| Frammenti e immagini di teorie impreviste
«Accanto a me c’è quello che era un tempo l’avvenire. Un avvenire ormai sfatto, incolore. Dorme indifferente e non sa. Come potrebbe, d’altronde, sapere se non coglie ciò che si cela dietro all’indifferenza del suo adipe». Danno l’idea di uno sfogo personale, tutto di un fiato, senza respirare, le atmosfere evocate nei racconti di Paolo Marati, racchiusi nell’antologia L’assassino sedeva a tavola con noi (14 euro, Aletti editore).
Si tratta di frammenti che racchiudono sempre un dramma, un piccolo giallo, una conclusione di una vita imprevista, a volte apparentemente provocata, in ogni caso sempre oscura.
E impenetrabile è anche a volte la scrittura di Marati che, con la stessa forza con cui avviluppa il lettore, può lasciare confusi, disorientati. Perché in alcuni punti di questo libro le soluzioni e le comprensioni sono evidentemente molteplici. Alla fine dunque ogni lettore ritroverà la sua spiegazione ai fatti, non sempre narrati, più spesso lasciati evincere dai discorsi e dagli atteggiamenti dei protagonisti. In questo senso di diceva all’inizio che dà l’idea di una testimonianza di un’anima libera, che si sfoga senza freni inibitori, senza stare a studiare le reazioni o la cifra da regalare alla propria scrittura. Ma molto spesso invece, proprio questi meccanismi che appaiono spontanei e naturali, sono studiati ed elaborati, calibrati accuratamente per dare il senso della naturalezza.
Dietro le storie in ogni caso si celano piccole tragedie umane, piccoli orrori quotidiani. E questi a loro volta sono momenti che generano dolorose intenzioni, vendette o bassezze di vario tipo, goffi tentativi di sopravvivenza ad una qualche morte. «Adesso Ugo non vede più. Afferma di vedere solo ombre. Forse è diventato uno strumento delle forze del male che desiderano sopraffare la luce. Mamma ne è convinta. Per questo vieta ogni contatto diretto fra Ugo e nonno Giacomo. Specialmente da quando, brancolando nel buio alla ricerca di un bicchiere, Ugo le ha detto che non aveva nessuna intenzione di nascondersi».
Il tempo è sempre una costante danneggiante, anche nelle storie d’amore. In questi racconti questo diventa sempre un postulato filosofico insuperabile. «Non te ne accorgi neanche, ma non c’è più. Il tempo devasta tutto. Soffermarsi su qualche certezza è infantile se non masochistico. Niente rimane quello che è. Tutto si dirige verso la deformazione». Tuttavia, tra le righe, ad un’attenta lettura, non può sfuggire sotto varie spoglie svianti e frammentare volutamente, una storia d’amore finita male che evidentemente l’autore ha voluto comunicare. Sms cadenzati che raccontano, dall’apice alla fine, una comunicazione che si giura eterna e che improvvisamente s’interrompe, come nel gioco della vita più comune quanto inaccettabile e crudele. Il fluire stesso della vita diventa inaccettabile. «Ostinarsi nella rivendicazione di una coerenza granitica opposta a una fragile incostanza non è nient’altro che un atto di prepotenza. Avrò affermato, scritto giurato quello che si vuole. Ma il punto è che non riaffermo, non riscrivo e non rigiuro niente».
La magia di un libro è spesso nella capacità di far parlare i protagonisti delle esperienze vive degli autori. In questi casi non si può non pensare ad un’esperienza catartica, che poi diventa anche di gruppo nel momento in cui si crea una comunicazione tra scrittore e lettori.
Claudia Presicce
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