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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

La mia vita è un romanzo – di Francesco Denti

di Rivista Orizzonti

C’è chi dice che un narratore deve sempre scrivere di quello che conosce, che ha vissuto, che ha sperimentato, goduto o patito sulla propria pelle. E che solo così può essere in grado di trasmettere qualcosa di autentico e di significativo ai suoi lettori.
Al contrario, c’è chi afferma che la prima regola, per un buon romanziere, sia proprio quella di uscire dal suo modestissimo orticello e allontanarsi il più possibile dalle sue personali esperienze, per quanto intense o interessanti. Se vuole risultare oggettivo e credibile non può essere parte in causa, ma deve tirarsi fuori dalla mischia fino a diventare uno spettatore sempre lucido e critico.
Il dilemma, posto in questi termini, è una questione indiscutibilmente oziosa, perché le due posizioni sono teorie valide e al tempo stesso criticabili. In Tutte le anime di Javier Marias, è evidente il riferimento costante a situazioni, atmosfere e incontri vissuti davvero; ma certo Marias non subisce la realtà come limite (provate a chiedergli se una donna semisconosciuta sia morta tra le sue braccia, proprio mentre era intenta a consumare con lui un neanche troppo entusiastico sesso extraconiugale – n.d.r.: è il lungo e folgorante incipit di Domani nella battaglia pensa a me).
Idem per Pennac: il quartiere di Belleville, con la sua umanità variopinta, sempre pulsante di vita e di energia, è una chiara fonte di ispirazione per la fortunata saga di Malaussene. Ma dalla banlieue parigina alla sua rappresentazione fumettistica, alle scalcagnate gang criminali e a un impiego del protagonista come capro espiatorio qualificato, ce ne corre...
Dalla realtà, invece, non attinge mai molto Baricco (attenzione: stiamo parlando esclusivamente di narrativa). I suoi temi sospesi tra il magico e l’onirico e i suoi personaggi da fiaba – donne eteree di origine maeterlinckiana, uomini che inventano metafisici strumenti musicali ecc. – provengono direttamente dal regno della fantasia (fantasia che forse, dopo un paio di libri stupendi, si è un po’ esaurita...).
Non limitiamoci però al panorama degli ultimi anni, e facciamo un salto indietro per vedere quanto contava l’esperienza personale nella letteratura di qualche tempo fa.
Il mondo descritto da Tolstoj, l’aristocrazia russa di lingua francese, è senz’altro il mondo di cui il conte Lev faceva parte. Ma non solo: in entrambi i suoi capolavori, l’autore ha voluto concedersi un autoritratto o meglio un portavoce (Pierre in Guerra e Pace, Levin in Anna Karenina).
Salgari, invece, raccontava storie di avventurieri e di pirati senza mai aver messo piede in Malesia o nel Borneo (d’altronde neanche il regista di Sandokan ci deve essere mai stato in quei posti – e meno male, altrimenti avrebbe scelto un tracagnotto dalla pelle giallina al posto di Kabir Bedi). E le descrizioni – le lunghe digressioni salgariane – di fauna, flora e climi esotici, sono dei prototipi sperimentali di “taglia e incolla” dall’enciclopedia.
E Verne? Anche ammesso che abbia compiuto il giro del mondo a bordo di un pallone aerostatico, certo non è mai arrivato al centro della Terra, né è mai salito a bordo del Nautilus a stringere la mano del capitano Nemo!
Al contrario, Melville una certa esperienza di mare l’aveva senz’altro, così come Conrad (che oltre a una vita passata sulle navi doveva sentirsi anche qualcosa sulla coscienza, sennò non avrebbe mai scritto il suo capolavoro Lord Jim).

Mah. L’unica certezza è che ogni epoca offre narratori che si si lasciano ispirare dalla realtà e narratori che lavorano solo di fantasia (escludendo chiaramente autori di genere – fantascientifico, fantasy, noir, horror ecc.).
Anche se ci sono delle buffe eccezioni. Basti pensare a Flaubert che, creato il personaggio di Emma Bovary e tutto il suo contorno socio-culturale, arrivò a dichiarare, travolto dall’entusiasmo per la sua eroina: “Madame Bovary c’est moi”.
Sì, e allora “Je suis Catherine Deneuve!”...
Sul peso della realtà nell’attività creativa, riporto qui sotto una divertente conversazione che ho avuto di recente con due scrittori. Mi hanno chiesto di rimanere anonimi, ma forse siete in grado di riconoscerli. Ammesso che esistano davvero.

