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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

Previsioni del tempo

di Rivista Orizzonti

Previsioni del tempo di Francesco Denti

Il tempo sembra essere impazzito. Quante volte l’abbiamo sentito dire, negli ultimi anni? Sarà perché non ci sono più le mezze stagioni, sarà per il buco nell’ozono, sarà perché questo povero pianeta l’abbiamo talmente usurato che adesso reagisce all’improvviso e a modo suo.
Me ne rendo conto: non è bello cominciare un articolo parlando del tempo, ultima risorsa a cui in genere ci si affida quando non si hanno altri argomenti. Eppure... se ipotizzassimo un impazzimento in senso storico-temporale, piuttosto che meteorologico? Che cosa succederebbe se per un bizzarro corto circuito personaggi vissuti cento, mille o duemila anni fa si ritrovassero nell’odierna società? Di che cosa camperebbero? Avrebbero più o meno fortuna di quella toccata loro in sorte nell’epoca che li ha visti protagonisti?
Proviamo un po’ ad azzardare questa attualità futuribile, con una considerazione: stiamo portando nel presente alcuni grandi del passato. Forse, in cambio, si potrebbe lasciar affogare nel passato qualche mediocre (è un eufemismo) personaggio dei nostri tempi.

Oggi sono uscito prima dal lavoro, e ne ho approfittato per fare una passeggiata in centro. Mi ha colpito un tipo con i capelli lunghi e la barba incolta, che già avevo notato qualche giorno fa. È taciturno, ma con uno spiccato accento veneto quando entra in un bar per chiedere un caffè o un bicchierino di grappa. Da qualche settimana ormai riproduce quadri di madonne sui marciapiedi di via del Corso, suscitando l’ammirazione dei pochi passanti che si fermano per osservare i suoi capolavori e, sentendosi filantropi o mecenati in fondo al cuore, gli lasciano qualche spicciolo. L’indianino che vende caldarroste all’angolo si è rivolto a lui chiamandolo Tiziano.

In questo periodo di bravi artisti di strada ne circolano parecchi, a Roma. Alla stazione della metropolitana Colosseo tutte quelle brutte scritte tipo “Manuel vive”, “Juve merda” e “Giulia ti amo” sono state ricoperte dai graffiti di un francese che adesso sta decorando la fermata del Circo Massimo. I suoi murales sono un po’ strani, ma molto colorati, segni geometrici che fluttuano nell’aria, insetti, stelle, un ombrello, un occhio, note musicali, pupazzetti stilizzati. Un mio amico me l’ha presentato come Matrix, convinto che il tag – il nome d’arte con cui firma i graffiti – se lo portasse dietro da una precedente esperienza sotterranea newyorchese. Invece pare si chiami Matisse (e non è un tag ma il suo vero nome).

Sulla linea A della metro, invece, è impossibile non imbattersi in un ragazzetto slavo che suona la fisarmonica come Apollo potrebbe suonare la lira. Uno si aspetta di sentire le solite canzoni da fiera del liscio, e invece lui, anche mentre la gente scende a Termini facendo rumore e spintonando gli altri passeggeri, è capace di far uscire da quello strumento una vera sinfonia, con degli arrangiamenti divini. Ma la cosa sorprendente è che a quanto pare lui non è slavo. Se dicesse di chiamarsi Wolfgang e di essere austriaco verrebbe preso per un turista, e nessuno gli darebbe più un soldo.

Fortunatamente dopo ogni giornata di lavoro viene l’ora di tornare a casa, di sbracarsi sul divano e di accendere la tivù. Io adoro la televisione, soprattutto il canale tematico delle sit-com. Il lunedì sera c’è la doppia puntata de “Le tre sorelle”, trentenni singles incallite sempre a caccia di uomini: un po’ volgarotta, ma irresistibile. Invece il martedì, firmato dallo stesso autore e produttore, c’è lo “Lo Zio Vania Show”: un ciccione buffo che ad ogni puntata si ubriaca di vodka e comincia a sparare a zero sul governo americano, sulle star di Hollywood, sulle minoranze etniche e sessuali, sulla religione... comicità demenziale di altissimo livello!

In questo periodo resto alzato fino a notte fonda, perché da Oakland c’è il collegamento con la Coppa America di vela, e ogni volta io spero che quell’italiano, Cristoforo Colombo, ce la faccia a vincerla, anche se non riesco a tifarlo serenamente perché quegli antipatici degli sponsor spagnoli rivendicano la proprietà della barca, e a dire il vero la randa, il fiocco e lo spinnaker sono pieni di marchi di aziende di abbigliamento sportivo e di compagnie telefoniche iberiche.

