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28 APRILE 2023

 

 



 

 

 

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Info sull'Opera
Autore:
Sofocle
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

FINE DI FILOTTETE.

di Sofocle

FINE DI FILOTTETE.
EDIPO A COLONO

PERSONAGGI

EDIPO.
ANTIGONE.
UN PASSEGGIERO.
CORO DI VECCHI DI COLONO.
ISMENE.
TESEO.
CREONTE.
POLINICE.
UN NUNZIO.


Scena, campagna nell'Attica presso Colono Equestre
Nel fondo rupi e il bosco delle Eumenidi.

EDIPO A COLONO

EDIPO e ANTIGONE.

EDIPO.
Di cieco vecchio, o Antigone, figliuola,
A qual contrada, o a qual città venimmo?
Chi d'alcun picciol dono oggi il ramingo
Edipo sovverrà, che poco cerca,
E men del poco anco riceve? E questo
Pur basta a me; chè d'acquetarmi a tutto
Le sventure m'insegnano, e la lunga
Età compagna, e il forte animo mio. -
Ma tu, figlia, se vedi un qualche seggio
In alcun loco, o sia profano, o bosco
Sacro agli dei, pommi a posar sovr'esso,
Chè indagar possiam quindi ove mai siamo.
Stranieri noi, da chi vi sta saperlo
Vuolsi, e conforme a quanto udrem, far poi.
ANTIG.
Misero padre, al veder mio, le torri
Che alla città fan cerchio, ancor son lungi.(112)
Sacro appar questo loco esser di certo;
Folto è di lauro, olivo e vite; e molti
Cantano lusignuoli entro la frasca.
Qui adágiati a seder sovra di questa
Grezza pietra: già fatto hai cammin lungo
Per gli anni tuoi.
EDIPO.
Sì ben, m'assetta, e cura
Abbi di questo cieco.
ANTIG.
Egli è già tempo
Che ciò più d'imparar non m'è bisogno.
EDIPO.
Sai dirmi ove giungemmo?
ANTIG.
In suol d'Atene;
Ma non so questo loco.
EDIPO.
Ogni uom per via
Esser questa dicea l'Attica terra.
ANTIG.
Deggio andar quinci intorno a domandarne?
EDIPO.
Sì, figlia; ed anco se abitar qui lice.
ANTIG.
Abitanti v'ha certo... Or ve', che altrove
Cercar, cred'io, più non accade. Io veggo
Quest'uom fárnesi presso.
EDIPO.
A noi vien egli?
ANTIG.
Presente è già. Ciò che saper ti giova,
A lui stesso lo chiedi: eccolo, ei t'ode.

EDIPO, ANTIGONE e un PASSEGGIERO.

EDIPO.
Ospite, udendo io da costei che vede
Per sè stessa e per me, come opportuno
Vieni ciò che ignoriamo ad insegnarne....
PASSEGG.
Via di costà, pria di più dir parola.
In suol tu sei, che calpestar non lice.
EDIPO.
Qual loco è questo? A qual de' numi è sacro?
PASSEGG.
Loco egli è invïolabile: v'han seggio
Le terribili dive, della Terra
E dell'Erebo figlie.(113)
EDIPO.
Udir ne posso,
Ad invocarle, il venerando nome?
PASSEGG.
Onniveggenti Euménidi le appella
Il popol qui; piace altro nome altrove.
EDIPO.
Deh me, supplice lor, benignamente
Accolgan esse! Io più non parto ormai
Da questa terra.
PASSEGG.
E come ciò?
EDIPO.
Destino
È a me prefisso.
PASSEGG.
Io, per voler mio solo,
Di qua trarti non oso. Avviso darne
Vo' alla città, che in tale affar provegga.
EDIPO.
Deh, per gli dei! deh non avermi a vile,
Me profugo errabondo; e d'un'inchiesta
Non negar satisfarmi.
PASSEGG.
Or ben, l'esponi.
Chiaro sarai ch'io non ti tengo a vile.
EDIPO.
Di': quale è il loco, ove siam giunti, in somma?
PASSEGG.
Quanto è noto a me stesso e tu saprai. -
Sacro il loco egli è tutto. Il gran Nettuno
Tienlo, e il divino portator di face
Titano Prometéo.(114) Nel suol che premi,
Quella pur v'ha, che rámea soglia è detta,
Firmamento d'Atene.(115) Il circostante
Paese aver l'origin sua si pregia
Dall'illustre Colono,(116) ed appellato
Tutto è da lui; nè di parole solo;
Ha di fatto, e più ancora, onore e culto.
EDIPO.
Havvi in esso abitanti?
PASSEGG.
Havvi; ed han nome
Dal dio del loco.
EDIPO.
Un solo è qui che regga,
O ne' molti è il potere?
PASSEGG.
È qui reggente
Quei che regna in Atene.
EDIPO.
E chi possanza
Quivi, e voce ha di re?
PASSEGG.
Téseo si noma,
Figliuol d'Egéo.
EDIPO.
N'andrebbe a lui qualcuno
A dir ch'egli qui venga?
PASSEGG.
A qual mai fine
Far si dee che ne venga?
EDIPO.
A fin che poco
A me prestando, utile ei n'abbia assai.
PASSEGG.
Ma qual d'uom che non vede, util può trarsi?
EDIPO.
Quanto io dirò sarà veggente e chiaro.
PASSEGG.
Or sai tu che far devi, o peregrino,
A non errar? Poi che, al vederti, aspetto
Anco in misera sorte hai d'uom gentile,
Tienti fermo ove sei fin ch'io n'avvisi
Il popolo qui, non quel d'Atene; e questi
Giudicheran se andarne o star dovrai.
EDIPO.
Dimmi, o figlia: partito è il passeggiero?
ANTIG.
Partito egli è: fidatamente, o padre,
Tutto dir puoi; ti son dappresso io sola.
EDIPO.
? O terribili dive, oh venerande,
Poi che in questo di voi sacro terreno
Io posai primamente, avverse a Febo
Deh non siate, ed a me! Quando quel dio
Miei tanti guai vaticinommi, il fine
Mi promise al soffrir, se giunto fossi
Ospizio e sede a ritrovar nel suolo
Di voi tremende dee, quivi chiudendo
La mia misera vita, autor di bene
A quei che m'accorranno, e di sventura
A chi scacciommi; e pronunziò segnali
Dell'evento o tremuoto, o lampi, o tuono.
Or m'avveggo ben io che a questo bosco
(Dubio non evvi) il fido auspicio vostro
Condotto m'ha; chè non per caso a voi,
Astemie dive, astemio anch'io venuto
Or dapprima sarei,(117) nè assiso in questa
A voi sacra e da fabro intatta pietra.
Dunque, o dee, voi di vita un qualche fine,
Giusta d'Apollo i vaticinii, un qualche
Scioglimento a me date, ov'io men degno
Pur non vi sembri, io da travagli afflitto
Duri più che l'uom possa. Oh miti figlie
Dell'Erebo vetusto! Oh più di tutte
Glorïosa città che il nome porti
Della massima Pallade, vi prenda
Pietà di questa grama ombra d'Edípo;
Ombra, poi ch'altro io più non sono...
ANTIG.
Or taci!
Vengon vecchi a spiar dove tu segga.
EDIPO.
Io tacerò: ma tu di qui sottrammi
Nel bosco, in parte ov'io nascoso intenda
I detti lor. Nel ben saper le cose
Sta il non fallace riuscir dell'opre.
(entra con Antigone nel bosco)

CORO.

Strofe.


Osserva, esplora.
Chi mai sarà? Dov'ora
Sta costui? Di qua mosso, ove condotto
S'è quest'uomo d'ogni uom più tracotante?
Guarda, spia da per tutto.
Certo, è straniero errante,
Incola, no; chè mai non avría messo
Il piè nell'inaccesso
Luco di queste Vergini temute,
Cui nomar noi tremiamo, e via veloce-
mente passiam, volto lo sguardo altrove,(118)
Mormorando con mute
Labra fauste preghiere in muta voce.
Pur quivi udii ch'or muove
Uom che alcuna non ha religïosa
Di lor temenza; ed io
Che in tutto il bosco invío
L'occhio per entro, scorgere
Ancor non posso ove colui si posa.

EDIPO, ANTIGONE mostrandosi dal bosco e CORO.

EDIPO.
Ecco, quel desso io sono.
Io della voce al suono
I vostri detti ho visto.
CORO.
Oh tristo objetto, oh tristo
A vedersi, ad udirsi!
EDIPO.
Io vi scongiuro:
Me d'empietade impuro
Deh non tenete!
CORO.
? Oh fausto Giove, or quale,
Qual è mai questo vecchio?
EDIPO.
Un che beato
Non è di bello stato,
O primati del loco; e n'è segnale,
Che per via non andrei con gli occhi altrui,
Nè qua starei per chiedere
Picciol favore, io che già grande fui.