“Per l’autore può essere un problema: qualunque cosa scriva, la gente pensa sempre che almeno in parte si tratti di narrativa autobiografica. E finché si parla di stupidaggini, o – al contrario – di massimi sistemi, vabbè, la gente pensi quello che vuole. Ma sappiamo tutti quello che cercano i lettori: infatuazioni, corteggiamenti, sentimenti, magari sesso. E può essere un limite, per uno scrittore, dover tenere conto dell’opinione e del giudizio dei suoi fedeli.”
“Ogni tanto si può raccontare una bella storia d’amore in cui tutto va bene, è sbagliato anche condannare a priori il lieto fine. Una trama in cui tutto fila liscio (o che comunque alla fine si risolve) può starci; forse non è il massimo dell’eccitante per un autore, ma rassicura il grande pubblico e lo fa contento. E soprattutto se deve essere solo uno sfondo nell’economia generale del romanzo o del racconto, okay.”
“Spesso però la lovestory deve occupare un posto di preminenza: parliamoci chiaro, l’avventura è divertente, l’azione ci carica o ci rilassa (dipende: bisogna vedere se il libro è ben strutturato o è una boiata), il mistero ci cattura e il giallo ci tiene con il fiato sospeso, ma quando si arriva al dunque e compaiono le prime tracce di sentimento, quando capiamo che il protagonista ha incontrato LEI (o viceversa, la protagonista ha incontrato LUI) siamo tutti felici, ed è a quel punto che cominciamo seriamente a fare il tifo perché l’affaire vada in porto, oppure, al contrario, vorremmo mettere in guardia il nostro beniamino perché subodoriamo una delusione imminente, un doppio gioco dell’amata, o non so che cosa.”
“Io trovo un po’ soffocante l’idea che il tuo pubblico – e soprattutto le persone che in minima parte ti conoscono, sanno dove abiti o magari ti hanno visto una volta al supermercato – siano sempre pronti a giurare che tutto ciò che racconti in realtà sia capitato a te che scrivi.”
“Non puoi farci niente, e lo sai perché? Molti dei tuoi più affezionati lettori sono convinti di essere nel loro piccolo degli scrittori, perché una volta magari hanno scritto una storiella sentimentale strappalacrime senza capo né coda, riproponendo fedelmente ciò che è successo a loro, cambiando al massimo il nome dei personaggi.”
“L’ahimè immortale Signora mia la mia vita è un romanzo...”
“Già. Mai, neppure per un istante, li ha sfiorati il dubbio che a nessuno possa importare alcunché di quella vicenda, mai si sono domandati se esiste una differenza sostanziale tra il diario segreto di un’adolescente e un racconto d’amore.”
“Vi ricordate il mio primo romanzo? La gente non sapeva neanche che faccia avessi... io racconto la storia di un intellettuale brillante, fascinoso, anche simpatico a suo modo ma forse un po’ burbero o timido, non so, senz’altro tormentato dall’abbandono della compagna…. Beh, molti lettori hanno istintivamente pensato che l’uomo fosse nient’altro che il mio autoritratto, seppure un po’ esaltato in alcuni aspetti. E non immaginate quanti amici mi hanno chiesto quale delle donne che avevo frequentato ultimamente mi potesse aver ferito in maniera così profonda... Che desolazione!”
“Sentite questa. Per liberarmi dall’angoscia di dover essere sempre visto all’interno dei miei romanzi, ebbi la geniale idea di utilizzare una donna come protagonista del libro. Mi sono anche sforzato di comprendere bene il punto di vista femminile della storia, di rendere al meglio i suoi rapporti con il marito, i figli, le amiche, il capoufficio... Beh, morale della favola, in tanti mi hanno chiesto se con quel gesto avessi voluto dichiarare la mia omosessualità.”
“Ma che ti stai a preoccupare... quel libro avrà venduto sì e no mille copie!”
“Dai, che la tua immagine di maschio è salva!”
“È quella dello scrittore, semmai, che ha perso colpi...”



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(Orizzonti n. 22 - agosto 2003).


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