagonista, Francesca, è una delle tante figure del mondo intellettuale precario. Ossessionate dai ritmi di una rincorsa infinita. Con due lauree (Storia dell'Arte Medievale e Conservazione dei Beni Culturali) inutilizzate. Il titolo del libro è “Ansia da prestazione”. Il sottotitolo ironico recita “Il lavoro somministrato senza ricetta medica”.
L’autrice è Alessandra Delogu Santangela (Editore Aletti). Ha raccontato se stessa anche se ha usato altri nomi. Ha rivissuto sedici anni con dodici prestazioni occasionali, due borse di studio, otto collaborazioni coordinate e continuative, una collaborazione a progetto e tre assunzioni a tempo determinato. E’, insomma, l’autobiografia di una flessibile, amara ed ironica. Scrive a premessa: “Alcuni ex sessantottini, riposto l’eskimo e diventati per magia riformisti, ti ripetono che la società è in continua trasformazione e chi non sa adattarsi ai cambiamenti in corso è destinato a rimanere fuori dal nuovo, moderno, libero, competitivo mercato del lavoro”.
La moderna società del lavoro in cui Francesca precipita è fatta di ripetute sorprese. Come quando va al colloquio convinta di poter diventare collaboratrice di una casa editrice e si vede offrire una specie di “porta a porta” per la vendita di enciclopedie. O come quando le offrono di partecipare a sfilate per parrucchieri oppure di diventare la segretaria molto particolare di un preside. Poi diventa venditrice di oggetti preziosi per una galleria d’arte e la redattrice di un sito web. Esperienze di lavoro instabili.
Fino al passaggio ad un posto pubblico, sia pure con contratto a tempo determinato. Pare una conquista rassicurante: “Il momento comunque più indimenticabile di quel primo giorno fu la consegna del cartellino. Per i comuni mortali un’anonima tesserina magnetica in tutto simile a un bancomat, per il variegato universo dei precari il simbolo dello scalino più alto nella piramide del lavoro a termine, il sogno proibito che improvvisamente si materializza”.
Certo anche qui esperienze umilianti, come il rito della “colazione”, con una durata diseguale: “Una variabile che tracciava un solco netto tra personale assunto a tempo indeterminato e personale precario”. Francesca però “Non poteva e non doveva lamentarsi… L’epoca del lavoro-hobby, piacevolissimo, estremamente gratificante, ma sottopagato e privo totalmente di tutele, era ormai ben lontana dai suoi pensieri… Rinnovo dopo rinnovo, prima o poi l’assunzione a tempo indeterminato sarebbe arrivata… A quasi quarant’anni non era più possibile scorgere orizzonti diversi”.
E invece alla fine anche qui cala la ghigliottina: Francesca deve lasciare. L’ansia da prestazione ricomincia….
LUNEDÌ, GENNAIO 12, 2009 (L'UNITA'- rubrica 'Atipiciachi')
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