Antistrofe

CORO.
Oh! d'occhi spento
Se' tu dal nascimento,
E, qual sembri, d'età carco, e di guai?
Quanto è in me, non di mali altri funesti
Tuoi mali or crescerai.
Ma troppo in là scorresti,
Troppo col piè. Non t'inoltrar nel fosco
Tacito orror del bosco;
Là non andar dove un cratere è posto,
Con che fansi di mulsa i libamenti:
Di ciò guárdati bene, o peregrino!
Via di là!... Ma discosto
Molto sei per udirmi. Or di': li senti
I miei detti, o meschino? -
Se da te meco ragionar si vuole,
D'onde restar non lice,
Esci tosto, o infelice,
E in loco a tutti libero
Vieni; ma pria non m'addrizzar parole.
EDIPO.
? Figlia, che far degg'io?
ANTIG.
Cedere, o padre mio,
Di queste genti al salutar consiglio.
EDIPO.
Per man pigliami dunque.
ANTIG.
Ecco, ti piglio.
EDIPO.
? Ospiti, io cedo a voi;
Ma, fuor tornato, ingiuria e danno alcuno
Deh non me n' venga poi!
CORO.
No: di qui mal tuo grado
Non ti trarrà nessuno.
EDIPO.
(uscendo dal bosco)
Inanzi ancor ne vado?
CORO.
Più t'avanza.
EDIPO.
Più ancora?
CORO.
? Oltre procedi,
Giovinetta, che bene intendi e vedi.
ANTIG.
Segui, o padre; a' miei passi obedïente
Movi il debile piè. Stranier tu sei
In estrania contrada, o sventurato.
Ciò che in odio ha sua gente,
Odia tu pur con lei;
Quanto ella ha caro, a te pregiar sia grato.
EDIPO.
Or ben, figlia, m'adduci ove con pia
Osservanza ne sia
Dire e udir conceduto; e con la legge
Non pugniam, che qui regge.
CORO.
Sta'; nè da questo sasso
Muover più retro il passo.
EDIPO.
Qui sto?
CORO.
Sì, basta.
EDIPO.
E sederò?
CORO.
Lì, sopra
Quello ch'è a te vicino,
Sedil basso di pietra, inchina il fianco.
ANTIG.
Mia d'assettarti è l'opra.
Pianamente t'adagia,
Piede a piede giungendo...
EDIPO.
Ohimè tapino!
ANTIG.
Nell'amorose mie braccia lo stanco
Tuo corpo or piega...
EDIPO.
Oh sorte mia malvagia!
CORO.
Misero, or quando a' detti miei cedesti,
Di' chi sei, qual nascesti;
Perchè ne vai sì travagliato, e quale
È il tuo terren natale.
EDIPO.
Esule io son... Ma deh, no no!...
CORO.
Tu nieghi
Ciò narrarne? perchè?
EDIPO.
Deh, chi son io,
No, non cercar; deh non voler ch'io spieghi
Qual gramo stato è il mio!
CORO.
Che sarà?
EDIPO.
Tristo nascimento...
CORO.
Or via,
Parla.
EDIPO.
? Ohimè! figlia mia,
Che mai dirò?
CORO.
Di qual tu sei famiglia,
Quale il tuo genitor, dinne, o straniero.
EDIPO.
? Che fo, me lasso, o figlia?
ANTIG.
Apertamente il vero
Narra, poi che a tal punto
Già col parlar sei giunto.
EDIPO.
Io dirò... se celar più non m'è dato...
CORO.
Troppo tu indugi. Orsù, t'affretta.
EDIPO.
Udiste
D'un che di Lajo è nato?...
Coro.
Oh rimembranze triste!
EDIPO.
Della schiatta di quei
Di Làbdaco nepoti?...
CORO.
Oh Giove!
EDIPO.
Il molto
Miserabile Edípo?
CORO.
E quel tu sei?
EDIPO.
Non temete però.
CORO.
Deh deh, che ascolto!
EDIPO.
Lasso!
CORO.
Deh deh!
EDIPO.
? Figlia, or di me che fia?
CORO.
Via di qua tosto, via!
EDIPO.
Quel che promesso m'hai
Così tu l'atterrai?
CORO.
Reo non si fa chi prima offeso offende.
Fraude alla fraude opposta
Piacer non già, ma duolo
Al primo autor ne rende.
Ratto di qua ti scosta;
Fuggi da questo suolo;
Che la presenza tua guai non appresti
Alla mia patria infesti.
ANTIG.
Oh ospiti clementi,
Deh almen, se non soffrite
Porgere all'opre involontarie orecchio
Di questo cieco e vecchio
Mio genitor, deh almen pietà sentite,
Di me infelice, o vereconde genti!
Di me che sol per questo padre mio
Supplice prego, i miei
Non ciechi occhi ne' vostri occhi affisando
Qual del vostro foss'io
Sangue pur nata. Ah d'alcun pio rispetto
Il misero degnate!
In voi posiam come in benigni dei.
Deh sì, deh n'accennate
L'insperato favor; da te l'imploro
Per ciò che a te diletto
È di più caro affetto,
Figlio, o sposa, o alcun nume o alcun tesoro!
Ben guarda pur se sai,
E in ben guardar vedrai
Che sfuggir per sua possa alcun mortale,
Se il tragge un dio, non vale.
CORO.
Sappi, o figlia d'Edípo; abbiam del pari
Di te pietade, e di quest'uom, per tanta
Sventura vostra; ma 'l timor de' numi
Fa che dir non possiamo oltre il già detto.
EDIPO.
Oh che giova di gloria e d'onor fama
Diffusa a caso? Esser si dice Atene
Piissima città, sola per vanto
D'accogliere e salvar gli sventurati
Ospiti, e sola a sovvenirli pronta
Di conforto e d'aíta; or dove sono
Sì bei pregi per me, se voi rimosso
D'onde io stava, m'avete, e novamente
Via di qui mi cacciate, paventosi
Del sol mio nome? - il mio nome temendo,
Non la persona e l'opre mie; chè l'opre
D'altri fûr contra me ben più che mie,
Se del padre dovessi e della madre
Ogni cosa narrarti, onde ribrezzo
So ch'hai di me. Come son io malvagio,
Che offeso prima, offesi poi? Se ancora
Consapevol di tutto oprato avessi,
Reo non sarei; ma d'ogni cosa ignaro
Io ne venni a che venni, e da coloro,
Per cui tanto soffersi, io fui dappria
Di lor proprio scïente a morir dato. -
Ospiti, deh per gli dei ve ne priego!
Di là tolto m'avete; or mi salvate.
Se a cuor vi sta l'onor de' numi, i numi
Non ponete in non cale; e vi rimembri
Ch'essi tengon lo sguardo al par su 'l pio
E su l'empio mortale, e che mai scampo
L'uomo ingiusto non ha. Con opre inique
Non offuscar la glorïosa Atene;
E se me supplicante ricevesti
Nella tua fede, or m'assecura. A sprezzo
Non ti muova di me questo a vedersi
Deforme capo; e sacro io vengo, e pio;
Ed util reco a queste genti. Or quando
Quel signor qui sarà, che voi governa,
Tutto dirò; tutto saprai; ma intanto
Non farti a me cattivamente avverso!
CORO.
Agli argomenti tuoi, vecchio, m'è forza
Aver rispetto: il tuo parlar non lievi
Cose accennò. Basta per me che conto
Fatto ne sia di questa terra il sire.
EDIPO.
Quei che qui regge, ove soggiorna?
CORO.
Ha stanza
Nella patria città. L'uom che a noi prima
Venía nunzio di te, mosse a chiamarlo.
EDIPO.
Credete voi che alcun pensiero, alcuna
Cura d'un cieco avrà, tal che pur voglia
Venirne a lui?
CORO.
Sì, non v'ha dubio, udendo
Il nome tuo.
EDIPO.
Chi saprà dirlo ad esso?
CORO.
Via lunga hai fatto, e il favellío di quanti
Vengono e van, suol propagarsi: anch'egli
Udrà nomarti, e qui l'avrai; t'affida.
Molto, o vecchio, il tuo nome è fra le genti,
Sì che se lento il piè movesse ei pria,
Affretterà, tosto che l'oda, il passo.
EDIPO.
Deh venga fausto alla sua patria, e fausto
A me! Qual savio il proprio ben non ama?
ANTIG.
? Giove! o che dir, che pensar deggio, o padre?
EDIPO.
Antigone, che fia?
ANTIG.
Donna qua veggo
Ratta venir sovra giumenta Etnéa. -
Un cappello Tessalico alla fronte
Le fa ombrello dal Sole...(119) E che? m'inganno?
È dessa?... o no? Parmi e non parmi... Incerta
Non so, lassa! che dirmi... Oh sì, ch'è dessa,
Dessa è, non altra. All'appressar, dagli occhi
Dolcemente m'arride, e manifesta
Che Ismene al certo, Ismene sola è quella.
EDIPO.
Che dici?
ANTIG.
Sì, la figlia tua, la mia
Sorella io veggo. Or tu n'udrai la voce.

