| in occasione della III edizione della Biennale Internazionale di Fotografia
la Galleria delle Battaglie inaugura giovedì 12 giugno ore 18.00
INDIAN STILLS
di Carlo Bevilacqua
a cura di Mauro Corradini
Il tema di questa III edizione della Biennale, In Qualche Parte del Mondo, è la fotografia di viaggio “autoriale”. In questa occasione la Galleria delle Battaglie vi porta in India, attraverso gli intensi scatti realizzati da Carlo Bevilacqua in occasione di un lungo viaggio: “Sono le immagini di un paese con profonde trasformazioni in corso, che iniziava a cambiare pur rimanendo se stesso e che mi ha regalato divertimento, ha stimolato la mia curiosità e che ha fatto nascere amicizie alle quali sono ancora legato…” C.B.
Il frutto di questa esperienza è Indian Stills, una serie di trenta fotografie in bianco e nero, prevalentemente ritratti, realizzate utilizzando un banco ottico 10 x 12 e la pellicola Polaroid T 55 BN con recupero del negativo. La pellicola, non più in produzione, è riconoscibile dalla traccia lasciata dai materiali di protezione ai bordi dell’emulsione, successivamente digitalizzata e stampata su carta cotone. Le stampe sono state realizzate utilizzando inchiostri Epson Ultrachrome K3 con certificazioni di qualità di riproduzione e di durata a lungo termine, su carta Hahnemühle Photo Rag 308, un supporto al cotone 100% ad alta grammatura con PH neutro.
Ad ogni stampa realizzata viene associato un certificato di autenticità, per garantire e proteggere l'esclusività delle stampe prodotte.
Disponibile in galleria il catalogo della Biennale con testo critico di Mauro Corradini.
Indian stills inaugurerà giovedì 12 giugno h 18.00 e terminerà il 14 settembre.
La mostra rimarrà aperta nei seguenti orari:
lunedì: mattina chiuso / 16-19.30
martedì - sabato: 10.15-12.45 / 16-19.30
e su appuntamento
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Carlo Bevilacqua: Indian Stills
- Trenta immagini per l’India
Mauro Corradini
Nonostante l’indubbia funzione mimetica dell’immagine fotografica, ogni fotografia è la rappresentazione di ciò che non è qui e ora; è, per dirla in termini scontati e forse troppe volte utilizzati, la presenza di un’assenza. Tanto più si fanno cogenti queste riflessioni se le applichiamo alle immagini che Carlo Bevilacqua ha realizzato in India; sono ritratti, volti, figure; attenuati e condensati in poche immagini gli ambienti, mancano le forme, fastose e magiche, degli antichi luoghi di una civiltà millenaria. I FOTOGRAMMI INDIANI di Bevilacqua richiamano un mondo fatto di silenzi, di imperturbabile solennità; parlano di una forza interiore che travalica i tempi e giunge fino a noi dalle profondità della storia, che pochi segni esteriori (certe fogge, per esempio, certi particolari evidenziati) possono tentare di svelare.
Ma sono loro, sono i personaggi di queste fotografie, a voler sfuggire ad ogni condizionamento temporale, ad ogni cronologia; ci osservano dalla lontananza di una civiltà che ha dato loro i tratti, i segni, il portamento di una cultura che ci sfugge, ancorata come è ai ritmi interiori dell’animo, a negare la nostra superficialità, la nostra avventura economica che ha tutto modificato.
I modelli delle pose che il fotografo utilizza sono riconducibili a poche scelte: figure in piedi, riprese in ambienti quotidiani, spesso nei cortili interni, contro muri di mattoni senza intonaco, oppure ritratti, volti ravvicinati, che con fierezza e serietà si propongono per illustrare una storia. Posano per noi, senza quel folclore, che sovente trasforma tanti ritratti in cartoline turistiche.
Bevilacqua vuole fare entrare il lettore in una civiltà, antica almeno quanto la nostra, vuole che attraverso i silenzi di un’immobilità e di una staticità che le pose propongono emerga il senso antico di una cultura che sfugge ai dogmi della cosiddetta modernità. Entrerà certamente la nostra modernità; è già entrata; ma questi FOTOGRAMMI INDIANI ci introducono in una dimensione che scruta i secoli attraverso i volti, le pose, la pacatezza degli atteggiamenti, cerca di svelare la quieta grandezza di una dimensione di vita. Calmi e sereni erano gli dei dell’Olimpo greco; allo stesso modo, questi volti, anche quelli dei bambini, pur nella normale irrequietezza dell’età, sembrano rinviare a noi, lettori lontani, un senso di superiore armonia.
Solo in alcuni casi, di fronte al Deserto di Jaisalmer, per esempio, o nel cogliere la Città d’Oro(Jaisalmer,The Golden City ), che appare in lontananza come un miracolo della natura più che una costruzione degli uomini, di fronte alla mucca sacra che si muove liberamente nella quotidianità della vita o di fornte al Palazzo dei Venti (l’Hawa Mahal di Jaipur,) il paesaggio indiano entra in noi, viene attraverso il rigore del bianco e nero. Queste immagini appaiono come il segno di un fuori-di-noi, che tocca il nostro sentimento attraverso l’emozione di un fotografo, che si incanta di fronte alla sua visione.
Più spesso, Bevilacqua controlla ogni emozione; ferma la mano che vorrebbe cercare il colore ai mille incredibili colori che solo il bianco e nero possiede; articola lo spazio, lo dilata quanto più lo restringe, spinge il nostro sguardo ad indagare il silenzio pensoso di una Donna di Jaisalmer, ci ammutolisce con la figura venerabile di un Mahatma, scandisce per noi la profondità di uno sguardo che sembra portarci in un’India della nostra infanzia, tra il Ritratto di Rajput, la tensione emotiva di un Sâdhu, la fierezza incantata dei Rajput anche se nani. (Dwarf Rajput). Certo, sono le figure quotidiane, le Bambine che si accalcano contro il muro, non sai se per difendersi nell’unione o per entrare nel rettangolo magico che fisserà i loro visi, è la Bambina seduta sul muretto, all’inizio di una scalinata e ti guarda con lo sguardo fermo di una grande attrice, è l’anziano rinvigorito con la sua bicicletta, o la Donna che tiene in ordine un piccolo ma sacro cortile, a trascrivere il senso di una quotidianità che sembra sfuggire ad ogni cronaca, per trasportarci di colpo nella storia.
In questo senso, la fotografia tanto rappresenta un qui e ora lontano dal nostro sguardo, quanto sintetizza un’idea, una forma, che è nella mente del fotografo; che riesce attraverso il rigore, il ritmo pacato, la simmetria e la misura di una classicità ritrovata, a farci assaporare un luogo, accostarci ai personaggi di una storia che quanto più avviciniamo, tanto più sembra allontanarsi nella profondità di un desiderio e nell’incanto di un’emozione.
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