| Har baje!
In curdo significa “che tu possa vivere per sempre”
Un augurio che è quasi un proverbio per le vittime delle mine antiuomo
Incontriamo Gino Strada, il chirurgo di guerra autore del libro PAPPAGALLI VERDI
di Gianluca Mercadante
Nello spazio - generalmente di poche righe - compreso fra il titolo e l’inizio vero e proprio di un’intervista, è necessario comunicare a chi legge informazioni dotate di una certa capacità esplicativa. Devono perciò essere brevi, ma non per questo elusive, succinte ma dettagliate. Un’introduzione contiene così tutti i dati indispensabili al lettore perché comprenda l’argomento trattato nell’articolo e sia per tanto in grado di decidere - con una certa sicurezza - se leggerlo o saltare oltre. Quando però ci si trova nell’obbligo di spiegare chi è Gino Strada tutto diventa più complicato, al punto da rendere inservibile persino un riassunto teorico sul cappello introduttivo, redatto da manuale. Parlare di un’organizzazione come EMERGENCY, che porta la propria esperienza medica in giro per il mondo - e per “mondo” s’intende quella parte di realtà devastata dalle guerre e dagli eserciti invisibili delle mine antiuomo - è un compito che tocca non solo l’incaricato di turno all’atto dello scrivere, ma soprattutto la sua anima. Incontriamo Gino Strada all’uscita da uno dei tanti luoghi che l’hanno ospitato di recente a presentare il suo libro PAPPAGALLI VERDI, e averlo accanto, discutere con lui, ti fa tornare coi piedi per terra. Perché fino a un attimo prima lo immagini su un mezzo di fortuna carico di feriti a sfidare i cessate il fuoco sul confine di due paesi in lotta. Ed è allora che ritorni sul Pianeta Terra. Quando ti accorgi che non è un eroe dei fumetti americani, ma un uomo. Quando scopri ancora che non è il solo, perché tanti altri chirurghi hanno scelto di rinunciare alle comodità di un ospedale cittadino per seguire EMERGENCY. Per scendere in prima linea. No, non è per niente facile spiegarlo, tutto questo. È molto meglio che ne parli lui.
Domanda: “Prima di tentare un approccio diretto con le tematiche del tuo libro, potresti spiegare con esattezza che cosa sono i PAPPAGALLI VERDI del titolo?”
Risposta: “Pappagalli Verdi è il nome con cui il popolo Afgano riconosce le mine lanciate nei propri territori dagli elicotteri russi. Sono mine di piccolo formato, hanno due ali che consentono all’ordigno di planare fino a terra senza esplodere nell’impatto conclusivo. Da questo particolare, il nome - anche se a me ricordano piuttosto delle grandi farfalle, più che dei pappagalli. Somigliano a giocattoli, non per niente ho sempre e solo operato bambini mutilati da questo tipo di mina. È senza dubbio questo il motivo che mi ha spinto a dare un simile titolo al mio libro, titolo per molti versi incomprensibile, forse. L’ho fatto perché possa ricordare la più grande barbarie che io abbia mai visto, come medico e come uomo: progettare mine capaci di attirare l’attenzione dei bambini, allo scopo di sconfiggere il nemico.”
Domanda: “Nel brevissimo antefatto al volume, tu sostieni di aver attinto alle tue memorie per la stesura dell’intero lavoro. In PAPPAGALLI VERDI queste memorie sono invece veri e propri racconti, certamente scritti senza intenti narrativi puramente intesi, ma come fonte informativa diretta sugli aspetti quotidiani dei luoghi di scontro dove hai prestato soccorso. La scelta di raccontare nasce dall’esigenza di informare il lettore con un linguaggio privo di tutti i filtri possibili?”
Risposta: “Beh, sì, credo ci sia sotto soprattutto la voglia di non esprimersi attraverso schemi o strutture costrittive, ma piuttosto di dire esplicitamente ciò che si vede e si fa. Se un libro può portare le persone alla conoscenza del fatto che in una guerra si possono fare cose che non sono solo bombardare, ma anche aiutare le vittime, che siano esse indifferentemente i “buoni” o i “cattivi” della storia... in altre parole, se un libro riesce a rendere quantomeno l’idea dell’operato di EMERGENCY, allora io credo che questo sia un grande risultato.”