EDIPO, ANTIGONE, CORO e ISMENE con un servo.

ISMENE.
Oh come grato è il salutarvi entrambi,
Padre e sorella mia! Quanta ebbi pena
Per ritrovarvi; e quanta pena or poi
M'è il vedervi così!
EDIPO.
Sei tu, mia figlia?
ISMENE.
Padre infelice!
EDIPO.
Oh mia fraterna prole!
ISMENE.
Oh tristo stato!
EDIPO.
E infino a qui sei giunta?
ISMENE.
Sì; non senza travaglio.
EDIPO.
Or via, m'abbraccia.
ISMENE.
Ambo insieme v'abbraccio.
EDIPO.
Oh sorte ria
Di me, di questa...
ISMENE.
E di me pur con voi!
EDIPO.
Figlia, e a che vieni?
ISMENE.
Io per te vengo, o padre.
EDIPO.
Di me bramosa?
ISMENE.
E nuove cose io stessa
A dir ti vengo in compagnia di questo
Sol mio fido famiglio.
EDIPO.
E que' garzoni
Fratelli tuoi, dove in facenda or sono?
ISMENE.
Son dove sono. È guaio assai fra loro.
EDIPO.
Oh que' due come in tutto accomodata
Alle usanze d'Egitto han lor natura
E del vivere i modi!(120) Ivi seduti
Stanno gli uomini in casa a tesser tele,
E fuor le donne a procacciar ne vanno
Ciò che al vitto fa d'uopo. E tra voi, figli,
Quei che imprender dovrían queste fatiche,
Racchiusi stan, come pulcelle; e voi
In vece lor vi sobbarcate il peso
De' miei mali a portar. L'una da quando
Uscía d'infante, e alcun vigor prendea,
Sempre, misera, meco ramingando,
Mena il vecchio, e digiuna, e col piè scalzo
Aspri dumi calcando or sotto spesse
Piogge, or del Sole alle cocenti vampe,
L'infelice degli agi di sua casa
Stima non fa perch'abbia vitto il padre. -
E tu, figlia, solevi al padre tuo,
Di nascoso a' Cadmei, venir portando
Gli oracoli che dati eran dal nume
Per la persona mia; poi di me cura
Amorosa prendesti allor ch'espulso
N'andai di Tebe. Ed or qual nuova al padre
Vieni, Ismene, a recar? qual cagion grave
Fuor ti spinse di casa? A me non vieni
Recatrice di nulla; io ben m'avveggo:
Qualche messaggio di terror tu porti.
ISMENE.
Quant'io penai per rintracciarti, o padre,
Or non dirò; chè raddoppiar non voglio
Il dolor col narrarlo. Io d'ambo i tuoi
Miseri figli a raccontar ti vengo
Le presentii sventure. - Era dappria
Lor concorde pensiero il regal seggio
A Creonte lasciar, nè volean Tebe
Contaminar, considerando l'onta
Che tutta prese ed infestò la tua
Infelice progenie. Or poi da qualche
Nimico nume o da perversa mente
In que' sventuratissimi s'infuse
Una rea gara, un mal desío d'impero
E d'abbrancar la regia possa. Ed ecco,
Il minor d'anni già sbalza dal trono
Il maggior Polinice,(121) e fuor di Tebe
Anco il cacciò. Questi, siccome è grido,
Andò profugo ad Argo, e quivi stringe
Parentado novello, e si collega
Un esercito amico, ond'Argo in breve
O de' Tebani avrà trionfo, o Tebe
Poggiar farà vittorïosa al cielo. -
Queste, o padre, non son parole a caso:
Fatti son tristi. Or quando i numi e come
Poi de' tuoi stenti avran pietade, ignoro.
EDIPO.
Ma tu speranza avesti mai che i numi
Prender voglian di me cura qualcuna,
Sì ch'io salvo mai sia?
ISMENE.
Sperar me 'l fanno
Or gli oracoli, o padre.
EDIPO.
E quai son essi?
Che predisser di me
ISMENE.
Ch'estinto o vivo
Cerco sarai dalle tebane genti
Per lor salvezza.
EDIPO.
E qual da me vantaggio
Potrian essi ritrarre?
ISMENE.
In te di quelli
Detto è che tutta la possanza è posta.
EDIPO.
Quando nulla io più sono, allor son uomo?
ISMENE.
T'alzan gli dei che te prostrato han pria.
EDIPO.
Uom che giovine cadde, inutil cosa
Rialzarlo in vecchiezza.
ISMENE.
E sì, Creonte,
Sappi, a quest'uopo a te verrà fra poco.
EDIPO.
Che a far verrà? Ciò ben mi spiega, o figlia.
ISMENE.
A fermarti sì presso al suol Cadmeo,
Ch'entro a quel tu non passi, e in lor potere
Pur t'abbiano i Tebani.
EDIPO.
A lor qual viene
Util da me fuor di lor suol giacente?
ISMENE.
Grave ad essi saría che tu di tomba
Privo restassi.
EDIPO.
Anco no 'l dica un nume,
Ben ciò intende ciascuno.(122)
ISMENE.
Ond'è che presso
Ti vogliono a lor terra, e non lasciarti
Di te stesso in balía.
EDIPO.
Ma copriranno
Poi questo corpo di tebana polve?
ISMENE.
Ciò non t'assente, o genitor, lo sparso
Cognato sangue.
EDIPO.
Or ben, non sia che mai
M'abbian essi a lor voglie.
ISMENE.
Assai fia questo
Grave a' Cadmei.
EDIPO.
Per qual evento, o figlia?
ISMENE.
Per l'ira tua, quando verranno al loco
Della tua sepoltura.
EDIPO.
E quanto or dici,
Da chi udito l'hai tu?
ISMENE.
Da quei che l'ara
Furon di Delfo a consultar mandati.
EDIPO.
Febo di me tal diè presagio?
ISMENE.
A Tebe
L'han riferto i legati.
EDIPO.
E de' miei figli
L'udía qualcuno?
ISMENE.
Ambo del paro; e il sanno.
EDIPO.
Tristi! ciò sanno, ed all'amor del padre
Antepongono il regno?
ISMENE.
Io ben n'ho duolo;
Pur l'annunzio te n' porto.
EDIPO.
Oh la fatale
Non estinguan gli dei lite fraterna!
Oh! in me posto pur fosse il fin di questa
Pugna, onde or l'asta un contra l'altro inalza;
Chè nè colui che scettro o soglio or tiene,
No 'l terría più, nè ritornar più in Tebe
Potrebbe mai quei che n'usciva. Iniqui!
Che a me, lor padre, dalla patria espulso
Infamemente, non prestâr soccorso,
Nè difesa: di mia sede cacciato,
Lor permettenti, e sbandeggiato io fui. -
Dirai che la città fe' pago allora
Il voler mio. - No, no: quando quel primo
Giorno mi ribollía l'animo, e m'era
Assai dolce il morir, dolce pur anco
Lapidato morire, allor nessuno
Quella mia brama a far contenta apparve:
Quando poi quel dolor disacerbossi,
E conobbi che l'ira in me trascorsa
Era già con la pena oltre la colpa,
Tardi allor poi fuor la città cacciommi
Della sua terra; e quei che al padre allora
Potean porger soccorso, i figli miei,
Far no 'l vollero; ond'io per lo negato
Lieve favor di poche lor parole
Vo mendico esulando. Io ben da queste
Che fanciulle pur son, tutto ho che darmi
È possibile a lor, vitto e securo
Ricovro e ogni altro filïal conforto;
Ma quei preposto hanno al lor padre il trono,
Lo stringer scettro e il dominar. No; mai
Me fautor non avranno; e di cotesto
Tebano impero util nessuno ad essi
Mai non verrà: ben me n' fo certo, udendo
Or da costei nuovi presagi, e meco
Ripensando gli antichi a me da Febo
Dati un giorno, e compiuti. Or qua coloro
Mandin pure o Creonte o s'altri è in Tebe
D'autorevol possanza, a ricercarmi:
Se voi, ospiti, a me, con le qui culte
Dee tremende, vorrete esser tutela,
Grande a questa città procaccerete
Salvezza, e danni agl'inimici miei.
CORO.
Ben di pietà sei degno, Edípo, e queste
Tue figlie anch'esse. Or io, poi che te stesso
Di nostra terra salvator prometti,
A te dar voglio un utile consiglio.
EDIPO.
Parla, o caro. Ogni cosa a far son presto.
CORO.
Queste dive propizia, a cui venuto
Sei primamente, e il suol col piè n'hai tocco.
EDIPO.
In qual modo? Me 'l dite.
CORO.
In pria le sacre
Vive aque attingi di perenne fonte
Con pure asterse mani.(123)
EDIPO.
E poi che attinta
N'avrò la limpid'onda?
CORO.
Havvi crateri,
Opra d'industre artefice: tu l'orlo
Ed ambe l'anse cingerai...
EDIPO.
Di fronde?
O ver di lane? o di che mai?
CORO.
Del vello
D'una tenera agnella appena raso.
EDIPO.
E che deggio far poi?
CORO.
Far libamenti,
Vôlto la faccia all'orïente.
EDIPO.
E deggio
Quelle tazze libar, ch'or ne dicevi?
CORO.
Libarne tre; tutta versar la terza.
EDIPO.
Ma di che questa empiuta avrò? m'insegna.
CORO.
D'aqua e di miele; e non vi mescer vino.
EDIPO.
E poi che aspersa ne sarà la terra?
CORO.
Tre volte nove ad ambo i lati in essa
Porrai rami d'olivo,(124) e queste preci
Proferirai...
EDIPO.
Vo' queste udir; chè d'alto
Momento è ciò.
CORO.
Poi che il benigno nome
Diam d'Eumenidi a lor,(125) benignamente
Ad accôrre e salvar te supplicante
O tu stesso le prega, o ver qualch'altri
In vece tua, ma con socchiuse labra
A bassa voce; e ritornar poi dêssi
Senza volgersi addietro. Io di te cura
Prenderò, se fai questo, arditamente;
Se ciò non fai, che mal t'avvenga io temo.
EDIPO.
? Figlie, udiste di questi ospiti il detto?
ANTIG.
Udimmo: or di' che far si dee.
EDIPO.
Non posso
Ciò compier io, di due sventure afflitto:
Non aver lena, e non veder. Là vada
L'una di voi le commandate cose
Ad eseguir. Basta, cred'io, per molte
Una sola persona, ove s'adopri
Con benevolo zelo. Or tosto all'opra;
Ma qui me solo non lasciate intanto.
Muover piè non poss'io senza sostegno
E senza guida.
ISMENE.
Io compirò quel rito.
Sol dove io trovi il designato loco,
Intender bramo.
CORO.
Oltre costà nel bosco.
E se cosa, o donzella, ivi ti manca,
Evvi a cui tu ne chieda.
ISMENE.
Io là m'avvío. -
Antigone, tu cura abbi del padre,
Di quanto a pro' de' genitori suoi
Altri mai fa, nè rimembrar pur dee. (parte)