Comunque non è semplice restare sveglio fino a quell’ora, perché dalle 11 alle 2 di notte non c’è mai niente, neanche sui canali satellitari, e mi tocca confidare in qualche ospite speciale del talk show. Però i personaggi invitati sono sempre noiosissimi, come quel giornalista politico che da una vita si schiera con l’ultimo governo in carica, e che ha scritto anche un bestseller sulle virtù del presidente del consiglio (“Il Principe”, mi pare si chiami). Oppure quell’Aristotele, il filosofo greco da salotto che si diverte a inventare sillogismi sui vip presenti in studio.
E quindi va a finire che per non addormentarmi leggo qualche storia dell’Uomo Ragno scritta dal mago della nuova sceneggiatura Tolstoj, che fortunatamente col passare del tempo sta concedendo sempre più spazio alla vita sociale e sentimentale del protagonista e sempre meno agli scontri con Goblin. In fondo al lettore che gliene importa delle battaglie? È molto più interessante il lato soap-operistico della vicenda, no?

Oppure mi metto a sfogliare quella rivista di arredamento rustico, “Ville & Country Magazine”. Perché io di architettura non ci capisco niente, ma l’interior design mi fa impazzire, e in genere rimango estasiato davanti ai progetti della rubrica “L’angolo del Palladio”: quanto ci sta bene il ferro battuto nelle case di campagna, e il caminetto (anche finto, non importa!), e una bella veranda, un patio. Invece i nani da giardino, a sentire l’esperto Palladio, sono un po’ cafoni. Peccato. Ne avevo comprato qualcuno per la mia casa in Toscana, poi alla fine li ho tolti, lasciando il solo Dotto. Certa gente ci fa caso, a questi dettagli.

Ogni tanto, invece, decido di abbrutirmi del tutto. Riprendo il telecomando e per prima cosa do un’occhiata agli 005, o 144 che dir si voglia. Spesso c’è una biondina nuda e insaponata che si fa chiamare Caterina la Grande, e mi piace un sacco: credo sia russa. Una volta ho avuto anche la tentazione di chiamare il numero in sovrimpressione, pur sapendo che a rispondere non sarebbe stata lei. Però le vere reginette, tra le call girls, sono due che di esotico non hanno proprio niente: “Piacere, Agrippina”, “Piacere, Messalina”, esclamano con marcato accento romano all’inizio del filmato, rivolgendosi languide allo spettatore. Una delle due credo di averla incontrata un pomeriggio sulla Cassia, altezza Tomba di Nerone.

O altrimenti vado a caccia di pubblicità, e quando finisce cambio canale per trovarne altra. Potrei sorbirmi ore e ore di spot, mi rilassano. C’è quello nuovo dei filetti di merluzzo col testimonial vichingo, Erik il Rosso (e proprio per il suo nome, la concessionaria che tratta la vendita degli spazi sulle reti filogovernative – tutte, quindi! – ha avuto qualche esitazione. Ma poi è stato chiesto al protagonista di tingersi i capelli, e si è risolto il problema). Oppure c’è la réclame di una bevanda energetica per gli atleti, in cui si vede il greco naturalizzato statunitense Pelope (del Santa Monica Track Club, se non erro) che posa per un faticoso servizio fotografico, e quindi riprende fiato proprio gustando qualche sorsata del drink rigenerante.
Gran bello spot, davvero. Ha vinto un sacco di premi, a Cannes, a Venezia e anche a Los Angeles. L’ha inventato un mio amico, che fa il creativo: si chiama Leonardo. E pensare che è diventato pubblicitario per caso... è una di quelle persone piene di talenti naturali, ma che faticava a specializzarsi in qualcosa. Meno male, adesso sembra aver trovato la sua strada. E, visto che è un creativo, non c’è niente di male se a volte va in giro vestito in maniera un po’ eccentrica, da artista. L’importante è che alle riunioni coi clienti si presenti bene, in giacca e cravatta, altrimenti va incontro alla furia omicida del suo capo. Questo è un inglese, tale Darwin. Solo da qualche mese è diventato amministratore delegato di un’agenzia di comunicazione; in passato ha gestito un supermercato, un museo, uno zoo, addirittura una nave. È uno che si adatta bene, evidentemente, ma i dipendenti temono i suoi feroci criteri di selezione del personale. Selezione naturale, come la chiama lui.

Quando il mio cervello è proprio in pappa, e anche uno spot di Erik il Vichingo coi filetti di platessa diventa difficile da seguire, mi sposto sul canale delle televendite. Lì c’è sempre lo chef Pellico che, chiuso 24 ore su 24 nella sua cucina, offre preziosi consigli su come preparare un’indimenticabile pasta alla carbonara.
Io però aspetto con ansia la signora Cleopatra, una bella donna sempre abbronzata che vende appartamenti in zona Piramide.

Questa Cleopatra, tra l’altro, pare che abbia avuto una tresca con l’ex presidente della A.S. Roma, Caio Giulio Cesare. Il battagliero patron era solito lanciare provocazioni contro i corrotti barbari del nord, e quando i suoi consiglieri gli facevano notare l’imprudenza, lui replicava sereno che ormai “alea iacta est”.
Povero presidente, i tifosi lo ricordano ogni domenica con un commosso striscione (“Cesare: uno di noi”), ma certo che ha fatto proprio una brutta fine, vigliaccamente pugnalato alle spalle. E meno male che Bruto era della Lazio. Se fosse stato juventino, avrebbe pagato anche un sicario, che so, Petronio Arbitro.


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(Orizzonti n. 21 - marzo 2003).

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