Domanda: “Questa è una domanda che nel libro hai - GIUSTAMENTE - classificato come banale. Tuttavia, è lecito domandarti perché hai scelto di fare il chirurgo di guerra?”
Risposta: “Perché non riesco a immaginare... un mestiere più bello. Più bello, ma anche più affascinante, più coinvolgente... e più utile. Il che non è poco se pensi a un lavoro che non solo è utile agli altri, ma è già straordinario per te stesso.”
Domanda: “Quindi pensi sia giusto considerare la possibilità che questo possa trasformarsi
- anche burocraticamente parlando - da una vocazione a una professione?”
Risposta: “Deve essere come per chi si alza alle 4 del mattino a farci il pane, no? Deve essere un lavoro. Un lavoro per cui si è motivati abbastanza da sopportare tutti i sacrifici che comporta svolgerlo al meglio delle proprie possibilità. E spesso ancora di più.”
Domanda: “Ecco, a questo proposito c’è un capitolo dolcissimo del tuo libro, dove hai un pensiero per tua moglie e tua figlia. Scrivi che per il tuo lavoro hai tolto loro affetto, attenzioni... però, se tornassi indietro...”
Risposta: “Se tornassi indietro, lo rifarei. Lo rifarei! È inutile negare quanto questa esperienza mi arricchisca sempre di più, con l’andare del tempo. E questo giova enormemente nei rapporti umani, anche quando questi sono difficili e peggiorati dalla lontananza. Ti confesso che tendo molto a censurare sempre quello che loro provano... parlo di mia moglie Teresa e di mia figlia... sapermi sotto i bombardamenti senza avere mie notizie, a volte per dei mesi. Non dev’essere facile. Immagino l’ansia che provano ad ogni squillo di telefono, potenziale portatore di cattive notizie. Sopportare tutto questo? Non oso pensare a come sia. Figurati quando le sento incoraggiarmi!!!”
Domanda: “Come nasce EMERGENCY?”
Risposta: “EMERGENCY nasce a Milano nel 1994 come risposta medica in tutte quelle terre devastate dalla guerra e tuttavia prive di qualsiasi organo di soccorso. Come nasce? Mah... direi a un tavolo e una cucina, con quattro amici che decidono di togliersi lo sfizio finanziandosi una missione a suon di cambiali. Sono passati cinque anni da allora. Oggi, EMERGENCY è considerata un’importante realtà nel campo della chirurgia di guerra.”
Domanda: “Che difficoltà incontra quindi EMERGENCY quando si tratta di installare organi di soccorso in zone del mondo prive di risorse quali acqua e luce?”
Risposta: “Sai, le difficoltà cominciano al momento di arrivarci. E poi continuano con gli impianti, le fasi relative alla logistica... inoltre, noi abbiamo questo fiore all’occhiello, il vanto di avere da ogni parte persone interessate a proseguire il nostro operato. Per cui, dopo aver reso funzionale la struttura, dobbiamo imbastire corsi di formazione per unità locali che provvedano a mantenere attivo l’ospedale anche e soprattutto dopo la nostra partenza. Recentemente molti giornalisti sono stati invitati a visitare le strutture di EMERGENCY e più di uno ha in seguito descritto la perfetta efficienza del personale. Per non parlare dell’igiene! Mi sembrava di leggere la versione scritta di una qualche pubblicità sui detersivi... Eppure, è la verità. E mi rende triste pensare a quanto poco ci vorrebbe a far sì che anche negli ospedali italiani si possa offrire ai malati una tale qualità di sevizio.”
Domanda: “Ritornando alle vittime di guerra, Gino, in un passo del libro definisci come “ereditarie” le mutilazioni sui corpi delle persone che curi. Perché?”
Risposta: “Perché lo sembrano. Più di una volta ho curato Nonno, Nonna, Padre, Madre e Figlio. Tutta una famiglia mutilata dalle mine antiuomo. Ci pensi? Ripeto, sembra una malattia ereditaria, ma si tratta purtroppo di una catena. Una catena che va spezzata.”
Domanda: “E in che modo le popolazioni dei vari Paesi riescono a convivere con una simile piaga?”