Strofe I.

CORO.
È dura cosa in vero
Svegliar doglia da tempo ormai sopita;
Ma una brama, o straniero,
Me di sapere incíta...
EDIPO.
Che mai?
CORO.
Qual cupo e pertinace in cuore
Mostri nudir dolore.
EDIPO.
Deh per le tue cortesi
Ospitali accoglienze, or deh l'orrende
Non voler ch'io palesi
Mie patite vicende!
CORO.
Diverso e molto e non cessante mai
Il grido è de' tuoi guai.
Or da te udirne raccontar mi piace
Il racconto verace.
EDIPO.
Ohimè!
CORO.
Sì, narra; io te ne prego.
EDIPO.
Ahi ahi!
Coro.
Cedi! A' desiri tuoi
Facili siam pur noi.

Antistrofe I.

EDIPO.
Enormi oprar sostenni,
Opre enormi, egli è ver; ma i numi attesto:
A ciò non conscio venni:
Nulla voll'io di questo.
CORO.
Di che?
EDIPO.
Me ignaro avvinse Tebe in sozze
Abominande nozze.
CORO.
Forse che tu, siccome
Udii, giacendo alla tua madre a lato,
Hai di nefando nome
Il tuo letto macchiato?
EDIPO.
Ohimè! morte è l'udire, ospite mio,
Fatto membrar sì rio. -
E le due che qui vedi, o sciagurate!
Ambe di me son nate.
CORO.
Che dici?
EDIPO.
Sì; di me son prole.
CORO.
Oh Dio!
EDIPO.
Parto ambe son di madre
Commune a lor col padre.

Strofe II.

CORO.
Oh! figlie tue son elle?
EDIPO.
Figlie, e del loro genitor sorelle.
CORO.
Oh tristo caso!
EDIPO.
Oh cumulo di tristi
Casi!
CORO.
Tu in ver soffristi...
EDIPO.
Atroci guai.
CORO.
Ma reo pur sei...
EDIPO.
Non sono.
CORO.
Come?

Di Tebe un dono
Quello si fu, che i beneficj miei
Non meritâr da lei.

Antistrofe II.

CORO.
Ma tu, infelice, hai spento...
EDIPO.
Che dici? o ch'altro hai di saper talento?
CORO.
Il padre?
EDIPO.
Ahi ahi! di nuovo duol tu infesti
Il cuor mio.
CORO.
L'uccidesti?
EDIPO.
Sì; ma...
CORO.
Che intendi?
EDIPO.
Ha da giustizia il fatto
Sua scusa.
CORO.
Or come?
EDIPO.
Io tratto
Fui dal caso all'eccidio, ed inscïente,
Son per legge innocente.
CORO.
? Ecco il figlio d'Egéo, Téseo re nostro,
Che da te domandato a noi se n' viene.

TESEO, EDIPO, ANTIGONE e CORO.

