| Aut insanit homo aut versus facit! L’uomo o impazzisce o scrive versi! La frase, di valenza stoica, è contenuta in una satira oraziana ed è pronunciata dal servo Davo durante una festa orgiastica in onore di Saturno. Davo la indirizza ad Orazio con valore di reprimenda. La frase, tra l’altro, tende a mettere in risalto la follia dei poeti come diretta derivazione e dono degli dei, di Dio.
Lo scrivere versi è comunque considerato l’unica difesa del poeta per non impazzire veramente, tenedo conto della diversa dimensione, (spesso astratta, spesso fantastica) in cui vive.
Ho anteposto questa isagoge, perché mi sento spesso in una diversa dimensione, ma senza la minima, arrogante, cinica presunzione che sia quella giusta! Ciò mi semplicemente accade! È terribile tentare di dialogare con qualcuno e non riuscire a comunicare, seppur nel più semplice dei modi! È altrettanto terribile essere attaccati, vilipesi da un mondo troppo assorto nel mero edonismo, per parole o assunti che poi il tempo dimostrerà azzeccati vaticini!
Certo, uno psicoterapeuta tenterebbe in tutti i modi di inficiare questi asserti, ma lui non è un poeta! E allora, quale animico, miglior palliativo se non il monologo interiore, che si trasforma poi in dialogo virtuale con entità terze? Ma anche questo sembra poi non bastare ed allora bisogna trasformare il dialogo interiore in esteriore, ovvero il palliativo in para-panacea e, questo, scrivendo.
L’auspicio è quello che il messaggio approdi ad anime che vivano nella stessa dimensione, ove regnino introspezione, sensibilità, sentimento, fantasia!
Concludendo, la poesia è per me una sorta schopenhaueriano Velo di Maya, ovvero l’illusione, il sogno, una rappresentazione del mondo che esiste, forse, solo nella mia coscienza, ma che dal prosaismo del mondo transitoriamente mi separa.
Collana "Gli Emersi - Poesia"
pp.96 €14.00
ISBN 978-88-7680-356-7
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