Risposta: “In modo drammatico, certamente. E però, sai, c’è anche... come dire, una certa “atmosfera” in questi luoghi. Sono zone del mondo in cui non ci si sofferma più di tanto sugli aspetti della vita, sulle elucubrazioni filosofiche. Se da una parte vivi accanto a delle persone capaci di considerare quasi normale la possibilità di rimanere mutilato, dall’altra non vedrai mai nessuno massacrarsi per una partita di calcio. Anche perché lì - decisamente - i problemi sono ben altri e non ci sono solo di Domenica...”
Domanda: “Tu ritorni da un viaggio in Afganistan (dove mancavi dal ’92). Che cosa hai provato nel ritornare in Italia e scoprire il nostro Paese in guerra?”
Risposta: “Un misto di tristezza e di rabbia. Ma soprattutto di rabbia! Sai come si dice? “La mamma degli imbecilli è sempre incinta”... Vedere ai telegiornali i tentativi di ammantare certa parte di questi massacri col termine di INTERVENTI UMANITARI, è una cosa che ti fa davvero imbestialire, soprattutto quando sai benissimo come stanno le cose, vivendo ogni giorno dall’altra parte della barricata. E poi trovo ancora più irritante da parte dei cosiddetti organi d’informazione l’uso di parole tanto gratuite. Un tipico esempio l’ho fatto un attimo fa.”
Domanda: “Come hanno reagito le autorità competenti in merito alla proposta di EMERGENCY inerente ai soccorsi medici, nelle terre attualmente in lotta?”
Risposta: “Beh, sai, laddove c’è una guerra il concetto di autorità è saltato, per cui i rapporti che comunque siamo costretti a intrattenere con i suoi resti sono piuttosto complicati. Mi spiego meglio: è necessario dimostrare all’atto pratico di essere assolutamente neutrali al conflitto in corso. E dimostrare la praticità a parole non è sicuramente semplice, di per sé. Ma la neutralità è molto importante, nel nostro lavoro. Noi non scendiamo in campo per fare della politica, ma per portare il nostro aiuto ai feriti che, come tali, per noi non possono essere né vittime, né carnefici. Dimostrare questo in luogo di trattative
- ovviamente verbali - capirai quanto e come sia a dir poco allucinante.”
Domanda: “E nelle zone del Kosovo e della Serbia?”
Risposta: “Lì siamo ancora in attesa di una risposta. Va da sé che la ex Iugoslavia in quanto a sanità avrà senz’altro ancora a disposizione personale qualificato, credo al massimo che ci saranno problemi relativi a materiale tecnico e medicinale, forse. Ho idea che potremmo essere chiamati in futuro, se la situazione si protrarrà ancora a lungo. Ignoro la destinazione, ma certamente la nostra organizzazione arriverà anche lì.”
Domanda: “Siccome al termine di tutte le presentazioni del tuo libro inviti gli spettatori a interessarsi attivamente a EMERGENCY, facciamo in modo che anche questo incontro si concluda similmente. In che modo i nostri lettori possono contribuire alla causa di EMERGENCY?”
Risposta: “Il più semplice è quello di inviare del denaro. Scusa se non uso mezzi termini per dirlo, ma è innegabile che ne serva, e molto anche. Poi ci sono mille altri modi per esserci vicini. Quello che ripeto più spesso, è prendere parte di persona al viaggio che abbiamo intrapreso nel 1994. Un viaggio che riafferma l’importanza, la sacralità della vita umana. Rintracciarci è facile. EMERGENCY ha costantemente bisogno di iniziative d’informazione, sensibilizzazione e soprattutto di solidarietà. Nei piccoli centri come nelle grandi metropoli. Parliamone, qualche volta.”
Gino Strada è chirurgo di guerra ed è uno dei fondatori di EMERGENCY, associazione umanitaria italiana che si occupa della cura e della riabilitazione delle vittime di guerra e delle mine antiuomo. Da oltre dieci anni è impegnato in prima linea: ha lavorato in Afganistan, Perù, Bosnia, Gibuti, Somalia, Etiopia e, nel periodo più recente, nel Kurdistan iracheno e in Cambogia. È autore del libro “PAPPAGALLI VERDI - Cronache di un chirurgo di guerra” (Feltrinelli, pp. 160, £ 22.000).
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