TESEO.
Già udito avendo assai parlar di tue
Accecate pupille, io ti ravviso,
Figlio di Lajo; e lo saperti or poi
Qua venuto, più certo anco me n' rende.
Sì; quest'arredo tuo, questo tuo squalido
Capo, chi sei, chiaro ne dice; ed io
Mosso a pietà di te, misero Edípo,
Chiederti vo' di qual favore Atene
E me vieni a pregar, tu, dico, e questa
Tua misera compagna. Or fa' ch'io 'l sappia.
Una in ver chiederesti assai gran cosa,
Ch'io prestar ti negassi. Anch'io straniero,
Come tu, crebbi in terra estrana, e quanti
Uom più puote, durai perigli errando,
Sì che a profugo alcun, quale or tu sei,
Non mi terrò di dar soccorso. Io pure
Ben mi so d'esser uomo, e che il domani
Non è per me più che per te securo.
EDIPO.
Téseo, la generosa indole tua
Con un breve parlare a me concede
Uopo aver teco di favella breve.
Chi son io, di qual padre, e d'onde venni,
Già tu dicesti: a me riman null'altro
Che palesar quel ch'è mia brama, e basta.
TESEO.
Fa' ch'io l'intenda.
EDIPO.
A darti io vengo in dono
Il mio misero corpo; alla veduta,
Non pregevole in ver; ma il ben che apporta,
Pregio ha miglior che la persona bella.
TESEO.
Qual bene or vanti a noi venir portando?
EDIPO.
A suo tempo il saprai: non testè, forse.
TESEO.
Quando di questo si parrà l'effetto?
EDIPO.
Poi che il morto mio corpo entro la tomba
Composto avrai.
TESEO.
Ciò della vita il fine
Risguarda; e quanto arco rimane in mezzo,
O l'obliasti, o in verun conto il tieni.
EDIPO.
Tutto per me, tutto è in quell'opra accolto.
TESEO.
Favor lieve mi chiedi.
EDIPO.
Affar non lieve,
Guarda, quest'è.
TESEO.
Per li tuoi figli, intendi,
O per me?
EDIPO.
Ritornarmi a forza in Tebe
Cercan coloro.
TESEO.
E se lor voglia è questa,
A te profugo andar non si conviene.
EDIPO.
Ma quando in Tebe io rimaner volea,
Conceduto ei non l'hanno.
TESEO.
Oh malaccorto!
Serbar rancore in mezzo a' guai non giova.
EDIPO.
Ascolta prima, ed ammonisci poi.
TESEO.
Parla; è ver: non instrutto io tacer deggio.
EDIPO.
Atroci mali ad altri mali aggiunti
Io soffersi, o Teséo.
TESEO.
Forse l'antico
De' genitori infausto caso accenni?
EDIPO.
No: di quello ogni lingua in Grecia parla.
TESEO.
Di qual sopra le umane altra sventura
Afflitto sei?
EDIPO.
Questo m'avvien, ch'espulso
Fui dal patrio mio suol da' proprj figli
Nati di me; nè più tornarvi mai,
Quale a reo parricida, emmi concesso.
TESEO.
Or come ad abitar da lor disgiunto
Richiamarti vorranno?
EDIPO.
A ciò gl'incíta
Un divino responso.
TESEO.
E di qual danno
Temer li fan gli oracoli?
EDIPO.
Che ad essi
Fato è in questa contrada esser percossi.
TESEO.
Fra quelli e me qual sorger può contesa?
EDIPO.
Figlio amato d'Egéo, vecchiezza e morte
Soli ignoran gli dei; le umane cose
Tutte tramesce onnipossente il tempo.
Della terra e de' corpi infìevolito
Langue il vigor; muore la fè; germoglia
La slealtade, e mai lo spirto istesso
Mai costante spirò fra genti amiche,
Fra cittade e città. Ciò che piacea,
A chi tosto, a chi poi, si fa spiacente,
Indi a grado ritorna. Or Tebe è teco
In tranquilla amistà; ma notti e giorni
Figliando il tempo in suo giro infinito,
Stagion verrà che i concordanti patti
Que' cittadini infrangeran con l'asta
Per cagion lieve; e il mio sotterra ascoso
Freddo corpo dormente il caldo sangue
Di lor berà, se Giove ancora è Giove,
E verace di Giove è figlio Apollo.
Ma poichè non m'è grato arcane cose
Appalesar, lascia ch'io tacia il resto.
Sol tiemmi fede, e inutile abitante
Mai non dirai di questi luoghi Edípo,
Se fraude a me pur non faran gli dei.
CORO.
Signor, già di coteste e pari cose
Promettitore, al suo venir, s'è fatto.
TESEO.
Chi ritrarsi vorrebbe all'amistanza
D'uom primamente, a cui fu ognor commune
Con noi l'ara ospitale, e ch'or de' numi
Qua supplice venendo, a questa terra
Offre, ed a me, non picciolo tributo?
Riverenza ho di lui, nè il favor suo
Rigetterò: nella città soggiorno
Dato gli fia. Che se fra voi gli aggrada
Qui starsi, a voi di lui la cura impongo;
E se meco venirne, Edípo, hai caro,
Scegli tu: presto a farti pago io sono.
EDIPO.
Oh Giove, a tanta cortesia mercede
Rendi tu degnamente!
TESEO.
Or che vuoi dunque?
Venirne al tetto mio?
EDIPO.
Se il pur potessi;
Ma questo è il loco...
TESEO.
Io non te n' fo divieto;
Ma che far qui potrai?
EDIPO.
Qui di coloro
Vittoria avrò, che mi cacciâr di Tebe.
TESEO.
Gran frutto in ver da questa stanza attendi.
EDIPO.
E sì l'avrò, se le promesse tue
Per me ferme staranno.
TESEO.
In me t'affida.
Io tradirti non voglio.
EDIPO.
Ed io tua fede
Obligarmi non vo' con giuramento,
Qual d'uom mal certo.
TESEO.
E n'otterresti nulla
Più che dalla parola.
EDIPO.
Or che farai?
TESEO.
Che temi più?
EDIPO.
Verran coloro...
TESEO.
E questi
Di tua difesa avranno cura.
EDIPO.
Ah! guarda
Che lasciandomi tu...
TESEO.
Non insegnarmi
Quel ch'io far deggio.
EDIPO.
A dubitar costretto
È il cuor d'uomo che teme.
TESEO.
Il mio non teme.
EDIPO.
Tu non sai le minacce...
TESEO.
A mal mio grado
So che di qua non ti trarrà nessuno.
Minacce molte, e molti detti insani
Tuona l'ira; ma poi quando la mente
In sè ritorna, ogni gridío s'attuta.
A color che son osi menar vanto
Di via condurti, io so che questo un lungo
Parrà di poi, non navigabil mare.
Or io t'esorto a confidar, quand'anco
Tuo fautor non foss'io, se Febo è quegli
Che qua ti scòrse. In qual sia modo in somma,
Anco me non presente, il nome mio
Ti guarderà d'ogn'inimica offesa. (parte)

CORO.

Strofe I.


Ospite, or tu nel biancheggiante suolo
Produttor-di-cavalli,
Nel beato Colono il piè ponesti,(126)
Ove frequente in mesti
Modi gorgheggia il querulo usignolo
Nelle verdi convalli
Fra l'erede vivaci e nel sacrato
Bosco di cento e cento
Frutti ferace, al Sole
Chiuso. e al furor del vento;
Ed è venirne usato
Dionisio baccante a far carole,
Da sue dive nutrici accompagnato.

Antistrofe I.


Di bei fior grappoloso in questo loco
Il perenne narciso,
Ghirlanda delle due Gran Dive antica,(127)
Tuttodì si nutrica
Di celeste rugiada, e l'aureo croco.
Nè qui mai del Cefiso
Mancan vigili rivi a dar ristoro
Alla terra feconda,
Scorrendo ognor per quella.
Con lor puriss'onda.
Nè delle Muse il coro
Schivo è del loco, e no 'l rifugge anch'ella
Venere diva dalle-briglie-d'oro.

Strofe II.


E qual non odo in terra
D'Asia giammai, nè in quanta
La Pelopéa grand'isola rinserra,
Aver posto radici,
Sorge non culta qui spontanea pianta(128)
Che rispetto e timor mette a' nimici:
Il glauco e sacro a' maschi parti olivo;
Cui sempre verde e vivo
Nè giovin mai, nè vecchio re con mano
Distruggerà, però che ognor l'osserva
L'alto del Morio Giove occhio sovrano,
E la cesia Minerva.

Antistrofe II.


Ed altre ancor poss'io
Laudi narrar preclare
D'esta madre città, che d'un gran dio
Gran doni son:(129) di bei corsieri altrice,
Ben governarli, e correr bene il mare.
Tu, Saturnio, figliuol, lei di felice
Sorte, o Nettuno, in tanto onor locasti;
Chè qua pria tu insegnasti
Porre a' destrieri il temperante morso;
E qua il naviglio vogator sovresso
Il mar se n' vola con mirabil corso
Alle Nereidi appresso.
ANTIG.
O terra adorna di cotante lodi,
Or ecco è tempo di mostrar con l'opra
I tuoi splendidi pregi.
EDIPO.
O figlia mia,
Che avvien di nuovo?
ANTIG.
A noi dappresso, o padre,
E non senza seguaci, è già Creonte.
EDIPO.
O buon vecchi a me cari il compimento
Di mia salvezza or dee venir da voi.
CORO.
Sì, t'affida; verrà. Vecchi noi siamo,
Ma non vecchia d'Atene è la possanza.

CREONTE con séguito, EDIPO, ANTIGONE e CORO.

CREONTE.
O di Colono abitatori egregi,
Negli occhi vostri un non so quale io veggo
Nuovo timor del venir mio. Sgombrate
Ogni sospetto, e non gittate acerba
Contro a me la parola. Io qua non mossi
Rei disegni a compir; chè già son d'anni
Grave, e ben so che a gran città ne vengo,
S'altra è in Grecia, possente. A far quest'uomo
Persuaso seguirmi al suol Cadmeo,
Venni mandato; e non da un sol, da tutti
I Tebani è l'incarco a me commesso,
Poi che il duol de' suoi mali a me più spetta
Che agli altri assai, per parentado, in Tebe. -
Su via, misero Edípo, a me t'arrendi;
Riedi alle case tue: te giustamente
Tutto richiama il popolo di Cadmo;
Io di tutti ancor più, quanto più duolmi
(Se il pessimo d'ogni uomo io pur non sono)
Del tuo tanto soffrir, vecchio infelice,
Veggendoti fuggiasco e peregrino
Errar sempre, di vitto bisognoso,
Scòrto sol da una donna. Oh la meschina!
Io mai creduto non avrei che in tanto
D'abjettezza cadrebbe, in che pur cadde,
Per curar te, per sostener tua vita,
Sempre accattando, in tale età, di sposo
Priva, ed esposta alla rapina, all'onte
D'ogni uomo, a cui s'avvenga. Or ciò ch'io dico
Non è forse, oh me lasso! un miserando
Vitupero di te, di me, di tutta
La stirpe nostra? Ah per li patrj dei!
Se celar non si può quel ch'è palese,
Fa' tu almen di celarne il tristo aspetto,
Col tornar di buon grado a Tebe, a tue
Paterne case. Amicamente Atene,
Or via, saluta: ella è città ben degna;
Ma vuol ragion che il cittadin più onori
La patria sua, la sua nudrice antica.
EDIPO.
Oh uom di tutto audace, e d'ogni cosa
Destro a scaltra foggiar forma di giusto
Ragionamento, a che ciò tenti, e vuoi
Ripigliarmi a tal laccio, a cui poi troppo
Esser preso mi dolga? Allor ch'afflitto
Di domestici mali erami grato
Dalla patria esular, tu mi negasti
Il richiesto favor; quando poi stanco
Fui di corruccio, e dolce mi si fea
Soggiornar nel mio tetto, allor tu fuori
Me n' cacciasti, e sbandisti; ed allor nulla
Questo tuo parentado a cuor ti stava.
Ed or che Atene e le sue genti tutte
A me vedi benevole ed amiche,
Strapparmene t'attenti, in molli detti
Duri sensi avvolgendo. E qual diletto
Quest'è, d'amar chi amato esser non vuole?
Se talun sordo a' preghi tuoi ricusa
Sovvenirti nell'uopo, e largo poi
Ti si fa de' suoi doni allor che pago
È già l'animo tuo, nè più favore
È il suo favor, di cortesia sì stolta
Contento andresti? E tale a me tu porgi
Buono in parole, e rio servigio in fatti.
Io qui a tutti il vo' dir; vo' disvelarti
Tristo qual sei. - Tu a trarmi di qua vieni,
Non per tornarmi a' tetti miei, ma pormi
Su 'l tebano confin, perchè non venga
Da questa gente a Tebe tua mai danno.
Non l'otterrai. Questo otterrai, che sempre
Il mio vendicator démone infesto
Là in quel suolo avrà stanza, e a' figli miei
Della mia terra toccherà tal parte
Che lor solo a morir basti sovr'essa. -
Or di Tebe le cose io non so forse
Meglio di te? Tanto le so più certo,
Quanto più quei le sanno, ond'io le udiva:
Apollo e Giove che d'Apollo è padre. -
Qua la subdola tua lingua ne n' venne,
Ben d'astuzie affilata; e nondimeno
Dal tuo sermoneggiar più mal che bene
Trar potresti. - Ma so che indarno io tento
Persuaderti. Or vanne adunque, e lascia
Qui viver noi. Ben che in povero stato,
Mal non vivrem, se il nostro cuor n'è pago.
CREONTE.
Ma dal resister tuo pensi tu forse
Che male a me più che a te stesso avvenga?
EDIPO.
A me fia gran piacer, se, più che il mio,
Non sei possente a riportar l'assenso
Di questi ospiti nostri.
CREONTE.
Oh sciagurato!
Nè pur col tempo metterai tu senno?
Anche a vecchiezza onta farai?
EDIPO.
Di lingua
Prode sei tu, ma non giust'uomo io tengo
Chi ben tratta ogni causa.
CREONTE.
Altro il dir molto,
Altro il dir ciò ch'è d'uopo.
EDIPO.
In ver tu parli
Breve, e ciò sol ch'è proprio ad uopo!
CREONTE.
Ad uopo,
Sì, ma non di chi senno ha pari al tuo.
EDIPO.
Va': nel nome di questi anco te 'l dico:
Non infestarmi ove abitar mi giova.
CREONTE.
Questi io ben chiamo a testimon del come
Rispondi a' tuoi. Che s'io giammai t'afferro...
EDIPO.
Chi ciò potría contro al voler di questi
Miei difensori?
CREONTE.
E, senza ciò, dolente
Pur ne sarai.
EDIPO.
Ch'altro di reo minacci?
CREONTE.
Delle due figlie tue l'una già feci
Via di qua trarre; or trarrò l'altra.
EDIPO.
Ahi lasso!
CREONTE.
Gemer più ancora or or dovrai.
EDIPO.
Già tieni
L'una mia figlia?
CREONTE.
E terrò questa in breve.
EDIPO.
? Oh voi, che fate, ospiti miei? tradirmi
Vorrete forse? E non cacciate l'empio
Da questa terra?
CORO.
(a Creonte)
Olà, stranier! via tosto

Vanne di qua. Non giusta cosa or fai,
Nè fatta hai dianzi.
CREONTE.
(a' suoi seguaci)
? Or voi, sergenti, a forza

Costei traete, se venir non vuole.
ANTIG.
Ahi dove fuggo Ahi misera! qual dio,
Qual uom mi salva?
CORO.
? O forestier, che fai?
CREONTE.
Mano in costui non metterò; ma questa
Che m'appartien, mi prendo.
EDIPO.
? Oh voi primati!..
CORO.
? Cessa: non giusto è l'oprar tuo.
CREONTE.
Sì, giusto.
CORO.
Come ciò?
CREONTE.
Meco i miei congiunti io traggo.

Strofe.

EDIPO.
Oh Atene!
CORO.
Olà, straniero!
Lasciala, o meco ad aver pugna attendi.
CREONTE.
Sóstati.
CORO.
No; se far cotanto vuoi.
CREONTE.
Guerra, se me tu offendi,
Con Tebe fai.
EDIPO.
Non dissi io forse il vero?
CORO.
Lascia la figlia, or via!
CREONTE.
Non commandar ciò che ottener non puoi.
CORO.
Lasciala, io dico ormai!
CREONTE.
(ad Antigone)
Io dico a te: t'avvía
Là dove star dovrai.
CORO.
? Accorrete, accorrete, o voi d'intorno
Abitanti, affrettate. A sforzo audace,
A prepotente scorno
La mia città soggiace.
ANTIG.
Via mi strappano, ahi lassa! ospiti, amici,
Via mi strappano a forza.
EDIPO.
Oh figlia mia,
Ove sei?
ANTIG.
Strascinata io parto.
EDIPO.
Stendi
A me, figlia, le mani.
ANTIG.
Io più no 'l posso.
CREONTE.
(a' sergenti)
Nè ancor via la traete?
(Antigone è condotta via dalla scena)
EDIPO.
Oh me infelice!
CREONTE.
Questi de' passi tuoi sostegni al fianco
Non avrai più. Poi che vittoria vuoi
Riportar della patria e de' congiunti,
Da cui mandato, ancor che sire, io vengo,
Vinci pur, vinci! Apprenderai col tempo,
Certo io 'l so, che a te stesso or mal provedi,
E mal già provedesti, compiacendo,
Contro agli amici tuoi, la corrucciosa
Indole tua che a te funesta è sempre.
(in atto di partire)
CORO.
Férmati.
CREONTE.
Non toccarmi.
CORO.
Io non ti lascio,
Se le figlie rapisci.
CREONTE.
Altro tu dunque,
Ad Atene e maggior pegno imporrai
A riscattar; ch'io non farò sol preda
Di queste due.
CORO.
Ch'altro torrai?
CREONTE.
Captivo
Pur costui ne trarrò.
CORO.
Troppo gran cosa
Tu dici.
CREONTE.
E fatta or or sarà, se quegli
Ch'ò di qua reggitor, non me 'l contende.
EDIPO.
Oh inverecondo cianciator, toccarmi
Oserai tu?
CREONTE.
Taci! io ti dico.
EDIPO.
Ah muto
Me il pio terror di queste dee non renda,
Sì che a te non imprechi, o scelerato,
Che anco il poco rapisci unico lume
Degli spenti miei lumi. - A te deh facia,
E a tutti i tuoi l'onniveggente Sole
Tragger pari alla mia trista vecchiezza!
CREONTE.
Non vedete ora voi?
EDIPO.
Me veggon essi,
E te del pari, e come io d'opre offeso,
Fo di parole contro a te vendetta.
CREONTE.
Più non freno lo sdegno. Io, ben che solo
E grave d'anni, or via trarrò costui.

Antistrofe.

EDIPO.
Ahi me misero!
CORO.
Oh quanta
Fidanza è in te, se consommar ciò pensi!
CREONTE.
Io, sì.
CORO.
Città non fia più dunque Atene?
CREONTE.
Vince, se al giusto attiensi,
Uom fiacco il forte.
EDIPO.
Udite or voi che vanta?
CORO.
Ma fallirà lo scopo.
CREONTE.
Saperlo a Giove, e non a te, conviene.
CORO.
Ciò non è forse insulto?
CREONTE.
Insulto egli è, ma d'uopo
T'è sopportarlo inulto.
CORO.
? O popol mio, di questa terra, o sire,
Qua venite venite a ratto corso.
Tropp'oltre ormai l'ardire
È di costui trascorso.

TESEO con séguito, EDIPO, CREONTE e CORO.

TESEO.
Quali grida? che fu? per qual timore
Cessar mi fate il sacrificio all'ara
Del dio del mar, dio tutelare a un tempo
Pur di questo Colono? Il tutto dite,
Sì che noto mi sia perchè più ratto
Che al piè grato non fosse, io qua ne venni.
EDIPO.
Oh amato re (chè della voce al suono
Ti conosco), sofferte ho da quest'uomo
Cose atroci testè.
TESEO.
Quali? favella.
E l'offensor chi fu?
EDIPO.
Questo che vedi,
Questo Creonte che de' figli miei
L'unica coppia or mi rapía.
TESEO.
Che dici?
EDIPO.
Il ver, pur troppo!
TESEO.
(al séguito)
Olà! celeremente

Qualcun là torni, a quell'altare, e tutti
Quivi commandi e cavallieri e fanti
Correre a sciolta briglia ove ad un capo
Metton due vie, sì che di là le figlie
Non passino, e deriso e soprafatto
Da cotesto straniero anch'io non sia.
Ite tosto, correte. - Io, se venuto
Fossi nell'ira, ond'è costui ben degno,
No 'l lascerei di man fuggirmi illeso;
Or con le leggi stesse, ond'egli venne
Altri a trattar, trattato ei fia. - Non passo
Via di qua tu farai, se quelle pria
Qui di tutti al cospetto a me non torni.
Non di me, no, nè de' maggiori tuoi,
Nè della patria tua condegna cosa
Or fatta hai tu; poi che a città venuto
Di giustizia cultrice, e fuor di legge
Nulla operante, gl'instituti suoi
Sprezzi, e rompendo a vïolenti modi,
Ciò che vuoi via ne traggi, e tuo lo fai.
Forse città di popol vuota, o serva
Questa mia tu credevi, e riputasti
Me pari a nulla; e sì pur Tebe a inique
Opre non t'educò; ch'essa non ama
Genti ingiuste nudrir, nè darti lode
Vorría, se conto or fosse a lei che il mio
T'arroghi a forza, e quello ancor de' numi,
Via strascinando supplici infelici.
Non io, portando in tua contrada il piede
(Anco n'avessi altissima ragione),
Trarne cosa vorrei senza l'assenso
Di qual sia che vi regga, e in terra altrui
Saprei qual dêssi mantener contegno.
Ma tu la patria tua che ciò non merta,
Disonori, tu stesso; e l'età molta
Vecchio il corpo ti rende, e scemo il senno.
Dianzi te 'l dissi; or te 'l ridico: a noi
Fa' di presente ricondur le figlie,
Se non vuoi mal tuo grado abitatore
Di questa terra rimaner. Col labro
E del par con la mente io ciò ti parlo.
CORO.
Vedi, o stranier? Tua patria e i tuoi ti fanno
Parer giust'uomo, e reo ti mostri all'opre.
CREONTE.
Io nè questa città di popol priva,
O figliuolo d'Egéo, nè di consiglio,
Qual tu dici, estimando, a far divenni
Quel che pur feci; io ragionai che in essa
Mai non cadrebbe alcun sì forte amore
Per li congiunti miei, da qui tenerli
Mal mio grado; e pensai che un parricida
Non accorrebbe, un uomo impuro, a cui
Diêro empie nozze incestuosa prole.
Ben io sapea che in questa terra siede
Un sì pieno di senno Areopago,
Che non lascia in Atene aver soggiorno
Tali profughi erranti. In ciò fidando,
A questa preda io m'accingea; nè fatto
Pur ciò avrei, se a me stesso e alla mia stirpe
Costui slanciato non avesse acerbe
Imprecazioni: offeso io pria da lui,
Lui così ricambiar dritto mi parve.
Ira, mai non la doma altra vecchiezza,
Che morte: a' morti alcun rancor, nè alcuno
Cruccio più non s'apprende. Or come meglio
A te piace, oprerai: me l'esser solo
(Giuste quantunque e vere cose io parli)
Debile or fa; ma, qual pur sono, all'opre
Render con l'opre tenterò risposta.
EDIPO.
Oh anima impudente! e che? me credi
Infamar co' tuoi detti, e non te stesso?
Scagli di bocca occisïoni e nozze
E sventure, di cui, misero! io sono
Involontario autor; chè così piaque
Agli dei ch'odio antico alla mia casa
Forse avean già; però che in me non trovi
Macchia di colpa in ciò che feci a danno
Di me stesso e de' miei. Dimmi: se al padre
Oracol venne che da' figli estinto
Saría, come di ciò puoi giustamente
Dar carco a me che allor di padre e madre
Generato e concetto ancor non era?
S'io poi nato, qual naqui, sventurato
Venni a lite col padre, e non sapendo
Nè che facea, nè contro a chi, l'uccisi
Come a ragion d'involontario fallo
Mi darai biasmo? E della madre, o tristo,
Che tua suora pur fu, non ti vergogni
Anco sforzarmi a ricordar le nozze?
Or bene, e d'esse io parlerò; tacermi
Non voglio, no, poi che tu in questo uscisti
Empio discorso. - Ella, sì, madre, ahi lasso!
Madre mi fu, ma no 'l sapea; - nè a lei
Io sapea d'esser figlio, - ed altri figli,
D'onde altr'onta le venne, a me produsse.
Ben questo io so, che me tu strazii e quella
A bello studio; io, non volendo il dico.
Però nè d'empio aver poss'io mai nome
Per queste nozze, e nè per quel che sempre
Con acerbo rigor tu mi rinfacci,
Paterno eccidio. Or questo sol rispondi:
Se te (l'uom giusto!) altri improviso assalga
Per trucidarti, indagherai tu pria
Se chi t'uccide è il padre, o incontanente
L'offensor punirai? Penso che il reo
Castigheresti, se la vita hai cara,
Senza ristarti a ponderar dell'opra
Il dritto o il torto. E spinto anch'io da' numi
Venni in questo frangente; e non estimo
Che, tra' vivi tornando, il padre stesso
Contradir mi potrebbe: e tu, che ingiusto
Bella ogni cosa a favellarne estimi,
E le da dirsi e da tacersi, biasmo
A me ne dài, di queste genti in faccia.
Or t'è bello adular Téseo e d'Atene
Gli ordini saggi; e fra sue laudi molte
Questa non sai, che se altra terra i numi
Onora e cole, ella è di tutte in cima;
E a lei rapir me vecchio e supplicante
Pur tenti, e via le mie figlie ne meni.
Ma io queste invocando ultrici dee,
Con preghiere le stringo e le scongiuro
Di loro aíta, e che imparar tu possa
Qual gente è quella, ond'è guardata Atene.
CORO.
Buono, o sire, è quest'ospite, e funesti
Sono i suoi casi, e di soccorso degni.
TESEO.
Non più parole. I rapitori intanto
Via van veloci, e noi qui stiamo inerti.
CREONTE.
Che far commandi ad uom che nulla or puote?
TESEO.
Vanno a me finanzi a dimostrarmi il loco,
Ov'io rinvenga le rapite figlie,
Se costà le sostieni; e se con esse
Fuggono i tuoi, non è mestier far nulla;
V'ha chi gl'insegue, e di felice scampo
Grazie agli dei non renderan coloro.
Or via, precedi: altri tu tieni, ed altri
Tengono te: mentre a far prede intendi,
Te la sorte predò, poi che guadagno
Di fraudolente iniquità non dura.
Nè avrai chi ti francheggi. Io ben conobbi
Che tu nè sol nè improveduto a questa
Venisti audace ingiurïosa impresa,
Ma che in altri fidavi; onde a me d'uopo
È proveder che di possanza Atene
Non soccomba a un sol uomo. Or ben, di questo
Fai tu pensiero? o a te parlato è indarno
Ed ora e allor che questa fraude ordisti?
CREONTE.
Qua dir puoi tutto incontrastato. In Tebe
Sapremo noi che far si dee.
TESEO.
Minaccia,
Ma inanzi va'. - Tu qui tranquillo, Edípo,
Statti, e t'affida che se me non coglie
Morte dappria, non farò posa mai
Fin che delle tue figlie io non ti renda
Possessor novamente.
EDIPO.
Oh sii felice,
Teséo, per tanta nobiltà di sensi,
Per sì giusta di noi provida cura!

EDIPO E CORO.

Strofe I.

CORO.
Deh là foss'io nel loco
Ove l'amica e l'avversaria parte
S'affronteran fra poco
In clamoroso marte,
O sia ne' Pitii piani,
O dove al lampo delle faci onore
Alle Gran Dee d'arcani
Riti fan quelli, a cui degli Eumolpídi
Pur l'aurea chiave su la lingua posa!(130)
Là de' nostri il valore,
Credo, avverrà che i rapitor disfidi
Con battaglia a lasciar vittorïosa
Le due vergini suore.

Antistrofe I.


Dall'Eátide campo(131)
Vêr d'occidente alla nevosa balza
Forse il nimico a scampo
Carri e cavalli incalza.
Preso sarà; chè fieri
Son di qua i combattenti, e forte è il petto
De' Teséidi guerrieri.
Già de' cavalli il fren brilla, e lentando
Già le redine al corso ogni uom si spinge;
Ogni uom che onora e cole
Palla equestre e del mare il venerando
Nume possente che la terra cinge,
Di Rea diletta prole.

Strofe II.


Ferve la pugna, o stanno?
Dice a me il cuor che certo
Faran le due ritorno,
Ch'hanno un duro sofferto
Da un lor proprio congiunto, un duro affanno.
Sì; farà in questo giorno,
Farà Giove qualcosa; il pensier mio
Di vittoria è presago.
Deh su le nubi, agil colomba, alzarmi
Ora a vol potess'io,
E di quel mescer d'armi
Lo sguardo mio far pago!


Antistrofe II.


Oh Giove, oh degli dei
Signor che tutto vedi,
Sovra l'ostil caterva
A fausto fin concedi
Trarre il conflitto a' popolari miei,
E tu, Palla Minerva,
Alma sua figlia! E il saettante anch'esso
Febo io prego, deh venga
Con la germana i ratti cervi in corso
Usa a inseguir dappresso,
Sì che doppio soccorso
Questa città n'ottenga!

Ospite, or me nomar falso profeta
Non potrai: le tue figlie a te vegg'io
Qui ritornar da buon custodi addotte.
EDIPO.
Ove ove sono? oh che dicesti?

ANTIGONE, ISMENE, TESEO con séguito, EDIPO E CORO.

ANTIG.
Oh padre,
Padre, deh che un iddio ti concedesse
Questo in volto veder, quest'uomo egregio
Che a te ne rende!
EDIPO.
O figlie mie, qui siete?
ANTIG.
Sì; di Teséo l'invitto braccio e quello
De' suoi fidi n'ha salve.
EDIPO.
Oh qui venite,
Qui, figlie, al genitor; date ch'io tocchi
Ciò che più non sperava, i corpi vostri.
ANTIG.
Chiedi favor che a noi di farti è grato.
EDIPO.
Ove dunque, ove siete?
ANTIG.
A te stiam presso
Entrambe insieme.
EDIPO.
Oh mia diletta prole!
ANTIG.
Sempre ad un padre ogni sua cosa è cara.
EDIPO.
Soli sostegni miei!
ANTIG.
D'un infelice
Infelici sostegni.
EDIPO.
Io tengo, io tengo
Quanto amo più; nè misero del tutto
Morrò, se in morte appresso a me voi siete.
L'un fianco e l'altro al padre vostro, o figlie,
D'ambe parti cingete, e del sofferto
Tristo abbandono a me date ristoro.
Come il caso passò fatemi conto
In pochi detti: a vostra età s'addice
Un parlar breve.
ANTIG.
È qui presente, o padre,
Chi ne salvò; saper da lui puoi tutto,
E fia quindi il mio dire anco più breve.
EDIPO.
Sire, non t'adontar se per la gioja
Dell'insperato ritornar di queste
Figliuole mie con lor favello a lungo.
So che questo diletto a me non venne
Fuor che da te: salve tu l'hai, non altri;
E a te merto qual bramo, e a questa terra
Di ciò rendan gli dei, poi che in voi soli
Fra gli uomini trovai pietà, rispetto,
E parlar non bugiardo: il seppi a prova,
E con queste parole attestatrici
Ve ne ricambio. Io ciò che tengo, il tengo
Sol per te, non per altri. Or deh la destra
Porgimi, o re, sì che toccarti, ed anco
La tua fronte, se lice, io baciar possa!...
Ma, che dico? ed io, misero! vorrei
Ch'uom tu avessi a toccare, in cui qual macchia,
Qual mai non v'ha d'obbrobrïosi casi?
No, non io te 'l permetto. A quei soltanto,
Che son usi ne' mali, accommunarsi
Con gli altrui mali è dato. Io di qui dico
A te salute; e quella ognor pia cura
Abbi di me, che in questo giorno avesti.
TESEO.
Nè che tu preso di paterna gioja
Lungamente parlassi a queste figlie,
Meraviglia ho, nè se a' lor detti orecchio
Pria porgesti che a me. Nulla di grave
Questo ha per noi. Noi non cerchiam la vita
Di parole illustrar più che di fatti;
E n'hai prova. Di quanto io ti giurava
Non ti fallíi: salve le figlie, immuni
Da' minacciati danni, ecco, ti rendo.
Come fu combattuto, a me che giova
Ostentando narrar, quando da queste
Che son teco, saperlo indi potrai?
Ben, qua movendo, udir cosa m'avvenne,
A cui fa' di pôr mente: a dirla è lieve,
Ma di pensiero è degna; e l'uom non dee
Sprezzatamente trasandar mai nulla.
CORO.
Che avvien, figlio d'Egéo? Dillo; chè ignaro
Io ne son pienamente.
TESEO.
Un uom che tuo
Concittadin non è, ma t'è congiunto,
Dicon che di Nettuno inanzi all'ara,
Ov'io dianzi litai, venne a prostrarsi,
Dappoi ch'io m'era di colà partito.
EDIPO.
D'onde è costui? che supplicando vuole?
TESEO.
Altro non so, fuor che da te richiede
(Come detto mi fu) picciol favore,
Nè a te molesto.
EDIPO.
E quale? A leggier cosa
Non accenna il prostrarsi a quell'altare.
TESEO.
Parlar, teco, e securo indi partirsi;
Tanto, dicono, ei chiede.
EDIPO.
Alfin chi fia
Che fa priego di ciò?
TESEO.
Guarda se in Argo
Alcun vostro congiunto è forse, a cui
Si convenga tal brama.
EDIPO.
Ah basta, o caro!
Più non dirmi.
TESEO.
Perchè?
EDIPO.
Non ricercarmi...
TESEO.
Di che? parla.
EDIPO.
Per quanto udíi da queste,
Quel supplice conosco.
TESEO.
Ed è? - Me 'l noma,
Se biasmarnelo deggio.
EDIPO.
È l'odïato
Mio figlio, o re, lo cui parlare udendo,
Più che d'ogni altri, avrei troppo gran pena.
TESEO.
Ma che? forse ascoltarlo a te non lice,
E ciò non far, che far non vuoi? L'udire
Qual t'è gravezza?
EDIPO.
Di colui la voce
Suona, o signor, troppo aborrita al padre.
Deh non sforzarmi a ciò!
TESEO.
Vedi se forse
Non vi ti sforzi il pio rispetto al nume,
A cui prega prostrato.
ANTIG.
Ah m'odi, o padre,
Odi me pur, benchè fanciulla io sia! -
Lascia che la sua voglia or quegli appaghi,
Nè al dio supplichi indarno: a noi concedi
Che ne venga il fratello. Ei trarti a forza
Dal tuo proposto non potrà, t'affida,
Se non dice util cosa, e a te piacente.
Parole udir, che nuoce? Favellando
Ogni buon pensamento anco si spiega;
E tu padre gli sei, tal che se farti
La più d'ogni empia cosa ardito ei fosse,
Per mal rendergli male a te non lice.
Dunque lascia ch'ei venga. Han altri ancora
Malvagi i figli, e prono all'ira il cuore;
Ma degli amici a' blandi ammonimenti
Rammolliscon gli spirti. A' guai ch'or soffri,
Non risguardar: risguarda addietro a quelli
Che nel padre hai sofferti e nella madre;
E se a quelli ben miri, io so che alfine
Conoscerai d'irrefrenato sdegno
Quanto acerbo è l'effetto: in te non lievi
Prove hai di ciò, delle tue proprie luci
Accecato la fronte. A noi deh cedi!
Bello non è che giusta cosa a lungo
S'implori, e tu, l'altrui favor godendo,
Render non sappi a cortesía favore.
EDIPO.
Figlia, è grave il piacer, di che pregate;
Ma pur vinceste; a vostro grado or sia: -
Solo, o signor, che se colui qua viene,
Forza all'animo mio nessun far possa.
TESEO.
Una volta, non due, ciò udir mi piace.
Jattanze io non vo' far; ma t'assecura
Salvo tu sei fin che un iddio me salva.

CORO, EDIPO, ANTIGONE ed ISMENE.

Strofe.

CORO.
Chi 'l cammin della vita
Oltre misura ha di protrar desío,
Mostra, all'avviso mio,
Mente d'error nudrita;
Poichè la molta etade
Molti travagli anco più reca, e mai
L'uom gioir non vedrai
Vero piacer, se cade
In soverchio di brame intemperanze;
Nè sa
Segnala questa opera ad un amico

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